Colpo di stato permanente
Colpo di stato permanente
Giorgio Napolitano e Mario Draghi sostituiscono Silvio Berlusconi con Mario Monti. Giorgio Napolitano, dopo aver orchestrato le date dell’elezione del Parlamento e del Presidente della Repubblica per essere rieletto, gestisce la nomina del nuovo Presidente del Consiglio, sostituendo Pier Luigi Bersani prima con Enrico Letta e poi con Matteo Renzi, nonostante la Corte costituzionale e la Corte di Cassazione abbiano evidenziato che il sistema elettorale soprannominato Porcellum era incostituzionale e quindi si doveva andare a nuove elezioni.
La revisione della Costituzione ha un obiettivo politico ben preciso: è il tentativo di portare a compimento in modo legale quel colpo di Stato architettato nell’estate del 2011 dall’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con il sostegno della Banca centrale europea (BCE). Non bisogna infatti dimenticare che la mente della riforma in corso non è certo Renzi, che è un mero esecutore, ma Napolitano, che sino alla sua peraltro meramente formale uscita di scena è stato il vero Capo del Governo, rispetto al quale prima Monti, poi Letta e infine Renzi sono stati solo dei docili strumenti.
La stagione dei “Governi del Presidente”, cominciata nell’autunno del 2011, con le dimissioni forzate di Berlusconi, ha segnato una svolta fondamentale nel nostro ordinamento. Nel nostro Paese si è, di fatto, instaurato un sistema di potere che ha colpito materialmente la nostra Costituzione rispettandone solo formalmente le regole. Potere che quindi potrà sempre dire di aver agito legalmente. Potremmo parlare di “colpo di Stato”. Ma questa espressione non indica forse una tecnica politica necessariamente illegale? E che fa un uso illegale della violenza? Non dobbiamo cadere nell’errore nel confondere la rivoluzione con il colpo di Stato. Il colpo di Stato, molto spesso, è una reazione posta in atto dal potere che si sente minacciato e non è affatto detto che debba avvenire con l’uso della violenza. È questo che chiaramente è successo in Italia, prima facendo cadere il governo Berlusconi e poi, dopo le elezioni politiche del febbraio 2013, tentando di bloccare quell’aria di rinnovamento che si cominciava a respirare con l’entrata nel Parlamento del M5S. Il potere si è chiuso a riccio rieleggendo sull’aprile del 2013 Giorgio Napolitano come Presidente della Repubblica. Beninteso - ripetiamolo - tutto ciò è avvenuto nel rispetto formale delle regole, e dunque senza violenza, e nondimeno, proprio per bloccare l’ascesa di un giovane Movimento politico, si è forzata la legalità costituzionale sino a rovesciare di fatto i princìpi di legittimità alla base dell’ordinamento repubblicano, trasformatosi in una Terza Repubblica di cui non riusciamo ancora a capire l’effettiva natura e funzionamento. Da qui nasce la necessità di una revisione della Costituzione che porti a compimento il colpo di Stato.
I Governi che si sono succeduti
I Governi che si sono succeduti, a partire da Monti, per continuare con Letta e poi con Renzi, sono stati tutti “Governi del Presidente”. Il voto di fiducia delle Camere ha funzionato soltanto come mera ratifica a posteriori di una decisione presa direttamente e sostanzialmente dal Presidente della Repubblica. La fine del governo Letta non ha neppure conosciuto una forma, benché minima, di parlamentarizzazione della crisi. Il Presidente della Repubblica, con Napolitano, da organo di “garanzia” e “arbitro neutrale” del conflitto politico è diventato il sovrano, colui che secondo Cari Schmitt decide sullo stato d’eccezione.
Napolitano ha poi lasciato nel momento in cui il vero nemico è stato neutralizzato nella sua forza eversiva, trasformato in opposizione responsabile e potenziale forza di governo, ma privo di quello slancio ideale che lo aveva inizialmente contraddistinto e che tanto aveva fatto sognare milioni di italiani. Eppure, lo “stato d’eccezione” persiste, anche dopo l’apparente uscita di scena di Napolitano. Il modo in cui si è giunti alla revisione della Costituzione e alla nuova legge elettorale ne sono la prova.
Il dibattito parlamentare è stato sistematicamente soffocato con sufficienza e disprezzo, in aperta violazione dei regolamenti, per approvare una “contro-riforma” della Costituzione e una legge elettorale, altrettanto costituzionalmente illegittima di quella precedente. Renzi, tra l’altro, è riuscito a imporre una maggioranza numerica (peraltro, variabile e “ondeggiante”) composta da deputati e senatori che hanno tradito il mandato ricevuto dagli elettori (325 “migrazioni” tra Camera e Senato, un vero e proprio record!) e ha proclamato la vittoria con uno slogan che, per una Costituzione, è un non-senso: «Abbiamo i numeri». A proposito di numeri: in meno di un anno ci sono stati 32 voti di fiducia: anche questo non era mai successo prima nella storia repubblicana.
La nuova Costituzione che ne uscirà
La nuova Costituzione che ne uscirà - considerato che è assai difficile ritenere che si tratti solo di una “legge costituzionale” - sarà espressione di un indirizzo di governo anziché l’esito di un consenso maturato fra le forze politiche. Paradossalmente per la storia del costituzionalismo e per l’etimologia stessa del termine “costituzione” (cum stare), la sua approvazione referendaria è addirittura presentata agli elettori come decisione determinante ai fini della permanenza o meno in carica di un governo.
La riforma costituzionale e la legge elettorale, il cosiddetto Italicum, sono strettamente legate, e hanno un unico obiettivo: realizzare ciò che Napolitano si è prefissato già dal 2011, vale a dire la distruzione dell’ordine costituzionale democratico e l’instaurazione di un regime postdemocratico, in cui tutto il potere sarà affidato a un Primo ministro dotato, all’interno, di poteri pressoché assoluti e, all’esterno, completamente sottoposto ai diktat dell’Unione europea e della finanza globale.
Queste “riforme” non hanno alcuna utilità pratica, “economica”, per il popolo italiano, anzi pretendono di neutralizzare ciò che nell’epoca moderna caratterizza uno Stato e il suo popolo: la sovranità. Unione europea e finanza globale hanno bisogno di eliminare quelle costituzioni, come la nostra in particolare, caratterizzate da una forte apertura sociale, espressione del costituzionalismo democratico-sociale sviluppatosi a partire dalla metà del Novecento e sostituirle con altre, prone a un neoliberalismo che, per la verità, ha già dimostrato tutta la sua impotenza.
Legge elettorale e revisione della Costituzione
La combinazione tra legge elettorale e revisione della Costituzione è micidialmente perfetta. Grazie a una legge elettorale ad hoc come l'ltalicum, con pochi voti si potrà ottenere una maggioranza fittizia, facilmente manovrabile da un capo dell’esecutivo che, con lo stravolgimento della Costituzione, sarà dotato di poteri pressoché illimitati. Dopo aver boicottato il referendum sulle trivelle e dopo elezioni amministrative che lo hanno alquanto indebolito, il Presidente del Consiglio cercherà, con l’aiuto di un Comitato per il Sì che sta già creando sezioni sparse in tutta Italia e con stampa e televisione compiacenti, di vincere la battaglia per lui decisiva, cercando di persuadere gli italiani che questa è la “riforma attesa da tempo” e che si tratta di un’occasione storica imperdibile per il popolo chiamato a confermarla con il referendum.
Renzi giocherà una carta formidabile, quella della paura, la paura che bloccando il processo in atto il Paese si avviterebbe in una spirale da cui sarebbe impossibile uscire. Come se da questa riforma dipendesse la soluzione di tutti i nostri problemi, accollando alla Costituzione colpe che sono invece in larga parte da attribuire a un ceto politico corrotto e incapace.
Renzi ha trasformato il referendum in un plebiscito sul suo governo, tanto da paventare persino l’ipotesi delle dimissioni nel caso in cui dovesse essere sconfìtto. I governi passano le costituzioni restano e noi dovremmo invece confermare la revisione della Costituzione per confermare il suo governo? Non dobbiamo lasciarci intimorire da questo ricatto. Il Presidente del Consiglio, anche se ora sembra sfumare la sua posizione, ha troppo legato il suo destino politico a questa revisione della Costituzione per non essere costretto comunque a fare il passo indietro annunciato, qualora dovesse perdere la partita del referendum. Sarà proprio la stessa minoranza interna al suo partito a chiederne lo scalpo. Tuttavia le cose a questo punto saranno più complicate di quanto si possa a prima vista pensare.
La strada per le elezioni anticipate, quella strada che - giova ricordarlo -si sarebbe dovuto imboccare subito dopo la sentenza n. 1 del 2014 della Consulta, che aveva dichiarato incostituzionale la legge elettorale, sarebbe tutt altro che spianata. Con quale sistema elettorale infatti si andrebbe a votare, nel caso non dovesse essere approvata la revisione della Costituzione? Dal momento che l'Italicum riguarda comunque solo la Camera, per il Senato a cosa si farebbe riferimento?
Inevitabile sarebbe il ricorso al Consultellum, vale a dire a ciò che risulta da la sentenza con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale il Porcellum, con il rischio alla fine di votare e ricadere nella stessa situazione attuale, o forse ancora peggio con un Senato del tutto ingovernabile dal momento che votato con il sistema proporzionale. Una legge dalle conseguenzeipermaggioritarie per la Camera e una proporzionale pura per il Senato una schizofrenia istituzionale: questo il risultato dell’attuale pasticcio. Sarà anche su questo difficile groviglio che Renzi punterà per far passare la revisione della Costituzione, sostenendo che ormai indietro non si può più tornare Ma e falso. Proprio la sconfitta referendaria farà saltare anche la legge elettorale che ad essa e intrinsecamente legata, e questo indipendentemente dal prossimo giudizio. Votando No al referendum si vota dunque indirettamente anche contro la legge elettorale e contro l’attuale Governo che ha voluto entrambe Il pallino passerà al Presidente della Repubblica che dovrà prendere atto della fine del governo Renzi e considerata l’inopportunità di sciogliere le Camere, per la ragione sopra detta, non ci sarà altra via che quella di un Governo di salvezza nazionale che dovrà occuparsi della grave situazione economica del Paese, mentre il Parlamento dovrà impegnarsi a costruire un legge elettorale con il concorso di tutte le forze politiche e nel rispetto della Costituzione. Questo scenario non presenta nulla di catastrofico, come la propaganda filogovernativa vuol farci intendere, anzi è auspicabile. Con una nuova legge elettorale finalmente il popolo potrà ritornare alle urne ed esprimersi liberamente.
Se al contrario dovessero prevalere i Sì, Renzi non avrà che da gestire la vittoria sino alla scadenza naturale della legislatura oppure approfittarne per incassare il risultato con elezioni anticipate nel 2017. C’è chi pensa, sulla base dei risultati delle ultime elezioni amministrative, che il ballottaggio potrebbe favorire il successo del M5S. Tutto è possibile, ma non cambierebbe nulla per le sorti della democrazia nel nostro Paese. Difficile però pensare che Renzi dopo aver vinto il referendum perda le elezioni. Basta in fondo un 25% circa di voti per conquistare con il ballottaggio la maggioranza assoluta alla Camera, maggioranza che sommandosi a un gruppo di senatori nominati dagli enti territoriali gli consentirebbe di fare quello che vuole: rivedere ancora più radicalmente la Costituzione, nominare il Presidente della Repubblica, conquistare il controllo della Corte costituzionale. Insomma, di fatto un minoranza si impadronisce di tutte le istituzioni, persino di quelle di garanzia. Un uomo solo al comando e senza alcun contrappeso istituzionale. Per questo bisogna cercare di bloccare la revisione costituzionale votando e convincendo a votare No al referendum.
Bisognerebbe costituire in vista del referendum una sorta di nuovo Comitato di liberazione nazionale (CLN), aperto a tutte le forze politiche disponibili a una nuova resistenza contro Renzi e contro quella parte del suo partito che ancora lo segue in questa deriva autoritaria. E da quel nuovo CLN dovrà nascere un Governo di transizione in vista di nuove elezioni.
Ma, oltre i partiti, è il popolo stesso che con comitati spontanei si sta già organizzando per questa battaglia che sarà decisiva per la sopravvivenza della democrazia nel nostro Paese. Qui veramente la divisione tra “destra” e “sinistra” non ha alcun senso, in gioco sono le regole del gioco democratico, non l’appartenenza a un partito. Si vuol trasformare la nostra democrazia parlamentare in un regime oligarchico, incentrato sul potere pressoché assoluto dell’esecutivo. Dobbiamo evitare l’approdo a una postdemocrazia oligarchica a cui mira la finanza speculativa.
Questo testo è estratto dal libro "Referendum Costituzionale: Si o No".
Data di Pubblicazione: 3 ottobre 2017