Il Grande Fratello ci Guarda - Anteprima del libro di Giuseppe Balena

È la privacy, bellezza!

«Tutti gli esseri umani hanno tre vite: pubblica, privata e segreta».
Gabriel Garcia Màrquez

«Il prezzo della libertà è la costante vigilanza».
Karl Popper

Guardando attraverso il buco della serratura: il problema della privacy

«È la stampa, bellezza! La stampa! E tu non ci puoi far niente! Niente!» gridava al telefono Humphrey Bogart nella memorabile scena del film L’ultima minaccia del 1952, mentre le rotative si azionavano con un gran baccano.

In futuro, forse, potrà succedere: ognuno di noi avrà, per una volta nella vita, i suoi meritati quindici minuti di privacy. I famosi quindici minuti di celebrità a cui in maniera dissacrante faceva riferimento Andy Warhol sono aumentati enormemente fino a ribaltare completamente la situazione.

La società dell’immagine congiuntamente con quella dell’informazione e ancora di più con quella tecnologica sta di fatto annullando quasi completamene la riservatezza delle nostre vite. Il protagonismo mediatico fai-da-te, affidato alla irrinunciabile presenza sui Social Network, ha dilatato di molto i famosi quindici minuti di celebrità.

In prima battuta possiamo dire che la tutela della privacy è il diritto alla riservatezza della propria vita privata teorizzata per la prima volta dal giurista statunitense Louis Brandeis insieme a Samuel Warren alla fine del XIX secolo. È curioso notare che la teorizzazione di questo concetto venne espresso con l’espressione “the right to be let alone ’ ossia letteralmente “il diritto di essere lasciati in pace”. Un primo elemento che subito salta in evidenza è che generalmente si parla di privacy mutuando un termine inglese invece di utilizzare, per esempio, l’espressione “diritto alla riservatezza”. La necessità di dover tutelare la propria privacy è abbastanza recente sebbene, come abbiamo visto, da sempre nelle relazioni tra gli individui c’è questa naturale e atavica propensione all’ingerenza nella vita altrui. Molto probabilmente l’esigenza di tutelare la propria riservatezza, tanto da farla elevare al rango di diritto con la conseguenza necessità di regolamentarne la tutela, nasce proprio nel momento in cui si è avvertita distintamente l’enorme erosione della stessa.

È utile ricordare che, per esempio, in Italia la figura del Garante per la privacy è stata istituita e riconosciuta come autorità amministrativa indipendente solo con la legge n. 675 del 31 dicembre 1996 (la cosiddetta “Legge sulla privacy”).

Il codice in materia di protezione dei dati personali, comunemente noto anche come “Codice della privacy”, è una norma emanata con il Decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196 e coordina in un testo unico tutte le precedenti disposizioni relative alla protezione dei dati personali.

All articolo 1 del testo unico viene riconosciuto il diritto assoluto di ciascuno sui propri dati: «Chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano». Tale diritto appartiene alla grande famiglia dei diritti della personalità.

È altresì vero che tutto l’impianto della tutela della privacy si mantiene sulla complementarietà tra un soggetto passivo che reclama un diritto e un soggetto attivo che anche involontariamente pone in essere delle azioni lesive.

Nel 1948 le Nazioni Uniti sollevarono già il problema dichiarando ufficialmente che «nessuno deve essere sottoposto a interferenze arbitrarie nella sua sfera privata, nella sua casa e nella sua corrispondenza».

La Convenzione europea dei diritti dell’uomo approvata nel 1950, all’art. 8, stabiliva che «non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del Paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui».

Precetti formali di riferimento che, come vedremo, molto spesso sono rimasti solo sulla carta.

La privacy nell’epoca moderna di certo non esiste più, annientata dall’uso frenetico delle nuove tecnologie. Amiamo spiare ed essere spiati sui Social Network e inoltre rinunciamo alla nostra privacy volontariamente e senza nessuna costrizione. Questa è la vera rivoluzione, impensabile anche solo fino a pochi decenni fa.

Ci sono, comunque, altri due aspetti fondamentali da tenere in considerazione nell’ambito della tutela della privacy nel mondo digitale: la condivisione e l’accessibilità. Da un lato, infatti, abbiamo accesso a una quantità di dati e notizie come non è mai successo in passato, dall’altro tutto questo materiale a sua volta può essere condiviso con gli altri. Queste due caratteristiche, fortemente intrecciate e complementari, rispondono a esigenze tipiche della società moderna votata alla spersonalizzazione e al progressivo isolamento dell individuo moderno. Non a caso per anni la forma di utilizzo e socializzazione per la Rete è stato il modello del cosiddetto “blog , ossia una sorta di diario online con il quale si cercava di riportare l’individuo in una sfera più intima, sebbene rimanesse tutto confinato su un piano virtuale.

La tutela legislativa a livello europeo si è intensificata da poco meno di vent’anni. Oltre che negli Accordi di Schengen, il concetto è stato riportato anche nel 2000 nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea all’art. 8 che recita:

«Ogni individuo ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che lo riguardano. Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni individuo ha il diritto di accedere ai dati raccolti che lo riguardano e di ottenerne la rettifica. Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un’autorità indipendente».

Il 2013 - Un anno cruciale 

Il 2013 è stato un anno cruciale per la gestione del problema della privacy a livello mondiale.

In quell’anno, infatti, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato all’unanimità la risoluzione proposta dalla Germania e dal Brasile volta a porre un freno alla «sorveglianza illegale nell’era digitale» e in difesa del diritto alla privacy dei cittadini. La proposta era stata presentata dai due Paesi in seguito alle rivelazioni sulle intercettazioni degli usa che avevano colpito anche l’allora presidente del Brasile Diima Rousseff e il cancelliere tedesco Angela Merkel. La risoluzione ha sancito il principio secondo il quale «gli stessi diritti che si hanno offline devono essere protetti anche online, e fra questi c’è il diritto alla privacy». Inoltre, ribadiva il fatto che «bisogna rispettare e proteggere il diritto alla privacy anche nel contesto delle comunicazioni digitali» e invitava gli Stati a prendere provvedimenti. I 193 Stati membri sono stati anche invitati a rivedere le

«procedure, pratiche e legislazioni in materia di sorveglianza delle comunicazioni, intercettazione e raccolta dei dati personali, compresa la sorveglianza di massa».

Nello stesso anno oltre 500 personaggi provenienti da 81 Paesi del mondo hanno sottoscritto un appello alle Nazioni Unite contro l’attività di sorveglianza di massa emersa dallo scandalo “Datagate” in seguito alle rivelazioni fatte da Edward Snowden. Nell’elenco dei firmatari si trovano i nomi degli autori contemporanei più importanti al mondo. Tra questi, 5 premi Nobel — Orhan Pamuk, Gùnter Grass, John Maxwell Coetzee, Elfriede Jelinek, Tomas Transtròmer - oltre ad autori universalmente noti come Umberto Eco, Don DeLillo, Arundhati Roy, Henning Mankell, Daniel Kehlmann, Dave Eggers, David Grossman, Amos Oz, Irvine Welsh, Margaret Atwood e personaggi poliedrici come l’artista islandese Bjòrk. Il documento chiedeva alle Nazioni Unite la creazione di una “Carta internazionale dei diritti digitali”.

Il 15 dicembre 2015 la Commissione Europea ha trovato l’accordo col Parlamento e col Consiglio di Europa per un testo unico sulla privacy che armonizzasse le varie normative degli Stati membri. L’accordo era composto da:

  • la Direttiva “Data Protection Directive” per le forze di polizia e la magistratura;
  • il Regolamento immediatamente esecutivo in tutta l’Unione Europea, definito “General Data Protection Regulation'.

Veniva istituita un’unica autorità di vigilanza europea con poteri anche sulle imprese con sede estera e operanti nell’Unione Europea. È stato previsto, infine, un tempo di adeguamento di due anni.

Il 4 maggio 2016 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il nuovo Regolamento sulla protezione dei dati personali e la libera circolazione dei dati personali che si applicherà a decorrere dal 25 maggio 2018.

La sentenza del 6 ottobre 2015

Con la sentenza del 6 ottobre 2015 relativa al caso irlandese “Facebook-Schrem”, la Corte di Giustizia Europea ha dichiarato invalido l’accordo “Safe Harbour” fra ue e Stati Uniti sul trattamento dei dati personali e sensibili dei cittadini europei. L’accordo è stato poi sostituito dal nuovo “EU-US Privacy Shield' del 2 febbraio 2016 che tutela i dati dei cittadini europei trasmessi via Internet dall’Unione Europea agli Stati Uniti, ovvero detenuti stabilmente in banche dati di società private, enti di intelligence residenti negli usa e aziende americane che trattano i dati dei cittadini in Europa. L’accordo non specifica limiti ed eccezioni per le autorità di intelligence, mentre impone alle aziende usa (che operino sia in Europa sia negli Stati Uniti) ad aderire e rispettare le normative ue sulla privacy nei confronti dei cittadini europei.

Nel 2016 si è discusso sul cosiddetto “Privacy Shield' ossia un accordo politico che si basa sulla garanzia da parte degli americani che i dati degli europei non verranno sottoposti a sorveglianza indiscriminata. Le aziende che volessero trasferire i dati, dovranno rendere pubblico il loro impegno a rispettare la privacy. Insomma, niente più “sorveglianza indiscriminata” o almeno, così promettono gli usa. Possiamo crederlo realmente? Lo “scudo” verrà ridiscusso ogni anno, in modo da monitorare l’andamento degli scambi. Saranno previsti meccanismi di ricorso e di risoluzione delle dispute, in modo da creare un canale per i cittadini che volessero sollevare casi di violazione della privacy e verrà battezzato il nuovo “ombudsman” ossia una figura indipendente che lavorerà nel Dipartimento di Stato degli usa per raccogliere i reclami degli europei sulla sorveglianza americana.

La questione è complessa e ci sono in gioco molti interessi commerciali ed economici.

Suonano, infatti, sibilline le parole riportate nella pagina del sito Internet di Apple interamente dedicata alla gestione della privacy:

«Alcuni anni fa, chi navigava su Internet ha iniziato a rendersi conto di una regola basilare: quando un servizio online è gratuito, non sei più il cliente: sei il prodotto».

Agli enunciati normativi, però, bisogna poi trovare riscontro nei fatti e nella gestione tecnica della privacy.

Come riporta il Garante della privacy in una nota del 2014:

«Penso che profilazione sia la parola chiave per comprendere i problemi di cui si parla: tutti noi facciamo ricorso ai servizi offerti in Rete e siamo consapevoli di non potervi rinunciare. Naturalmente questi servizi richiedono l’acquisizione di informazioni afferenti la sfera personale: noi versiamo ogni giorno, in questo contenitore infinito nel tempo e nello spazio, una quantità enorme di dati personali, immagini, orientamenti, l’insieme delle informazioni che corrispondono alla nostra identità, pezzi della nostra vita che come tessere di un mosaico si ricomporranno per formare il nostro profilo identitario.

I dati diventano dunque merce di scambio sempre più esposti a forme - spesso occulte - di raccolta e di monitoraggio continuo: è oggi possibile, grazie alle tecnologie, superare i limiti di tempo e di spazio, aggregare, analizzare e archiviare quantità enormi di informazioni a costi contenuti.

Il primo obbiettivo della profilazione di massa

Il primo obbiettivo della profilazione di massa è certo quello di conoscere gli orientamenti dei consumatori: gli Over The Top, i grandi monopolisti di Internet che hanno un dichiarato interesse commerciale, raccolgono e archiviano in giganteschi server i dati personali che sono stati forniti per le più diverse ragioni: dai motori di ricerca alla posta elettronica, dalle piattaforme di condivisione dei video ai servizi di commercio online, ai viaggi, agli affari, ma soprattutto dalle reti sociali così largamente partecipate dai ragazzi fin dalla prima adolescenza».

Precisa ancora il Garante:

«La persona digitale, dematerializzata, disincarnata, è destinata a coincidere soltanto con le informazioni che la riguardano, che altri soggetti scelgono di selezionare, trattare e rivelare. In questo modo quelle informazioni diventano l’unica proiezione nel mondo dell’essere di ciascuno... non un doppio virtuale che si affianca alla persona reale ma «La persona digitale, dematerializzata, disincarnata, è destinata a coincidere soltanto con le informazioni che la riguardano, che altri soggetti scelgono di selezionare, trattare e rivelare. In questo modo quelle informazioni diventano l’unica proiezione nel mondo dell’essere di ciascuno... non un doppio virtuale che si affianca alla persona reale ma rappresentazione istantanea di un’intera vita, unica memoria sociale di quella vita (io sono ciò che la rete decide che io debba essere) e, come tale, capace di condizionare la memoria individuale, di orientare relazioni e destini di ogni individuo. Durante la vita e dopo la morte».

“Privacy is dead". La privacy è morta. Dal palco del World Economie Forum di Davos Margo Seltzer, una delle maggiori guru dell’informatica dell’università di Fiavard ha espresso con forza questo concetto che serpeggia, ma che in realtà poco ponderiamo quando-beatamente sfioriamo con le dita i touchscreen della nostra modernità.

Il futuro si gioca tutto intorno alla cosiddetta “identità digitale”. Questa è sottoposta alle attenzioni da un lato dei governi e dall’altra da parte dei colossi economici mondiali.

Una cosa è tutelare la privacy della persona fìsica, ben altra cosa, invece, è tutelare la privacy dell’identità digitale e la legislazione attuale ha delle criticità non di poco conto. O forse le zone d’ombra sono in qualche modo funzionali all’esercizio delle attività di controllo e sorveglianza?

Questo testo è estratto dal libro "Il Grande Fratello ci Guarda".

Data di Pubblicazione: 1 ottobre 2017

Ti è piaciuto questo articolo? Rimani in contatto con noi!

Procedendo con l'invio dei dati:

Lascia un commento su questo articolo

Caricamento in Corso...