ALIMENTAZIONE   |   Tempo di Lettura: 10 min

La Scienza: Che roba è?

Salute! Cibo Permettendo - Stefano Montanari - Speciale

Come riconoscere il cibo che ci fa bene o male? Scoprilo leggendo il libro di Stefano Montanari, Antonietta Gatti, Alessandra Borelli e Isabella Massamba.

La Scienza: Che roba è?

La buona scienza

Tra le parole più abusare oggi, forse sul gradino più alto del podio sale a buon diritto “scienza”. Solo apparentemente una breve disamina riguardante il significato di questo concetto non ha a che fare con l'argomento del libro.

Per quanto c’interessa al momento, “scienza dell’alimentazione” è un'espressione comune, tanto da essere addirittura il titolo di una materia d’esame universitario, ed è un'espressione di regola accettata senza porsi questioni sul suo reale significato e sulla sua correttezza.

Non è raro, poi, sentire personaggi televisivi affermare severamente che “ci dobbiamo fidare della scienza”. Ma, insomma, che cosa si deve intendere con la parola “scienza”?

Dal punto di vista etimologico, il sostantivo origina dal latino “scio”, vale a dire “io so”. Che cosa una persona sappia veramente è cosa che lascio volentieri ai filosofi che da millenni si accapigliano in proposito.

Per ciò che mi riguarda, io mi accontento d’incasellare tra ciò che so quello che è dimostrato con i fatti al di là di qualsiasi dubbio. E il dubbio non sussiste quando la tesi sostenuta è confortata da risultati sempre ripetibili, e quando, in base a quella teoria, io posso prevedere senza errore ciò che accadrà quando tutte le condizioni, ma davvero tutte, sono presenti e rispettate.

Tra i mille e mille esempi possibili, possiamo prendere il caso relativo a quella che correntemente è definita “legge di gravità”, sulla cui base chiunque può prevedere senza errore ciò che accadrà in termini temporali lasciando cadere un oggetto dall’alto, da un’altezza nota, vale a dire quanto tempo impiegherà a toccare terra.

Certezze di quello stampo non ce ne sono molte, e la soverchiante maggioranza di quanto è comunemente etichettato come scienza, scienza non è.

E, allora, si spaccia per scienza qualcosa che potrà pure avere dei risvolti “democratici”, ma che di fatto lascia margine ad errori che possono essere anche molto grossolani. Come in democrazia, e prescindendo dai non pochi usi truffaldini, in questa accezione abusiva la “scienza” altro non è se non una statistica, non di rado del tutto personale, in cui si ragiona secondo ciò che accade nella maggioranza dei casi.

Questo sempre che esista un numero sufficiente di casi per ottenere una statistica che non sia campata in aria. Ma, ahimè, ci sono pure le minoranze, e quando di quella minoranza faccio parte io, per me è come se si trattasse del 100% dei casi.

Un altro malinteso comune è quello di gabellare per scienza ciò che, invece, ne è una figlia, vale a dire la tecnologia. Si tratta di un settore di ricerca finalizzata ad un risultato pratico che si vale di risultati scientifici, e questo al di là di ogni considerazione morale riguardante l'applicazione.

 

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Le caratteristiche della Scienza

Come per tanti strumenti, la scienza in sé non è né buona né cattiva, ed è solo il suo impiego a far pendere la bilancia in un senso o nell’altro. Malauguratamente, non sempre la tecnologia usa come dovrebbe i risultati scientifici, preferendo approcci che possono portare vantaggi, quasi sempre vantaggi economici, immediati, senza curarsi del futuro e, ahinoi, nemmeno del presente.

Poi ci sono gli “scienziati”, e basta accendere la TV per aprire un catalogo che fa impallidire quello di Leporello sulle conquiste di Don Giovanni. Chi usasse il sostantivo per etichettare solo chi Enrico Fermi chiamava scienziato vedrebbe ridurre il loro numero di decine o, forse, di molte centinaia di volte. Scienziato è chi ha scoperto qualcosa - sosteneva Fermi - e qui mi fermo io, lasciando che ognuno controlli e giudichi da sé.

Qualunque pretesa scientifica, poi, deve necessariamente sottostare alla critica.

Lo “scopritore” deve rispondere a tutte le domande che gli vengano poste a proposito della sua “scoperta”. Qui le possibilità sono tre. La prima è che arrivino tutte le risposte. In questo caso, è molto probabile che la scoperta non abbia bisogno di virgolette e, dunque, regga. La seconda è che le risposte non ci siano, e, allora, ciò che è sostenuto è probabilmente errato. La terza, infine, è che qualche risposta arrivi e qualche altra no.

In questo caso è probabile che ci sia ancora da lavorare. Qualunque sia l'esito del confronto, questo sarà stato utile, perché avrà fornito indicazioni importanti, e questo anche nel caso della bocciatura: non varrà la pena dedicare altro tempo, altra fatica e altre risorse.

È quando il confronto manca, peggio ancora quando è rifiutato, che di scienza non si potrà mai parlare. In definitiva, è come se ci trovassimo di fronte a qualcuno che pretende di essere un atleta e di primeggiare senza partecipare alla gara.

Restando al nostro argomento, un argomento che fa parte della medicina, è indispensabile chiarire che, appunto come la medicina, la materia dell’alimentazione non è scienza, mancandole, tra le altre caratteristiche, quella della ripetibilità.

Se due più due fa sempre quattro per la scienza, e in campo scientifico le eccezioni non esistono, basta dare un’occhiata a quanto differiscano tra loro tutti gli esemplari di Homo sapiens non solo per l'aspetto esteriore ma per come quel laboratorio complicatissimo e in parte non trascurabile sconosciuto che è il loro organismo reagisce ai vari stimoli, nel nostro caso, cibo compreso.

 

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La scienza alimentare

Al di là dei gusti personali, per avere un'idea dell’impossibilità di pronosticare e, quindi, come certificazione che non siamo nell’ambito della scienza propriamente detta, basta considerare le intolleranze e le allergie nei confronti di uno stesso cibo che, almeno la prima volta, si manifestano a sorpresa, affliggendo una persona mentre sono sconosciute ad un'altra.

Personalmente, trovo molto buffe le “certezze” dei vari guru che affollano il palcoscenico dell’alimentazione. Chi ha la pazienza di prestare ascolto ad ognuno di loro troverà argomenti più che “convincenti” per sostenere a spada tratta scelte alimentari non di rado agli antipodi l’una con l’altra, con tanto di condanne senza appello e di santificazioni.

Che l’uomo sia onnivoro è un fatto incontestabile, e di questo, fatta salva la libertà di opinione, è ingenuo non tenere conto. Che le tante etnie che popolano il Pianeta siano caratterizzate non solo da gusti alimentari ma da vere e proprie chimiche differenti nel riguardo del cibo e del suo trattamento è altrettanto indubitabile.

Proporre un'insalata ad un eschimese non riscuoterebbe successo, così come una fiorentina ad un indiano da tempo immemorabile facente parte di un popolo essenzialmente vegetariano.

Di fatto, l'alimentazione è come un abito, e un abito sta bene addosso quando è confezionato su misura. È ovvio che un libro non può arrivare a tanto.

Tutto quanto possiamo fare è riferire fatti ed esperienze, e ognuno ne faccia ciò che ritiene meglio, sempre tenendo conto del fatto che nessuno è miglior medico di sé stesso, a patto, però, che sia inflessibile e non si lasci prendere dalla tentazione di concedersi giustificazioni per qualcosa che spesso sa essere deleterio alla salute.

Per chi volesse un esempio di queste giustificazioni di comodo, ricordo quella che lo scrittore Ernest Hemingway si dava a proposito dell’alcool. Il medico glielo aveva vietato, ma lui non mancava mai di abbandonarsi ai piaceri dello champagne perché “non era alcolico”.

 

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Quando abbiamo fatto arrabbiare Giove

Noi, uomini del XXI secolo, abituati come siamo alla complessità, spesso non del tutto comprensibile ai più, di innovazioni tecnologiche che ci appaiono straordinarie, forse non ci rendiamo conto di quale, restando confinati alla tecnologia, fu il passo più grande e decisivo nella storia dell'umanità.

Si tratta della scoperta di come accendere il fuoco e, chissà quanti secoli più tardi, di come cominciare ad utilizzarlo al di là, forse, della comodità di scaldarsi e di difendersi da potenziali aggressori rappresentati da altri animali.

La scoperta fu tutt'altro che simultanea a livello planetario, con differenze temporali anche di migliaia di anni. Comunque sia, più o meno mezzo milione di anni fa, si cominciò ad accendere il fuoco.

Non sono queste le pagine adatte per dibattere delle conseguenze di quella scoperta. Qui, restando nell'argomento che ci siamo proposti, diremo soltanto che, unici animali a farlo, noi cominciammo ad affumicare e a cuocere i cibi.

La pratica permise di renderli meglio conservabili e di eliminare, uccidendoli, buona parte dei batteri, dei funghi e dei parassiti che potevano inficiarne la salubrità. L’aspetto meno positivo per noi fu quello di diventare più fragili.

A differenza degli altri inquilini della Terra, ora noi non possiamo permetterci, per esempio, di bere dalle pozzanghere o di ingerire alimenti per noi non sufficientemente puliti, vale a dire privi di almeno tanti di quei potenziali aggressori.

Ciò che accadde a partire da quel momento “tecnologico” è che noi ci siamo allontanati definitivamente dalla semplicità della Natura, e ognuno sia libero di valutarne le conseguenze.

 

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I Greci di qualche millennio fa un giudizio sulla “novità tecnologica” lo diedero inventando il mito di Prometeo, il figlio del titano Giapeto, dove i titani erano gli dèi che preesistevano agli abitatori dell’Olimpo, Giove in testa.

Riassumendo in poche righe il mito quanto mai complesso, articolato e ricco di versioni diverse che, però non ne alterano il significato, Prometeo rubò alla dea Atena uno scrigno contenente la memoria e l'intelligenza e regalò la refurtiva agli uomini.

Il che fece arrabbiare non poco Giove, il quale non si fidava affatto di come gli uomini avrebbero usato quelle possibilità, tanto che pensò di sterminarli, facendoli scomparire dal Pianeta. Ci fu, poi, qualche altro dissapore tra le due divinità, e il peggio venne quando Prometeo rubò il segreto del fuoco dall’officina di Efesto, Vulcano per i latini, che del fuoco era il possessore, regalandolo agli uomini.

Allora Giove perse la pazienza, fece catturare Prometeo, e lo incatenò ad un masso lasciando che ogni giorno arrivasse un’aquila a divorargli il fegato, fegato che ricresceva nottetempo. Detto tra parentesi, il fegato è davvero capace di rigenerarsi, e come facessero i Greci di allora a saperlo è difficile dire.

Ciò che interessa a noi, però, è che Giove rinunciò al progetto di annientamento degli uomini. Questo, semplicemente, perché si era reso conto che con il fuoco e l'intelligenza usati in modo non proprio virtuoso gli uomini avrebbero provveduto loro stessi all'esecuzione del progetto, in qualche modo risparmiandogli la fatica.

Da tutto questo, e sempre tenendo presente come il susseguirsi degli avvenimenti sia stato lentissimo e tutt'altro che contemporaneo, resta il fatto che dall'inizio dell’uso del fuoco la dieta e i gusti cambiano radicalmente, e con loro, almeno in parte, la nostra fisiologia.

 

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Data di Pubblicazione: 9 maggio 2023

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