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Riscrivere la tua vita a partire dall'infanzia
Ogni risposta che dai ai tuoi perché ti avvicinerà al tuo bambino ferito, tu avrai il dovere di tranquillizzarlo, perché la sua sicurezza sarà la tua crescita.
Psicoadvisor
Sii curioso
Quando siamo bambini ci lasciamo incuriosire da mille cose: le pozzanghere, le porte scorrevoli dei negozi, le nuvole che fluttuano nel cielo, le foglie secche lungo i viali, le luci delle insegne, i cani randagi... In noi vive un torrente in piena di domande.
Interroghiamo i grandi con mille perché e tutto ci affascina. Oggi siamo noi i “grandi” e possiamo lasciarci affascinare da mille e più nuovi perché, solo che questa volta i quesiti non riguarderanno il mondo intorno a noi, bensì quello che abbiamo dentro. Il piacere dalla conoscenza sarà impagabile.
Il premio Nobel Francis Crick, in relazione alla scoperta della doppia elica del DNA, parlò di “scienza dolce” per fare riferimento alla sensazione di piena soddisfazione che accompagna quelle scoperte eccezionali in grado di innescare grandi cambiamenti.
Quella stessa sensazione la sperimenterai tu più e più volte mentre ti cimenterai nella conoscenza della tua psiche. La curiosità è un’arma importante in psicologia e può diventare la tua più grande alleata.
La curiosità allontana il giudizio e l’autocritica che ti accompagnano da sempre e, quando si verifica un evento spiacevole, ti aiuta a spostare il focus dalla condanna autoinflitta ("È tutta colpa mia", "Avrei dovuto fare, dire...") ai meccanismi soggiacenti ("Perché ho agito così? Che cosa mi ha fatto scattare in quel modo? Che cosa mi ha ferito?").
Sicuramente guardandoti intorno e paragonando alcuni ambiti della tua vita a quelli degli altri, ti sarai sentito “più indietro” e ti sarai anche incolpato per questo.
Quando fallisci in un compito presupponi che la responsabilità sia sempre tua. In fondo, nessuno dice: "Sono in sovrappeso perché non ho ricevuto le validazioni che mi spettavano", oppure "Spreco il mio tempo e finisco per procrastinare i miei obiettivi perché non ho avuto il supporto di cui avevo bisogno quando ero bambino", eppure sono queste le spiegazioni profonde che dovremmo cercare e ancora di più “sentire”.
Conoscerle non giustifica i nostri fallimenti, ma ci dà una spiegazione, ci fa capire che non c'è nulla che non va in noi e che ci stiamo comportando solo come ci hanno implicitamente insegnato gli altri importanti.
Le tracce (quasi) indelebili dell'infanzia
È luogo comune pensare all'infanzia come un’epoca spensierata, fatta di giochi e sonnellini. Si tratta invece di un periodo della nostra vita niente affatto spensierato, ma fatto di faticose conquiste e feedback ambientali difficili da assimilare.
Quei feedback ci dicono in che modo, nel nostro futuro, dovremmo approcciarci al mondo, solo che non lo fanno esplicitamente: nelle fasi successive della nostra crescita ci guideranno in modalità del tutto inconsapevoli, tanto che convertiremo i modelli appresi in schemi ricorrenti, fissandoli da qualche parte nella nostra personalità.
Da adulti, quando abbiamo maggiore maturità (emotiva e cerebrale), se facciamo una nuova esperienza, questa va poi a risiedere nella nostra memoria dichiarativa.
Purtroppo da bambini le cose non funzionano così. Non abbiamo memoria dei primi anni di vita perché alcune strutture cerebrali, come per esempio l’ippocampo, non si sono ancora formate. A quell'epoca, però, è già ben strutturata l’amigdala, la principale sede delle nostre memorie emotive o memorie implicite.
Pochi si soffermano a rifletterci, ma cosa siamo noi se non un insieme di esperienze? Cosa siamo noi se non le nostre memorie? Ebbene, se le memorie esplicite sono disponibili e accessibili in ogni momento, lo stesso non vale per le memorie implicite.
Stanno lì, fissate, condizionano le nostre risposte istintive e i nostri comportamenti senza darci un perché. Un approccio curioso alla nostra vita intrapsichica ci consentirà di fornire risposte a tanti di questi perché.
Facciamo adesso un passo indietro: quali sono gli apprendimenti impliciti che acquisiamo da bambini e che ci condizionano da adulti? L'argomento ha scomodato tutti nel mondo della scienza e tanto è stato teorizzato sul concetto di imprinting.
Il premio Nobel Konrad Lorenz definì l’imprinting come la fissazione di un istinto innato su un determinato oggetto. L'oggetto doveva essere apparso in un periodo sensibile (dopo la nascita) ed essere disponibile a fornire cure primarie (cibo e riparo).
Lorenz, alimentando un gruppo di piccoli anatroccoli appena schiusi, ne diventò l’oggetto. Gli anatroccoli lo seguivano ovunque e svilupparono per lui una sorta di attaccamento. Come gli anatroccoli di Lorenz anche noi, da bambini, sviluppiamo un intenso attaccamento e costruiamo la nostra vita emotiva intorno al tipo di interazioni che abbiamo avuto con chi ci ha accuditi. Quelle interazioni sono il nostro imprinting.
Come anticipato nell’introduzione, alla nascita siamo geneticamente programmati per stringere un legame di attaccamento e portarlo avanti, anche se questo ci fa soffrire. William Fairbairn, medico e psicoanalista, studiando i bambini maltrattati rimase sorpreso dall’intensità del legame e dalla fedeltà che essi nutrivano verso i genitori maltrattanti.
Più tardi, quegli stessi bambini finivano per ricercare la sofferenza come forma di relazione con gli altri. Era quello il loro imprinting. La gran parte delle informazioni che abbiamo su chi siamo, su come funziona la vita e come funzionano i legami interpersonali, viene acquisita durante l'infanzia e codificata a partire dalle prime relazioni d’attaccamento.
Allora è tutto già scritto? Tutto già determinato dal nostro imprinting? No, perché le esperienze che compiamo da adulti, se ben elaborate, possono condizionare e modificare gli schemi e i modelli preesistenti, costruiti durante i primi anni di vita.
Impara a leggerti dentro
Analizzando il nostro comportamento in età adulta, possiamo sollevare dei perché e tentare di scavare nella nostra memoria implicita per “sentire” la risposta. Partiamo dalle domande più diffuse: "Perché mi faccio prendere dall’insicurezza?", oppure "Perché non riesco a dire no?".
Talvolta per non correre il rischio di deludere, finiamo con l’accettare situazioni scomode, prenderci più responsabilità di quante vorremmo e avere difficoltà a dire no alle richieste di amici, parenti e colleghi. Quella che genuinamente è vista come un eccesso di bontà, spesso è la manifestazione di un’insicurezza nascosta.
Un bambino che si è sentito di impiccio per i genitori, sempre troppo occupati per prestargli i dovute attenzioni, si sarà sentito non accettato e avrà realizzato al contempo di essere poco desiderabile. Quel bambino rifiutato ha dovuto imparare a contare solo sulle sue forze ed è stato costretto a crescere troppo in fretta.
Come accade sempre per le cose fatte in fretta, sono state saltate alcune tappe fondamentali per lo sviluppo affettivo. Quel bambino, maturato precocemente, non ha potuto imparare a nutrire una profonda fiducia nell’affetto dei suoi genitori e avrà esteso tale sfiducia a tutti gli altri.
Da adulto, si ritroverà a vivere con la convinzione di dovercela fare per forza da solo e che, se occorre, dovrà essere lui a prendersi cura degli altri e mai viceversa.
I bambini trascurati emotivamente, in genere, non completano neanche il processo di alfabetizzazione emotiva. L'alfabetizzazione emotiva è quell’apprendimento implicito che fa sì che da adulti saremo capaci di utilizzare le emozioni come strumenti per prendere decisioni e regolare i comportamenti.
L'alfabetizzazione emotiva consente di rispondere agilmente a domande quali: "Mi sento triste perché...", oppure "Mi sento ansioso perché...". Quando nell’infanzia viene meno, l’adulto si sentirà disorientato, confuso, e dovrà affrontare enormi sfide: se ti senti triste senza un motivo apparente, o sperimenti ansia senza capirne la causa, probabilmente non hai imparato a conoscere a fondo le tue emozioni.
Adesso, immagina di essere letteralmente catapultato nel bel mezzo di una pista da ballo mentre si tengono i mondiali di danza sportiva e di avere il dovere improrogabile di partecipare. Nei tuoi confronti vengono nutrite molte speranze, perché rappresenti il tuo Paese, ma tu non sei allenato, neanche sapevi dell’esistenza di quella competizione.
In un contesto del genere è naturale sentirsi insicuri, è naturale avere difficoltà nell’approccio e, date le mille aspettative, è naturale forzarsi alla disponibilità.
Questo è ciò che è accaduto anche alla tua vita. Per qualche motivo hai dovuto bruciare le tappe dell'infanzia e sei stato lanciato in pista a tutta velocità, senza alcuna protezione, senza allenamento e senza preparazione. Per quanto tu voglia fare appello alla tua forza interiore, se hai un imprinting emotivo disfunzionale, sarà naturale imbattersi in una miriade di difficoltà.
In più, non c'è bisogno di scomodare i fatti di cronaca e le rubriche televisive che parlano di società ed economia per comprendere che quello in cui viviamo non è l’ideale dei mondi: tutta una serie di pressioni perturba continuamente il nostro equilibrio, rappresentando una continua fonte di stress.
Da un lato abbiamo bisogno di riconquistare la nostra sfera emotiva e, dall’altro, di rispondere alle richieste della società. La sfida che siamo chiamati ad affrontare è enorme e senza il dovuto allenamento non possiamo pretendere di partecipare ad alcun mondiale, figuriamoci di vincerlo.
Allora come fare? Inizia ad allenarti usando un approccio curioso e ponendoti le giuste domande. I modelli fissati nella nostra memoria implicita non spariranno da un giorno all’altro ed è per questo che prima bisogna lavorare sulla regolazione emotiva.
Un volume emotivo elevato, infatti, interferisce con la capacità di riflettere ed elaborare nuove “modalità di essere” da fissare in memoria. La nostra memoria implicita funziona un po’ come quella di una penna usb: è sovrascrivibile, anche se i dati archiviati lasciano sempre qualche traccia!
È possibile sovrascrivere i nostri dati solo se riusciamo a comprendere e regolare le emozioni, così da poter dare un significato costruttivo a ogni esperienza che facciamo senza lasciarci guidare da stati emotivi soverchianti o da pensieri automatici, come vedremo nel terzo capitolo.
La mappa delle emozioni
Le emozioni non sono giuste o sbagliate, sono semplicemente emozioni. Però, possono essere fuori misura, di un'intensità tale da portarti a rimuginare, a fare scelte azzardate o confuse. Il volume delle emozioni è in gran parte il responsabile del nostro benessere psicofisico.
Con una buona alfabetizzazione emotiva saremo in grado di modulare l’intensità e la durata della risposta emotiva.
Per esempio, mettiamo il caso che tu stia camminando per strada, di ritorno dal supermercato. Hai deciso di preparare un pranzo delizioso e hai comprato tutti gli ingredienti. Un passante maldestro ti urta e ti fa cadere l’intera spesa. Il passante va via noncurante e non si scusa neanche!
La tua reazione di irritazione e rabbia è legittima, ma diviene disfunzionale se perdura per tutta la giornata, se quell’inconveniente (e, soprattutto, l'emozione associata) riesce a trasformare una giornata tranquilla in una pessima giornata.
Se il volume emotivo non viene regolato, potresti rischiare di rinunciare all'intento di preparare il pranzo oppure, se ti chiama un amico, potresti scaricare su di lui la tua rabbia e generare una reazione a catena di insoddisfazione.
Tutto questo, perché le emozioni sperimentate hanno perso il loro ruolo funzionale. Quando il volume delle emozioni si fa troppo intenso, soprattutto se si tratta di emozioni quali rabbia e paura, la cosa più saggia da fare è “rallentare”. Concedersi del tempo extra prima di prendere decisioni e soprattutto prima di lasciarsi condizionare.
Data di Pubblicazione: 31 agosto 2022