ECOLOGIA E AGRICOLTURA   |   Tempo di Lettura: 7 min

I Processi Evolutivi delle Foreste Primordiali

La Saggezza degli Alberi - Anteprima del libro di Peter Wohlleben

Alberi in libertà

I processi evolutivi delle foreste primordiali sono caratterizzati da una lentezza inconcepibile. Il concetto moderno di «slow life», di ritorno a ritmi più lenti, sembra coniato su misura per questi ecosistemi.

Già dalla nascita, le minuscole piantine vengono frenate nella crescita dai loro genitori. La luminosità residua che penetra fino al suolo attraverso le imponenti chiome ammonta solo al 3 per cento della luce del giorno: troppo poco per vivere, troppo per morire. Per evitare il peggio alle pianticelle, la pianta madre riveste le proprie radici di morbide fasce contenenti una soluzione zuccherina. Inibiti nel loro sviluppo da un lato, supportati dall’altro, i giovani virgulti vivacchiano per molti decenni senza costrutto. Dal punto di vista biologico, questa dinamica ha però un senso: il legno del piccolo fusto che si stratifica pian piano è estremamente compatto, resistente ai funghi e flessibile. Eventuali lesioni non portano a una putrefazione letale e, in caso di bufera, l’albero si piega ma non si spezza.

La mancanza di luce non è un caso, naturalmente, perché costringe i polloni (germogli nati alla base dell’albero) a crescere diritti: solo così all’interno del tronco la stratificazione delle fibre avviene in modo omogeneo, senza irregolarità o gibbosità, che costituirebbero potenziali punti di rottura.

Insomma, un portamento eretto fin dalla tenera età, appreso in giardini d’infanzia in piena regola. Le pianticelle imparano a contendersi ogni raggio di sole: se uno degli allievi tende a scantinare, piegando di lato la cacciata apicale, ossia il suo germoglio principale, gli altri lo raggiungono pian piano fino a sormontarlo, togliendogli la luce. Il «gobbetto» muore di fame all’ombra degli allievi modello e torna a essere humus.

In un giorno lontano, quando la pianta madre esalerà l’ultimo respiro e i suoi rami ormai secchi lasceranno arrivare tutta la luce fino al suolo senza intralci, l’esemplare più alto del gruppo s’innalzerà trasformandosi in un albero maestoso.

Tuttavia, la morte di un gigante è un evento raro. Per la maggior parte del tempo, nella foresta vergine non succede niente. Nella penombra, tranne i figli della pianta madre, non sopravvive quasi nient’altro. Le foreste primarie assomigliano a grandi saloni fra le cui colonne si può passeggiare senza trovare ostacoli - in questo caso, senza usare il machete. Invece le foreste attuali dell’Europa centrale o dell’Amazzonia, in cui viticci e arbusti sbarrano la via, sono perlopiù foreste secondarie, regioni dove l’uomo ha già praticato il taglio degli alberi. Il motivo dell’alta densità di piante è la mancanza dell’azione schermante delle fitte chiome di alberi vecchi a rallentare la crescita; così, nel sottobosco, può proliferare qualsiasi tipo di vegetazione che altrimenti soffocherebbe al buio.

Solitamente gli alberi sono esseri prudenti, ai quali ogni forma di fretta è estranea.

Piante sedentarie o pioniere

Nel regno animale, si parla di specie nidicole o nidifughe. Le prime sono quelle i cui piccoli, necessitando di cure, se ne restano belli e beati con i genitori; le seconde sono quelle i cui piccoli sono già autonomi dalla nascita, si procurano il cibo da soli ed esplorano il mondo di propria iniziativa. Per i giovani alberi è lo stesso. La maggior parte delle specie, come descritto nel capitolo precedente, ha bisogno di essere educata e protetta dai genitori. In questa categoria rientrano, per esempio, faggi, querce, abeti bianchi e rossi. All’occorrenza, possono andare bene anche dei genitori adottivi. Comunque sia, per crescere sana una pianticella ha bisogno di un vecchio albero sopra di sé. Le piante sedentarie hanno di regola semi pesanti, che cadono direttamente vicino alla pianta madre, in modo che i piccoli restino da bravi con la mamma. Tuttavia, è auspicabile che una parte dei frutti venga trasportata lontano perché la specie abbia nuove possibilità di diffusione. A rendere possibile tale spostamento, in molti casi, è una struttura aerodinamica del seme, una forma elicoidale che sfrutta i venti forti per migrare, come nel caso dei pinoli di molte conifere ma anche dei semi degli aceri. Poiché gli alberi non possono spostarsi, sono gli embrioni - i semi non sono altro che questo - a doverlo fare. Il trasporto dei semi più pesanti viene affidato a un corriere del mondo animale: la ghiandaia, secondo gli ultimi studi, nasconde ghiande e faggiole in circa 10.000 posti diversi, ma poi non li sfrutta tutti. La parte del ghiotto bottino che non viene consumata germina in primavera e forma la riserva di base per nuovi boschi di querce o faggi. La maggior parte dei frutti, tuttavia, resta a casa.

Raggiungere nuovi orizzonti con l’aiuto di questi corrieri è un processo lungo e difficile. I depositi, infatti, vengono solitamente creati al massimo a qualche chilometro dalla pianta madre. Il viaggio prosegue dopo un’attesa che va dai 50 ai 100 anni, poiché solo a tal punto i germogli nati dai semi sono in grado di fiorire e moltiplicarsi. Con questi piccolissimi passi, quindi, la velocità di diffusione di faggi e querce non può essere che ridotta: solo 20 chilometri ogni 100 anni.

Le piante pioniere

Per le piante pioniere, la cosa è molto diversa. I loro embrioni sono leggeri come piume, nel vero senso della parola. Affinché si levino in aria al minimo alito di vento, i genitori li dotano di sistemi per volare. I semi pesanti della maggioranza di conifere e aceri possiedono vere e proprie pale da rotore. In questo modo, possono frenare la caduta dall’albero e librarsi nel cielo come elicotteri.

E meglio ancora, questi semi dalle dimensioni di granelli di polvere presentano una riduzione del peso fino a pochi milligrammi e, se sono anche muniti di peli finissimi che si muovono al primo filo d’aria, niente può più fermare il loro viaggio in terre lontane. Così equipaggiati, in caso di bufera possono coprire anche centinaia di chilometri e quindi, altrettanto velocemente, la specie di albero cui appartengono può migrare e conquistare nuovi territori. Fra i rappresentanti di questa categoria si annoverano betulle, salici e pioppi. La loro prole se ne infischia dell’educazione e della protezione dei genitori, a differenza di quanto succedeva per gli alberi delle origini, ed è allenata a puntare dritto in alto anche nel nuovo posto in cui si trova. Per farlo ha bisogno però di tanta luce a terra, luce che trova in abbondanza nei grandi spazi aperti. Il termine tecnico per questi tipi di alberi è «specie pioniere», perché sono capaci di insediarsi ovunque non vi siano ancora aree boschive. La crescita rapida le aiuta a sfuggire alla concorrenza di erbe e arbusti. Tuttavia, il rovescio della medaglia del dinamismo - per non dire fretta - tipico di questi alberi è un’aspettativa di vita molto più breve. Infatti, gli alberi pionieri non superano mai i 150 anni, e sono pochi quelli che arrivano a 100. Nella buia foresta vergine, le betulle e i loro simili non hanno alcuna probabilità di sopravvivenza, perché i loro germogli muoiono regolarmente di fame in condizioni di semioscurità perenne, perciò possono vivere solo in quelle aree in cui lo sviluppo della foresta vergine viene disturbato, con effetti devastanti, da eventi quali incendi o tempeste. Oppure possono prosperare nel vostro giardino!

Questo testo è estratto dal libro "La Saggezza degli Alberi".

Data di Pubblicazione: 2 ottobre 2017

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