SELF-HELP E PSICOLOGIA   |   Tempo di Lettura: 7 min

La Relazione Medico-Paziente - Anteprima del libro di Emanuela Mazza

La comunicazione in medicina: competenza fondamentale oppure no?

La comunicazione in medicina: competenza fondamentale oppure no?

Non si può non comunicare.

Perché è importante la comunicazione medico-paziente?

A questa domanda hanno già risposto in tanti, molto prima di noi. Se nel V secolo a.C. Ippocrate sosteneva che “è più importante conoscere la persona che non la malattia”, nel XIX secolo il dottor Francis Peabody delPHarvard Medical School, ancora affermava che il significato della stretta relazione interpersonale tra medico e paziente non potrà mai essere troppo enfatizzato, in quanto da questo dipendono un numero infinito di diagnosi e di terapie. Una delle qualità essenziali del medico è l’interesse per l’uomo, in quanto il segreto della cura del paziente è averne cura. (Peabody, 1927)

Questa convinzione sopravvive tuttora:

La Comunicazione Medico-Paziente è parte integrante della pratica clinica. Se fatta bene, tale comunicazione produce un effetto terapeutico per il paziente, come è stato convalidato in studi controllati. Programmi di formazione convenzionali sono stati creati per migliorare e misurare specifiche capacità di comunicazione. Molti di questi sforzi, tuttavia, si concentrano su scuole di medicina e primi anni post-laurea e, di conseguenza, rimangono isolati in ambienti accademici. Pertanto, la capacità di comunicazione del medico occupato spesso restano poco sviluppate, e la necessità per i medici di diventare migliori comunicatori continua. (Travaline et al., 2005)

Il professor Fabrizio Benedetti, docente all’Università di Torino, ci fa notare che

accanto agli effetti positivi del placebo si possono registrare anche effetti negativi (effetto nocebo). Questo può accadere quando la comunicazione è frettolosa e eccessivamente ambigua e carica di suggestioni negative che nel cervello del paziente si traducono in una sensazione di minaccia per la propria salute. (Benedetti, 2012)

Ma perché è davvero importante la comunicazione medicopaziente?

Esistono alcuni studi che tracciano il quadro attuale e generale del comportamento dei medici nei confronti dei pazienti. Si tratta di studi per lo più statunitensi, ma la cosa importante di questi dati sta nel trend. Pertanto ti chiedo di leggerli e di prenderli come un’indicazione importante di un andamento, consapevole che cambiando il Paese, la cultura, il contesto del campione, potrebbero essere leggermente diversi.

  • Il 36% dei pazienti non ricorda le informazioni riguardanti la prognosi e la terapia (Ley, 1979).
  • I medici sottostimano il desiderio di informazione dei pazienti nel 65% dei colloqui (Waitzkin, 1984).
  • Il medico interrompe il resoconto del paziente dopo circa 22 secondi dall’inizio del racconto dei sintomi. Il 90% dei pazienti conclude spontaneamente il resoconto entro 92 secondi e tutti entro i 2 minuti. Nello spazio che intercorre tra i 22 e i 92 secondi viene menzionato il 75% dei sintomi. Cioè, più il paziente parla più gli vengono in mente informazioni (Langewitz et al., 2002).

Se ci concentriamo sul nostro paese, i dati rilevanti sono questi.

  • Il 53% dei pazienti sente di non aver avuto l’opportunità di riferire allo specialista qualcosa di importante durante la visita. Il 72% dice che avrebbe voluto che il gastroenterologo facesse domande più mirate e approfondite (Ricerca IMPACT, 2010).
  • Un paziente su quattro che soffre di una patologia autoimmune cronica come artrite reumatoide, spondilite anchilosante, malattia di Crohn, colite ulcerosa, psoriasi e artrite psoriasica non aderisce alle terapie prescritte, e decide autonomamente di sospendere il trattamento momentaneamente o in maniera definitiva nonostante la possibilità di andare incontro a un peggioramento delle condizioni di salute (Indagine Mosaico, 2015).
  • Il 40% delle pazienti non è soddisfatto del rapporto con il ginecologo; di questo 40%, il 94% vorrebbe che il ginecologo parlasse in modo più semplice e chiaro, il 97% vorrebbe sentirsi più a suo agio, il 100% vorrebbe un rapporto meno anonimo.

Le ragioni per cui la comunicazione medico-paziente è importante non finiscono qui. Ci sono ragioni centrate sull’essere umano e altre più legate a dinamiche economiche.

Dai dati ufficiali dell’ANIA (Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici) emerge che il numero di denunce nell’ambito dei contenziosi medico-legali è salito da 9.567 nel 1994 a 29.543 nel 2007, con un ammontare dei premi assicurativi da € 35.406.000 del 1994 a 453.000.000 del 2007. E non è tutto! Due terzi di questi contenziosi nascevano da problemi di relazione o comunicazione.

I pazienti decidono di fare causa al medico che li ha curati non tanto per incompetenza o negligenza professionale, quanto per il modo in cui li ha trattati a livello interpersonale. (Levinson et al., 1997)

Cosa succede in Italia e nel resto del mondo

Comunicare abilmente con i pazienti è un aspetto fondamentale della pratica di un medico durante tutta la sua carriera. Negli ultimi trent anni la comunicazione medico-paziente ha ricevuto una crescente attenzione nella formazione medica, soprattutto in alcune parti del mondo. Ogni scuola di medicina negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in tanti Paesi europei prevede corsi obbligatori sulle abilità di comunicazione, e molti programmi di medicina interna, medicina di famiglia e pediatrica dedicano particolare attenzione a questa materia.

Prendiamo come modello il Regno Unito. Il General Medicai Council, nel documento Tomorrow’s Doctors del 2009, al punto 15 sottolinea 1 importanza della comunicazione medicopaziente:

  • 15. Comunicare efficacemente con i pazienti e i colleghi in un contesto medico.
  • Comunicare chiaramente, con sensibilità ed efficacia con i pazienti, i loro parenti o coloro che se ne prendono cura, e con i colleghi medici e di altre professioni, ascoltando, condividendo e rispondendo.
  • Comunicare chiaramente, con sensibilità ed efficacia con persone e gruppi indipendentemente dalla loro età, tessuto sociale, culturale o etnico o dalle loro disabilita, anche (piando l’inglese non è la prima lingua del paziente.
  • Comunicare con metodi parlati, scritti ed elettronici, ed essere consapevoli degli altri metodi usati dai pazienti. Il diplomato dovrebbe apprezzare il significato della comunicazione non verbale nella consultazione medica.
  • Comunicare in maniera appropriata in situazioni difficili, come dare brutte notizie, discutere argomenti sensibili come consumo di alcol, fumo o obesità.
  • Comunicare in maniera appropriata con pazienti difficili o violenti.
  • Comunicare in maniera appropriata con persone con malattie mentali.
  • Comunicare in maniera appropriata con pazienti vulnerabili.
  • Comunicare efficacemente nei vari ruoli, per esempio, come sostenitore del paziente, insegnante, manager e leader/guida del miglioramento.

L’Unione Europea purtroppo non si è espressa in maniera dettagliata, né vincolante, sul tema della comunicazione medicopaziente. Risale al 1975 la Direttiva del Consiglio concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative per le attività di medico, che prevede tra le competenze necessarie da acquisire nell’intero ciclo di formazione

adeguate conoscenze della struttura, delle funzioni e del comportamento degli esseri umani, in buona salute e malati, nonché dei rapporti tra l’ambiente fisico e sociale dell’uomo e il suo stato di salute.

E l’Italia? Se nelle dichiarazioni di alcuni ministri e in alcuni documenti riguardanti la formazione del personale medico possiamo rintracciare una certa enfasi sulla necessità di insegnare, migliorare e aggiornare le cosiddette non technical skills, come la capacità di comunicazione, il lavoro di gruppo e la capacità di leadership, d’altra parte niente, o quasi niente, si muove a livello accademico.

Queste competenze sono considerate necessarie ma, nello stesso tempo, all’interno delle università, dei corsi ECM e nei diversi master il loro insegnamento è al massimo un evento spot di poche ore, dovuto allo spirito di inziativa di docenti, presidi o rettori illuminati e non a una vera e propria programmazione didattica strutturata. 

Questo testo è estratto dal libro "La Relazione Medico-Paziente".

Data di Pubblicazione: 1 ottobre 2017

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