Alla scoperta degli insegnamenti più segreti e preziosi che Gesù Cristo ha affidato a San Giovanni, leggendo l'anteprima del nuovo libro di Daniel Meurois.
Le Rivelazioni dell'Apostolo Giovanni
Mi chiamo Giovanni
La mia vita non è altro che una successione di nascite e di morti... o di morti e rinascite. Come potrei testimoniarne altrimenti!
Nel momento in cui so che me ne andrò presto, sento il bisogno di esaminarla sotto l’effetto di una gioia segreta oppure di un’infinita nostalgia? Forse nessuna di queste risposte prevale sull’altra. Sicuramente le malinconie si nutrono delle felicità trascorse e, come queste ultime, danno vita al presente e inseminano l’orizzonte.
Mi chiamo Giovanni e mi trovo a Efeso, lì dove da molto tempo mi hanno dato il nome greco di Johannès... Una casetta dal tetto piatto fra le altre in mezzo alle rocce, un gruppo di ulivi, degli oleandri e dei fichi e poi, più lontano, dopo un gradino, un'infilata di eleganti colonne che, con i loro capitelli delicatamente colorati, si slanciano nell’azzurro. Ecco quasi tutto lo scenario in cui vivo, e non ne vorrei un altro.
Basta che io faccia qualche passo fra un disordine di asfodeli, ed eccomi vicino a un filo di acqua corrente che scaturisce dal cuore di un ammasso roccioso per intrufolarsi immediatamente tra i ciuffi d’erbe. Che cosa potrei chiedere di più?
Il mio cuore trabocca di tutto quello che un'esistenza di un uomo può aver osato invocare e che potrebbe riassumersi in una sola parola... La Luce. Una semplice parola? Direi piuttosto uno stato...
Eppure le mie gambe mi reggono appena. Non perché abbiano camminato molto più di altre, così mi sembra, ma soprattutto perché hanno cercato di accordarsi al ritmo delle visioni del Cuore che le ha sempre nutrite, ed esse vi si sono logorate. In verità una bellissima usura che si è installata dolcemente, a forza di aver visitato lo Splendore.
La paura? La sofferenza? Evidentemente le ho conosciute, come ho conosciuto mille altre cose che sono collegate a loro e che nessuno può evitare. Tuttavia... giunto al termine del mio cammino, posso dire di essere stato un uomo felice anche se continuamente sottoposto al torchio della vita. Felice di averne incontrato un altro la cui trasparenza, la potenza e l'Amore folgorante facevano sì che Lui fosse ben più di un uomo.
Lo chiamavano Jeshua... o anche il Benedetto. È sorto improvvisamente, come un amico che proviene dalle profondità delle Ere, senza che nessuno l’abbia visto avvicinarsi. Jeshua... Ormai il suo nome viaggia su così tante labbra! E infiamma tutto, anche se non parla che di Pace.
L'ultima immagine di Jeshua
L'ultima immagine di Jeshua che conservo in me mi riporta a Tiro. Evoca felicità, ma anche uno strappo... Ero appena arrivato da Efeso, per il soggiorno più breve che si possa intravedere. Su sua richiesta, avevo accompagnato da Lui Meryem, sua madre, e Sarah, sua sorella, che avevano vissuto lì negli ultimi quattro anni.
Appena lasciato il monastero? in cui si era rifugiato all’indomani del supplizio, aveva deciso di partire per andarsene lontano verso est, verso quel Paese delle Alte Cime che aveva conosciuto durante la giovinezza e che amava così tanto. Lo avrebbero accompagnato suo fratello, Tommaso, e qualcun altro che invidiavo molto.
Tuttavia, per un simile viaggio quella che gli importava più di ogni altra cosa era la presenza al suo fianco di Meryem.
Oh! Meryem... Avevo già capito bene che la sua purezza e la sua tenerezza mi sarebbero mancate tanto quanto la Sua. I pochi anni che avevo appena passato sporadicamente a Efeso, sotto il suo stesso tetto a “vegliare su di lei” rimarranno per sembra incisi nella mia memoria.
No... La madre del Benedetto non era una semplice donna fra molte altre... E devo dire che durante i lunghi periodi vissuti vicino a lei percorrendo le colline della Ionia? per condividervi il nostro Fuoco con chi voleva ricerverLo, fu piuttosto lei a vegliare su di me, sulle mie differenze, i miei dispiaceri, le mie esaltazioni, i miei bisogni di chiamare e di trasmettere l’Assoluto. Allora, impercettibilmente, lei era diventata un po’ anche mia madre, non fosse che per quello...
A Tiro, all’ingresso del porto dove ci lasciammo definitivamente e mentre lei e la discreta Sarah tentavano di contenere le lacrime sotto i loro veli, per un istante Jeshua mi posò una mano sulla spalla, poi mi disse con tono grave: "E ora vai sul tuo cammino, sul nostro cammino, Giovanni, fratello mio...".
Quando ci ripenso, quelle parole finirono di apporre un indicibile sigillo tra di noi. A meno che non fosse il richiamo di una sorta di impegno dall’eternità, di cui allora non avevo colto tutta la portata. Quel giorno mi sentii contemporanea mente solo come non mai e anche impregnato di un profumo che se me ne fossi mostrato degno, avrebbe potuto fare di me il fratello di tutto il genere umano. Ma mi vedevo così piccolo! E d’altronde come non esserlo, quando si è stati per tanto tempo così vicini all'esigenza del Sole?
Con i gomiti appoggiati al parapetto della modesta nave che mi avrebbe riportato a Efeso, dove avevo infine deciso di rimanere, guardai a lungo le fortificazioni che contraddistinguevano il porto di Tiro che si allontanavano... Un'ultima immagine...
La vista di una galea romana con il suo rostro a pelo d’acqua, la percezione di tutti quelli che vi stavano soffrendo... poi vogammo verso nord, abbandonando le coste per poi ritrovarle in seguito. Un viaggio a mezze tinte, dolce e
crudele.
Presto ci saremmo avvicinati alle coste rocciose dell’isola di Kypros... Mi ricordo ancora della mia commozione così particolare quando riconobbi gli intagli delle loro falesie che si precipitavano in mare, e soprattutto quella roccia di Paphos, in cui i Greci affermavano che una delle loro divinità, Afrodite, avesse preso corpo nella schiuma delle acque dopo un gesto collerico di quelli che loro chiamavano Titani. Quali antiche verità nascondeva tutto ciò?
Avrei voluto sapere e comprendere... Solo per spingere più in là i limiti del concepibile e mantenere attivo, come insegnava Jeshua, quello “spazio di follia” che fa sì che ci rifiutiamo di vedere soltanto “un pezzetto di cielo” là dove si dispiega un'infinità di mondi.
Dopo Kypros arrivò Rodi, un po’ verso ovest; altri venti per frustare i volti, ma sempre lo stesso mare di un blu intenso... poi una miriade di piccole isole tra le quali ci intrufolammo in compagnia di qualche delfino. Infine la sottile presenza di Efeso riemerse a poco a poco nella mia mente. Ormai sarei stato pienamente a casa mia, lì? Sembrava di sì... Ero determinato a esserlo.
Ci avevo passato troppo tempo con Meryem e Sarah perché una moltitudine di cose non si fosse incisa nella mia coscienza.
Perché il Divino dovrebbe preoccuparsi dell’umano?
All’inizio, quando le avevo aiutate a stabilirsi trovando loro una vecchia casa, ricostruendola, credetti che mi sarei smarrito e che avrei dimenticato tutto del tesoro di Pace che avevo ricevuto. Non incrociare mai più lo sguardo del Benedetto... Per i tre esiliati che eravamo allora non era stato facile, anche se avevamo accettato da molto tempo l’idea che nulla sarebbe più stato “come prima”, e che tutto sarebbe ormai dipeso dalla nostra capacità di “contaminare i cuori” con quello che viveva nei nostri.
Era più potente di ogni altra cosa... Allora, ci furono rapidamente alcune decine di uomini e donne che vennero a raccogliere i nostri racconti con i loro figli. Anime in piena germinazione ma anche un po’ dispersive che “cercavano” senza sapere bene che cosa o chi.
In quel periodo, ci furono lunghi momenti in cui mi chiedevo se il “troppo sole” che un uomo può a volte ricevere non fosse per la sua coscienza più terribile del “non abbastanza”. Spesso coloro a cui cercavamo di parlare del Benedetto e del suo modo di amare se ne trovavano disorientati.
"Perché il Divino dovrebbe preoccuparsi dell’umano?" si chiedevano. Per molte persone, il potere delle antiche certezze, l’abitudine al vago o al chiaroscuro si mostrano più rassicuranti... Non vi si corrono rischi!
A Meryem non avevo confidato nulla dei miei Stati d'animo e del mio procedere a tentoni, perché al suo fianco avrei dovuto mostrarmi forte e protettivo. E d'altronde nemmeno lei mi diceva una parola di quello che sicuramente la stava attraversando... Lei preferiva sorridere... Sorrideva come coloro che si risvegliano da un tormento troppo lungo e che nulla può più veramente toccare.
A meno che non avesse già avuto il presentimento o la visione di quello che l’attendeva un giorno... Raggiungere suo Figlio.
Aggrappato ai cordami sul davanti della nave che mi stava avvicinando a Efeso, mi abbandonai a lungo a quei ricordi, che pure non erano così lontani. Li sgranai, osando appena considerare il rinnovato slancio che avrei ancora dovuto ritrovare.
Alla fine di un pomeriggio, mentre i marinai si davano da fare sul ponte e i tre o quattro mercanti che mi servivano da compagni di viaggio radunavano i loro beni, di colpo riconobbi nella nebbia leggera i contorni che annunciavano il porto di Efeso, così bello e antico, ben al riparo delle sue rocce.
Ecco... così era fatta, avevo compiuto la mia missione riguardo Meryem. Non mi rimaneva che dissolvere quella sorta di cordone ombelicale che mi collegava a lei, “mia madre”, e poi naturalmente a “mio fratello” Jeshua e alla sua giovane sorella, Sarah. Un atto di volontà, il superamento di una dipendenza che doveva spingermi a rivelarmi maggiormente a me stesso.
Mi rivedo impugnare di fretta la mia piccola sacca di tela, mettere piede a terra scavalcando le reti dei pescatori, alzare lo sguardo sulle belle dimore che prima i Greci, poi i Romani avevano saputo costruire lì, riempirmi di meraviglia davanti a uno o due palazzi di marmo e poi infilarmi nelle viuzze delle attività commerciali ancora brulicanti di gente per poi salire una scala e trovare la strada selciata che, dopo un breve percorso a passo sostenuto, mi avrebbe condotto a quella che era stata “casa nostra”.
Le poche costruzioni che le erano vicine mi apparvero al calar della notte, nell’ora in cui la natura esala sempre i suoi profumi più delicati. Vicino a una di queste, un uomo si dava da fare a dare sollievo alla schiena di un asino liberandola dal carico delle sue ceste.
"Sei tu, Johannès? Sei già di ritorno?".
Arrivato a tiro di voce, risposi con un semplice segno del capo e un sospiro di stanchezza. Non avevo davvero voglia di parlare.
"Allora è vero? Non rivedremo più né Meryem né Sarah?".
"È vero" riuscii infine ad articolare con un sorriso un po’ forzato. "Era necessario che se ne andassero... Era necessario".
"Mi racconterai? Qui nessuno capisce il perché...".
"Non lo so... Sono stanco, fratello".
Poi spinsi i miei passi fino a una porta socchiusa che dava accesso al cortile di “casa nostra”.
L'uomo che mi aveva appena rivolto la parola si chiamava Epifanès, un cuore devoto, solido e diritto. Sempre alla ricerca di riconoscimento e di affetto, era stato uno dei primi ad ascoltarci e ad accoglierci a Efeso e, se c’era una persona la cui presenza poteva essere confortante, quella sera, era davvero lui.
Allora, confessando la mia emozione, mi voltai e lo strinsi fra le braccia.
Data di Pubblicazione: 29 novembre 2022