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Propaganda e psicopolizia ai tempi della Covid-19

Propaganda e psicopolizia ai tempi della Covid-19

Scopri come il potere si occupi di orientare e plasmare le opinioni, le abitudini e le scelte della società leggendo l'anteprima del libro di Enrica Perucchietti.

Propaganda e psicopolizia ai tempi della Covid-19

Le tecniche di cui parlava Orwell sono ancora straordinariamente attuali: se la sorveglianza onnipervasiva dell’occhio del Grande Fratello e l’azione capillare della psicopolizia si stanno concretizzando per stroncare sul nascere qualunque tipo di opposizione critica, anche la propaganda viene usata per convincere l’opinione pubblica ad abbracciare ogni provvedimento del potere facendolo ritenere “necessario”.

Il popolo è convinto di scegliere liberamente, mentre viene plasmato e indirizzato a desiderare ciò che il potere ha già preordinato per esso; infatti, come abbiamo spiegato con Gianluca Marletta nella Fabbrica della manipolatone, «chi controlla le menti controlla il potere». Nessun dominio può essere più forte e inattaccabile di quello esercitato sull’immaginario che guida e ispira la volontà di ognuno di noi.

Con l’avvento della moderna “società di massa”, il potere ha dovuto esercitarsi su un numero indefinito di persone: l’arte del controllo è diventata una scienza della manipolazione che non si limita più a esercitare una mera suggestione o una superficiale “induzione al timore”, ma riesce efficacemente a influenzare comportamenti e modi di essere, a volte senza nemmeno dover fare uso della coercizione fisica, anche grazie al supporto della sorveglianza tecnologica e dei sempre più raffinati strumenti dell’ingegneria sociale.

 

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Edward Bernays

Come già raccontavo in Fake news, la dimostrazione emblematica di come il potere si occupi di orientare e plasmare le opinioni, le abitudini e le scelte delle masse nella società democratica ci viene dal nipote di Freud, Edward Bernays - considerato il fondatore delle Pubbliche Relazioni - che nel suo saggio più famoso, Propaganda, pubblicato nel 1928, spiegava che la propaganda è fondamentale per “dare forma al caos”. Le tecniche usate dal potere per plasmare l’opinione pubblica sono state inventate e sviluppate negli anni, continuava Bernays, «via via che la società diventava più complessa e l’esigenza di un governo invisibile si rivelava sempre più necessaria».

Bernays era un vero e proprio stregone dell’informazione, nonché di quella propaganda che diede poi il titolo a una delle sue opere, ed elaborò molte delle sue tecniche partendo proprio dallo studio dei lavori dello zio, mettendole però al servizio della grande industria, della pubblicità e della nascente arte delle Pubbliche Relazioni.

Già consulente dell’ufficio americano della propaganda durante la Prima guerra mondiale, Bernays ha dominato a lungo la scena della comunicazione in America. Le sue campagne sulla manipolazione dell’opinione pubblica ottennero sempre grandi successi, anche nei periodi di crisi come la grande Depressione del 1929. Definito “il patriarca della persuasione occulta”, Bernays aveva compreso l’importanza dell’uso massiccio e spregiudicato dei media, di cui si serviva per lanciare un prodotto (per es. bacon e uova a colazione), un candidato politico, o una causa sociale (far fumare le donne per far vendere più sigarette puntando sull’emancipazione femminile e le suffragette.

Bernays ricombinò le idee di Gustave Le Bon, autore della Psicologia della folle, e altri studiosi dell’argomento, come Wilfred Trotter, con le teorie sulla psicologia elaborate da suo zio Freud, intuendo che la gente sarebbe stata sensibile a una manipolazione inconscia, basata sia sull’emotività, sia sull’uso massiccio di immagini simboliche.

Bernays comprese la potenza delle nuove tecnologie della comunicazione di massa, e concluse che una manipolazione consapevole e intelligente delle opinioni e delle abitudini delle masse avrebbe potuto svolgere un ruolo importante in una società democratica, se orientate da una regia invisibile.

L’intuizione vincente di Bernays fu, spiega l’avv. Francesco Carraro, che:

«si poteva agire sulla porzione “abissale” della mente umana per prenderne al laccio i desideri inconsci, quelli più tenaci nell’indirizzare il contegno, le voglie e, in definitiva, anche le scelte apparentemente “razionali” dell’uomo e della donna moderni»

Affidandosi pertanto alla potenza delle emozioni, elaborò una metodologia per plasmare l'immaginario collettivo ed eterodirigerlo non solo verso scelte commerciali e pubblicitarie, ma anche politiche. Si trattava in definitiva di “ingegneria del consenso”, in quanto il nipote di Freud aveva intuito che la manipolazione poteva essere “ingegnerizzata”, «cioè analiticamente studiata e soprattutto scrupolosamente applicata secondo protocolli razionali e scientifici così da amplificare al massimo grado la sua efficacia».

Le sue tecniche manipolative furono infatti impiegate dai più famosi dittatori della storia recente (Mussolini, Hitler e Stalin) ma, come anticipato e spiegato dallo stesso Bernays, vengono utilizzate ancora oggi anche e soprattutto in democrazia per “dare forma al caos”.

 

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Spin Doctor

Essendo considerato l’inventore delle Relazioni Pubbliche, Bernays diede origine anche alla figura professionale dello spin doctor e quanto da lui scritto e insegnato viene applicato ancora oggi dalla politica alla pubblicità a ogni ambito sociale e di comunicazione mediatica.

L’arte del controllo dei cervelli, infatti, è diventata una vera e propria scienza e, come ricordava nel lontano 1958 il saggista e romanziere Aldous Huxley, «chi pratica tale scienza sa quel che sta facendo e perché; ha per guida teorie e ipotesi ben fondate su massicce prove sperimentali».

Entrare nella mente e nella coscienza delle persone, agendo sulla pancia e sulle emozioni, otterrà maggiore consenso e più ampi risultati rispetto alla repressione e ai metodi coercitivi. Se alla manipolazione dolce si unisce anche il controllo delle menti tramite la paura e una propaganda capillare di stampo catastrofistico, si potrà ottenere una popolazione inerte, disorientata, docile e capace di accettare qualunque restrizione e provvedimento liberticida in nome della “sicurezza” e di quella società del rischio che abbiamo illustrato nei precedenti capitoli.

 

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Psicopolizia e delazione ai tempi della Covid

Come ho già avuto modo di illustrare in Coronavirus. Il nemico invisibile, la pandemia da Covid-19 ha svelato come i germi di un cambiamento di paradigma - una mutazione sociale, economica, politica e antropologica - fossero in potenza nella nostra società, pronti ad affiorare alla prima emergenza globale (in questo caso sanitaria).

In poche settimane ci siamo trovati catapultati in una vera e propria distopia, un «sistema totalitario, prodotto dall’incrocio tra ideologie egualitarie, capitalismo tecnologico e controllo farmaceutico», tra monitoraggio dei cittadini, dispiegamento di droni, multe selvagge, proposte di braccialetti e collari hi-tech per il distanziamento sociale, distanziamento verticale sui mezzi pubblici, psicopolizia, neolingua con l’invenzione di termini ad hoc per marchiare i dissidenti (no mask, negazionista, ecc.), censura sul web, trattamenti sanitari obbligatori, delazione, proposta di vaccinazione di massa e introduzione di un patentino vaccinale, ecc.

La paura per l’emergenza sanitaria ha portato alla costituzione di una specie di psicopolizia in cui i cittadini hanno vestito con solerzia i panni dei delatori, pronti a segnalare chiunque, secondo i parametri del catechismo scientocratico, non rispettasse le norme.

Si è così creata una sorta di caccia all’untore di manzoniana memoria (ricordate La colonna infame?) con la segnalazione virale dei comportamenti ambigui e la creazione su Facebook di gruppi ove denunciare gli eventuali trasgressori dei divieti. Insomma, la paura ha trasformato in novelli psicopoliziotti i cittadini, fomentati dalla politica che ha invocato misure sempre più stringenti, persino liberticide.

 

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E infatti in questi mesi i social sono diventati un rigurgito di violenza con l’opinione pubblica spaccata in due (schema che rimanda al metodo del Divide et Impera). I dissidenti, ossia coloro che hanno criticato l’eccesso delle restrizioni, sono stati insultati, denigrati, minacciati, rei appunto di pensare male, come se con il loro pensiero critico potessero mettere a rischio, anzi “infettare”, l’intera collettività.

Possiamo ben dire che, annebbiati, anzi schiacciati dal peso della paura, la ricerca della sicurezza abbia portato sempre più persone ad accettare di affidarsi a misure autoritarie e repressive pur di tornare a sentirsi appunto sicuri. Compresa la censura.

I poteri dominanti sembrano aver deciso di sfruttare come un pretesto la pandemia per stringere le maglie del controllo sociale grazie all’introduzione di dispositivi governativi basati sul biopotere e sulla “biosicurezza”. La paura (inoculata quotidianamente dai media mainstream, dai loro bollettini dei morti e dalla loro “criminologia sanitaria”) e la minaccia della salute, infatti, hanno indotto nell’opinione pubblica l’idea che si debba per forza scegliere tra salute e libertà per poter tornare a sentirsi “sicuri”.

Come osservava ancora Aldous Huxley, la paura intensa e prolungata provoca il collasso e uno stato di suggestionabilità intensificato che possono essere utilizzati dal potere per riprogrammare le menti:

«Se la dottrina è impartita nel modo giusto e al momento giusto dell’esaurimento nervoso, essa penetra. In condizioni opportune si può convertire in pratica chiunque, a qualunque dottrina si voglia».

E se ci pensiamo, il terrorismo mediatico, la tensione costante, la limitazione dell’attività fisica, la cancellazione delle più comuni abitudini, il distanziamento fisico e sociale, la confusione dei dati, l’informazione parcellizzata e virtuale, l’isolamento attraverso la quarantena e i lockdown sono serviti proprio a questo: a rendere passive, confuse, disorientate le persone, senza punti di riferimento, come quei detenuti sottoposti a deprivazione sensoriale, insonnia, sotto minaccia costante, in attesa di essere interrogati e poi convinti a confessare o ad accettare qualunque cosa pur di tornare a sentirsi sicuri o liberi.

Similmente, si è convinta la popolazione della necessità di cedere libertà, privacy, diritti fondamentali e acconsentire mansuetamente, mostrando una cieca e passiva obbedienza nei confronti dell’autorità.

 

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Vero e falso

Il potere, che non si identifica con la politica ma semmai la sfrutta e la dirige da dietro le quinte, approfitta dei momenti di crisi per influenzare l’opinione pubblica in modo sempre più sofisticato, imponendo inoltre un principio di autorità: in un orizzonte in cui tutto rischia di confondersi e sparire sotto il peso delle immagini, in cui tutto diventa “relativo”, virtuale e prospettico, per capire che cosa sia vero e cosa falso è necessario fare riferimento a un’autorità esterna per avere rassicurazioni e sapere come orientare le proprie scelte.

Da qua il tentativo di creare un’informazione certificata, ossia le notizie col bollino dei “professionisti dell’informazione”. Da qua la nascita e la moltiplicazione di task force e l’approvazione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sulle fake news di cui parleremo più avanti.

Citando ancora Orwell, sarebbe bene ricordare che:

«il potere non è un mezzo, è un fine. Non si stabilisce una dittatura nell’intento di salvaguardare una rivoluzione, ma si fa una rivoluzione nell’intento di stabilire una dittatura. Il fine della persecuzione è la persecuzione. Il fine della tortura è la tortura. Il fine del potere è il potere».

E il potere non tollera che si pensi in modo libero e critico. Per questo nella distopia orwelliana, come anticipato, i falsificatori del Miniver si occupano di alterare il presente e riscrivere il passato, in modo da garantire l’infallibilità del sistema.

 

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Data di Pubblicazione: 1 ottobre 2021

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