EDUCAZIONE E FAMIGLIA   |   Tempo di Lettura: 10 min

L’Arte di Insegnare con l’Esempio Seguendo le Leggi Naturali dell’Apprendimento

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Anteprima del libro "La Scuola che Fa Bene" di Annalista De Stasi e Elena Conte

Dall’artigiano al coach

«Quello che sei grida così forte che non riesco a sentire ciò che dici».
Ralph Waldo Emerson

Il modello dell’artigiano... “illuminato”

Quando durante un corso di formazione ci è stata presentata da Marco Orsi, fondatore del movimento “Senza Zaino”, ci è subito piaciuta molto l’immagine dell’insegnante come artigiano in bottega con i suoi apprendisti.

Il modello dell’artigiano, peraltro sostenuto in altri termini da molti pedagogisti del Novecento, presenta risvolti molto interessanti in campo scolastico. Vediamo perché.

Emotivamente l’immagine trasporta in un quadretto tranquillo, la bottega appunto, un ambiente protetto in cui con pazienza l’artigiano insegna gradualmente il mestiere ai suoi apprendisti, che, a loro volta, ascoltano con attenzione e si cimentano nell’applicazione pratica di ciò che hanno appreso.

Ma, al di là del sereno quadretto, la metafora ci propone di vedere l'insegnante come colui che mostra sul campo i processi ai suoi studenti, e che è consapevole che sarà solo la pratica a consolidare davvero le conoscenze apprese.

L'esempio reale tra allievo e insegnante

Facciamo un esempio: invece di un insegnante che legge con gli alunni (o detta) le regole per realizzare un buon tema, o un riassunto, immaginiamo un insegnante che mostra ai suoi studenti come lui stesso scrive un tema o un riassunto.

Quanti studenti possono dire di aver visto il loro maestro o professore di lettere scrivere un tema o un saggio breve davanti ai loro occhi?

Eppure l’insegnante sa tutto di come si fa un buon tema, e corregge per anni gli errori dei suoi alunni, spesso (chissà perché...) senza generare in loro miglioramenti nel processo di scrittura. Qual è la differenza tra “dire come si fa” e “mostrare come si fa”? Lo sanno bene gli insegnanti di matematica. La differenza è che, piuttosto che enunciare regole, tu le applichi sul momento, e gli studenti vedono i passaggi che fai e ascoltano i tuoi ragionamenti ad alta voce per arrivare al prodotto finale. L’ideale è che la traccia del tema o il brano da riassumere o il problema o la pagina di scienze da schematizzare o il dossier del saggio breve, siano scelti dagli studenti e non a priori dall’insegnante, che dovrà quindi cimentarsi in un vero e proprio compito autentico ©.

Questo è sicuramente molto più motivante di una classica lezione teorica.

Se insegni nella scuola secondaria, o nelle ultime classi della primaria, farli lavorare a coppie o in piccoli gruppi per creare la traccia di lavoro, rappresenta per te un ulteriore passaggio da inserire per suscitare un prezioso, e stimolante, lavoro di metacognizione, di analisi e sintesi del compito, ed è un’attività molto divertente per loro. Pensa che in campo aziendale si pagano fior di quattrini per poter assistere al backstage della creazione e del lancio di un progetto, perché lì si svelano processi, difficoltà e trucchi del mestiere.

Ecco l’insegnante dovrebbe proprio svelare i trucchi del mestiere!

Anche perché, detto tra noi, per leggere su un libro le regole necessarie per svolgere un problema, o scrivere un tema o un riassunto, non ci sarebbe neanche bisogno della presenza dell’insegnante.

È vero che ormai i libri di testo effettivamente presentano gli esempi di esperimenti scientifici, delle varie fasi di ideazione e stesura di un riassunto o tema o saggio breve, ma non è assolutamente paragonabile vedere questi prodotti, smontati e preconfezionati nel libro di testo, o invece vedere l’insegnante che ragiona e che fa ogni passaggio davanti a te, a cui tu puoi chiedere spiegazioni sul processo che sta eseguendo.

Anche noi insegnanti quando andiamo ai corsi di aggiornamento non ci accontentiamo di teorie preconfezionate, o di tecniche descritte minuziosamente solo a livello teorico, ma chiediamo di vedere praticamente come si fa e come si applicano concretamente in classe. Il pedagogista francese recentemente scomparso Antoine de La Garanderie, che si è occupato dei processi di apprendimento per arrivare a comprendere e combattere le cause dell’insuccesso scolastico, si avvaleva di interviste a studenti di successo, in una sorta di “dialogo pedagogico”, per indagare i differenti metodi e percorsi mentali di apprendimento, per poterli poi codificare e insegnare agli studenti in difficoltà.

A un certo punto coinvolse anche gli insegnanti nelle sue interviste, chiedendo di applicare il metodo della “introspezione sperimentale”, ossia di svolgere un tipico compito scolastico (imparare a memoria, risolvere un problema, preparare un’esposizione su un tema, ecc.) e di annotare quali processi venivano messi in opera per svolgere quel compito. In seguito gli insegnanti si confrontavano tra loro.

Dal confronto emergeva, tra le altre cose, che il modo personale di lavorare influiva sul proprio modo di insegnare, e che spesso non era frutto di una scelta consapevole, tanto che molti insegnanti si rendevano conto del loro personale modo di approcciarsi al compito proprio durante i suoi corsi.

Mostrare i processi e le proprie strategie metacognitive è un modo molto stimolante e fruttuoso per lavorare sulle competenze reali con gli studenti.

Un’estensione naturale di questa pratica, così come accadrebbe nella bottega del nostro bravo artigiano, è chiedere agli studenti che iniziano a padroneggiare una competenza di insegnare ad altri in difficoltà. Anche la Montessori sottolineava che in ogni ordine di scuola si può dare la possibilità agli studenti di collaborare e di aiutarsi tra loro, in modo che siano tutti attivi, e anche perché la persona che riesce meglio a fornire le necessarie spiegazioni spesso non è l’adulto, che magari ci ha già provato, ma il compagno che ha già capito e/o fatto. Il peer tutoring, sulla base di numerose ricerche e sperimentazioni, è ormai riconosciuto come uno dei modi più efficaci per gestire i corsi di recupero, e giova molto anche a chi è chiamato ad aiutare proprio perché richiede l’adozione di preziose strategie metacognitive che, nella maggior parte dei casi, a scuola non vengono attivate. Anche permettere agli studenti di cimentarsi in un’esposizione, che sia di fronte ai compagni, a studenti di altre classi, ai genitori, in una conferenza pubblica aperta alla cittadinanza, ecc., e una ghiotta occasione di compito autentico molto motivante, che come insegnanti “illuminati” non dovremmo lasciarci sfuggire. Maria Montessori incoraggiava a far tenere conferenze agli studenti delle sue scuole proprio per far crescere esponenzialmente in loro la motivazione allo studio e all’impegno (sogno di tutti gli insegnanti). Sicuramente, in un compito del genere, è presente la motivazione legata alla situazione esterna della presentazione pubblica, ma sottilmente si alimenta anche un altro elemento che ben illustra Marco Orsi nel suo libro L’ora di lezione non basta'.

«è l’idea del lavoro ben fatto che produce una soddisfazione di per sé. L’artigiano opera certamente per avere un compenso dal suo lavoro [...] ma al di là di questo, c’è una tensione verso il lavoro svolto a “regola d’arte” che alimenta un senso di autonomia, di orgoglio e di autostima, per cui i riconoscimenti, le gratificazioni esterne anche se hanno una certa rilevanza, passano in secondo piano».

Se hai già organizzato con i tuoi studenti delle rappresentazioni teatrali, dei saggi musicali, delle mostre artistiche o conferenze scientifiche, queste parole non ti sembreranno solo ideali teorici, perché come noi avrai già toccato con mano la bellezza dell’impegno appassionato dei tuoi studenti di fronte a queste attività autentiche, che consentono un apprendimento dinamico e soddisfacente all’interno di una sana dimensione di comunità.

Il modello dell’artigiano ha ovviamente a che fare con una didattica attiva di tipo laboratoriale, che ha il suo focus nel creare le condizioni, e le occasioni, per la gestione e l’uso autonomo dei materiali da parte degli studenti.

La teoria “dell’apprendistato cognitivo”

La teoria “dell’apprendistato cognitivo” elaborata da John Seely Brown e Paul Duguid (1994) presenta i 4 passaggi del modeling (l’insegnante mostra come si fa, praticamente e come atteggiamento di fronte al compito), dello scaffolding (predisposizione di materiali e strumenti didattici facilitanti e incanalanti), del coachings del fading.

I passaggi finali del coaching e del fading meritano di essere considerati con molta attenzione e spostano la nostra immaginazione dalla bottega al campo sportivo. Ecco quindi l’insegnante coach, allenatore, che sa mettersi da parte e limitarsi a dare consigli solo se necessario.

L’insegnante coach è quello che sa affiancare gli studenti in modo tale che essi percepiscano chiaramente che è dalla loro parte, per aiutarli e sostenerli, non per giudicarli. Il tempo a scuola allora diventa piacevole, fruttuoso e ricco di soddisfazioni, sia per l’insegnante che per gli studenti. Se l’hai già provato sai di cosa stiamo parlando!

Il fading, o allontanamento, completa il processo, dando ancora più spazio ad autonomia e responsabilità degli studenti, arrivando a compiere il montessoriano “aiutami a fare da solo” e a realizzare i principi della più attuale frontiera della didattica aperta, che nella fase avanzata prevede l’organizzazione autonoma degli studenti sulla base ad esempio di agende personalizzate, che ti illustreremo nell’ultimo capitolo.

7 punti per il processo di apprendimento

Abbiamo definito il nostro insegnante artigiano “illuminato” proprio perché, dopo aver mostrato i processi (e a volte non è neanche necessario mostrarli perché basta suscitarli con i giusti materiali e le giuste strategie), sapersi fare da parte è davvero un’arte, così come saper cogliere il quando e il come intervenire per sostenere, e soprattutto non ostacolare, i processi di apprendimento. Quest’arte così fine è difficilmente trasmissibile ma si può imparare. Ecco come:

  1. con l’osservazione attenta di ciascuno dei nostri studenti in classe;
  2. restando aperti alla costante e onesta autovalutazione del nostro lavoro di insegnanti;
  3. continuando ad approfondire le conoscenze pedagogiche e le ricerche sull’apprendimento;
  4. lavorando sempre per rendere gli studenti autonomi nello studio e sereni;
  5. visitando le scuole che applicano modelli didattici e pedagogici efficaci;
  6. cercando il confronto con i colleghi che dimostrano di essere insegnanti efficaci;
  7. chiedendo regolarmente un prezioso feedback agli studenti.

Questo testo è estratto dal libro "La Scuola che Fa Bene".

Data di Pubblicazione: 30 aprile 2018

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