SELF-HELP E PSICOLOGIA

In quali circostanze ti senti più felice?

In quali circostanze ti senti più felice?

Cosa provano le persone quando sono più contente? E perché? Scopri il concetto di Flow leggendo l'anteprima del libro di Mihaly Csikszentmihalyi.

La felicità rivisitata

Circa 2500 anni fa, Aristotele è arrivato alla conclusione che gli uomini e le donne cercano la felicità più di ogni altra cosa. Mentre la felicità viene cercata per sé stessa, a tutti gli altri fini, come salute, bellezza, danaro o potere, si dà valore solo perché ci aspettiamo che ci renderanno felici. Molto è cambiato dai tempi di Aristotele. La nostra conoscenza dei mondi delle stelle e degli atomi è aumentata in modo incredibile. Gli dei della Grecia antica erano come bambini inermi in confronto all’umanità attuale e ai poteri che oggi possediamo. Eppure, nonostante la questione sia estremamente importante, ben poco è cambiato nel corso dei secoli. Non capiamo meglio di Aristotele in che cosa consiste la felicità e, quanto a imparare come arrivare a quello stato fortunato, si può sostenere che non abbiamo fatto nessun progresso.

Sebbene oggi si sia più sani e si viva più a lungo, sebbene anche i meno benestanti ora siano circondati da lussi materiali impensabili persino qualche decina di anni fa (c’erano poche stanze da bagno nel palazzo del Re Sole, le sedie erano rare anche nelle case medievali più ricche e nessun imperatore romano poteva accendere la televisione quando si annoiava) e indipendentemente da tutte le stupende conoscenze scientifiche che abbiamo a disposizione, spesso molti di noi finiscono per sentire che la loro vita è stata sprecata e che i loro anni, invece di essere stati pieni di felicità, sono trascorsi nell’ansia e nella noia.

È così perché il destino dell’umanità è quello di restare insoddisfatta e quindi tutti vogliono sempre più di quanto possono avere? O è perché l’eterno malessere, che spesso amareggia persino i nostri momenti più belli, è la conseguenza del fatto che cerchiamo la felicità nei posti sbagliati? Il fine di questo libro è quello di usare alcuni strumenti della psicologia moderna per indagare su questo antichissimo quesito: in quali circostanze ci sentiamo più felici? Se possiamo incominciare a trovare una risposta, forse finiremo per riuscire a impostare la vita in modo che la felicità vi abbia una parte maggiore.

Venticinque anni prima che cominciassi a scrivere queste pagine, ho fatto una scoperta e c’è voluto tutto il tempo trascorso da allora perché mi accorgessi di averla fatta. Chiamarla “scoperta” può essere fuorviarne, visto che l’uomo ne è consapevole sin dall’alba dei tempi. Eppure il termine è appropriato perché, anche se di per sé l’oggetto della mia scoperta era ben noto, non era stato descritto o spiegato in termini teorici dalla branca della scienza pertinente che, in questo caso, è la psicologia. Perciò ho dedicato il quarto di secolo successivo a indagare su questo fenomeno difficile da afferrare.

La mia “scoperta” era stata che la felicità non capita. Non è la conseguenza della fortuna o del caso. Non la si può comperare con il danaro o ottenere per forza con il potere. Non dipende dagli eventi esterni ma piuttosto da come noi li interpretiamo. La felicità, di fatto, è una condizione che va preparata, coltivata e difesa in prima persona da ognuno di noi. Le persone che imparano a controllare la loro esperienza interiore saranno capaci di determinare la qualità della loro vita, che è la cosa più vicina alla felicità che possiamo raggiungere.

Eppure non possiamo trovare la felicità cercandola deliberatamente. “Domandati se sei felice”, ha scritto J.S. Mill, “e smetterai di esserlo.” È con il coinvolgimento totale in tutti i dettagli della nostra vita, sia buoni sia cattivi, che troviamo la felicità, non sforzandoci di cercarla intenzionalmente. Lo psicologo austriaco Viktor Frankl ha riassunto perfettamente questo concetto nella prefazione del suo libro Alla ricerca di un significato della vita: “Non puntare al successo, più lo cerchi e ne fai il tuo obiettivo, più ti sfuggirà. Perché non si può inseguire il successo, come neppure la felicità; deve essere una conseguenza... l’effetto secondario non intenzionale di quando una persona si dedica a un’impresa più grande di lei”.

Allora, come raggiungere questo fine sfuggente che non si può ottenere direttamente? Le mie ricerche degli ultimi venticinque anni mi hanno convinto che un modo c’è. È una via tortuosa che comincia acquistando il controllo sui contenuti della nostra coscienza.

Avere il controllo

Il modo in cui percepiamo la nostra vita è il risultato di molte forze che formano l’esperienza e che influenzano tutte il fatto che ci sentiamo bene oppure male. La maggior parte di queste forze sfugge al nostro controllo. Possiamo fare poco per il nostro aspetto, il nostro carattere o la nostra salute. Non possiamo decidere (quanto meno per il momento) quanto diventeremo alti, quanto saremo intelligenti. Non possiamo scegliere né i genitori né la data di nascita, e non dipende né da me né da voi decidere se ci sarà una guerra o una crisi economica. Le istruzioni contenute nei nostri geni, la forza di gravità, il polline dell’aria, il periodo storico in cui siamo nati: queste condizioni e innumerevoli altre determinano quello che vediamo, come ci sentiamo, che cosa facciamo. Non c’è da meravigliarsi, se crediamo che il nostro destino dipenda soprattutto da agenti esterni.

Eppure, noi tutti abbiamo esperienza di momenti in cui, invece di essere in balia di forze senza nome, sentiamo di avere il controllo delle nostre azioni, di essere padroni del nostro destino. Nelle rare occasioni in cui succede, proviamo un senso di euforia, un sentimento di benessere interiore che ricordiamo a lungo con piacere e che diventa nella memoria una pietra miliare di come dovrebbe essere la vita.

Per esperienza ottimale intendiamo questo. È quello che prova la velista che stringe i bordi, con il vento che le fischia tra i capelli, quando la barca affronta le onde come un puledro, con le vele, lo scafo, il vento e il mare che le fanno fremere le vene con la loro armonia. È quello che prova un pittore, quando i colori sulla tela cominciano ad acquistare una tensione magnetica reciproca, e una cosa nuova, una forma vivente prende forma davanti al suo creatore meravigliato. Oppure è lo stato d’animo di un padre, quando il suo bambino risponde per la prima volta al suo sorriso. Questi fatti, però, non si verificano solo quando le condizioni esterne sono favorevoli: persone sopravvissute ai campi di concentramento o che hanno superato situazioni di pericolo quasi letale spesso ricordano che durante la loro prova sperimentavano delle epifanie straordinariamente ricche per degli eventi semplici come sentire il canto di un uccello nella foresta, portare a termine un compito difficile o dividere una crosta di pane con un amico.

Contrariamente a quanto pensiamo di solito, i momenti come questi, i momenti migliori della nostra vita, non sono quelli passivi, ricettivi e di rilassamento: benché anche tali esperienze risultino gradevoli se abbiamo faticato per ottenerle. Di solito i momenti migliori si presentano quando il corpo o la mente di una persona compiono il massimo sforzo nel tentativo volontario di realizzare qualcosa di difficile e meritevole di essere perseguito. Così, l’esperienza ottimale è qualcosa che noi facciamo accadere. Per una bambina può essere sistemare con dita tremanti l’ultimo blocco in cima alla torre che ha costruito, la più alta mai realizzata fino a quel momento; per un nuotatore può essere cercare di battere il proprio record; per un violinista padroneggiare un passaggio musicale difficile. Per ogni persona ci sono migliaia di possibilità, di sfide per crescere.

Queste esperienze non sono necessariamente piacevoli nel momento in cui si verificano. Può darsi che al nuotatore facessero male i muscoli durante quella che sarebbe diventata la sua gara più memorabile, che gli sembrasse che i polmoni stessero per scoppiare e che gli girasse la testa per la fatica: eppure questi possono essere stati i momenti migliori della sua vita. Acquistare il controllo della propria esistenza non è mai facile e qualche volta può essere decisamente doloroso. Ma alla lunga le esperienze ottimali si sommano fino a un sentimento di padronanza (o, forse meglio, fino alla consapevolezza di partecipare a determinare il contenuto della vita), che è la cosa più vicina a quanto intendiamo di solito per felicità che riusciamo a immaginare.

Il concetto di flow

Durante le mie ricerche ho cercato di capire nel modo più esatto possibile quello che provavano le persone quando erano più contente e perché. I miei primi studi sono stati effettuati su alcune centinaia di “esperti”: artisti, atleti, musicisti, maestri di scacchi e chirurghi. Si trattava cioè di persone che, a quanto pareva, dedicavano il loro tempo precisamente alle attività che preferivano. A partire dalle descrizioni di ciò che provavano mentre svolgevano le loro attività, ho elaborato una teoria dell’esperienza ottimale basata sul concetto di flow cioè lo stato in cui le persone sono così coinvolte in un’attività che sembra che non conti niente altro; inoltre, l’esperienza in sé è così soddisfacente che sarebbero disposte a svolgerla anche a un costo elevato per il solo piacere di farla.

Con l’aiuto di questo modello teorico, la mia équipe di ricercatori dell’Università di Chicago, e in seguito anche colleghi di tutto il mondo, hanno intervistato migliaia di persone di molte condizioni sociali differenti. Da queste ricerche è emerso che le esperienze ottimali vengono descritte nello stesso modo dagli uomini e dalle donne, dalle persone giovani e da quelle anziane, indipendentemente dalle differenze culturali. L’esperienza del flow non è una prerogativa delle élite ricche e che vivono nei paesi industrializzati. Viene descritta, sostanzialmente con le stesse parole, da anziane donne coreane, adulti indiani o tailandesi, adolescenti di Tokio, pastori navajo, contadini delle Alpi italiane e operai addetti alle catene di montaggio a Chicago.

Nelle prime fasi della ricerca, raccoglievamo i dati mediante interviste e questionari. Per ottenere una maggiore precisione, con il tempo, abbiamo elaborato un metodo nuovo per misurare la qualità dell'esperienza soggettiva. Secondo questa tecnica, definita Experience Sampling Method (esm, Metodo di campionatura dell’esperienza), si chiede ai soggetti di portare su di sé un cercapersone elettronico per una settimana e di scrivere quello che provano e a che cosa stanno pensando ogni volta che il cicalino suona. Il segnale viene attivato da una radiotrasmittente circa otto volte al giorno, a intervalli casuali. Alla fine della settimana, ogni soggetto fornisce una specie di registrazione continua, una sorta di videoclip in forma scritta della sua vita, costituito da una selezione di momenti rappresentativi. Ormai sono stati raccolti oltre centomila di questi campioni di esperienze in varie parti del mondo. Le conclusioni di questo volume si basano su questo corpus di dati.

La ricerca sul flow che avevo iniziato all’Università di Chicago si è diffusa in tutto il mondo. In Canada, Germania, Italia e Giappone ci sono dei ricercatori che lavorano con questo metodo. Al momento, la raccolta di dati più ampia, dopo quella di Chicago, si trova presso l’Istituto di Psicologia della Facoltà di Medicina dell’Università di Milano. Il concetto di flow è stato utilizzato dagli psicologi che studiano la felicità, la soddisfazione nella vita e la motivazione intrinseca; dai sociologi che lo vedono come il contrario dell’anomia e dell’alienazione; dagli antropologi che si occupano dei fenomeni dell’effervescenza collettiva e dei rituali. Alcuni hanno utilizzato le implicazioni del flow per tentare di comprendere l’evoluzione umana e altri per studiare l’esperienza religiosa.

Ma il flow non è solo un concetto accademico. Nel giro di pochi anni dalla sua prima pubblicazione, questo modello concettuale ha cominciato a essere applicato a svariate questioni pratiche. Tutte le volte che lo scopo è quello di migliorare la qualità della vita, la teoria del flow può offrire delle indicazioni. Ha ispirato la creazione di piani di studio sperimentali, la formazione di dirigenti d’azienda, la progettazione di prodotti e servizi per il tempo libero. Si fa riferimento al flow per elaborare idee e tecniche nella psicoterapia clinica, nella rieducazione dei delinquenti minorili, nell’organizzazione delle attività nelle case di riposo per anziani, nella progettazione di mostre nei musei e nella terapia occupazionale dei portatori di handicap. Tutto questo è successo nel giro di una dozzina di anni dalla pubblicazione nelle riviste specialistiche dei primi articoli in merito e ci sono segnali che nei prossimi anni la teoria si diffonderà ancora di più.

Data di Pubblicazione: 4 maggio 2021

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