SELF-HELP E PSICOLOGIA   |   Tempo di Lettura: 5 min

Alla scoperta della tua missione di vita

L'Arte del Lavoro - Jeff Goins - Speciale

Per quale ragione sei venuto al mondo? Scopri la missione per cui sei nato e adempi al tuo destino, leggendo l'anteprima del nuovo libro di Jeff Goins.

Alla scoperta della tua missione di vita

Una chiamata non è un piano abilmente architettato. È ciò che resta dopo che il piano è andato terribilmente storto.

Una sera di giugno del 2000, Eric Miller saltò una riunione aziendale per guardare il figlio di cinque anni giocare a Tee-ball (sport per bambini ispirato al baseball o al softball con regole semplificate, NdR). Durante la partita, lui e sua moglie Nancy si accorsero che il loro piccolo Garrett aveva difficoltà a posizionare la palla sull’apposito supporto e sembrava non riuscire a stare in equilibrio.

Preoccupati, lo portarono dal medico che ordinò immediatamente una TAC. Quando ai Miller fu chiesto di aspettare in quella che il personale medico chiama "la stanza tranquilla", Eric capì che qualcosa non andava. Lì le persone ricevevano brutte, a volte orribili, notizie. Erano le sei di sera.

Alle 11:30 Garrett fu ricoverato presso l'ospedale pediatrico di Denver, in Colorado e subito operato. La mattina dopo, il 24 giugno, un tumore grosso come una pallina da golf fu rimosso dalla parte posteriore del suo cranio. Gli fu diagnosticato un medulloblastoma, una parola che, come dice suo padre, nessun bambino dovrebbe mai conoscere. Dopo l'intervento, Garrett rimase cieco, muto e paralizzato.

Aveva bisogno di un respiratore e avrebbe dovuto imparare di nuovo a camminare, parlare e andare al bagno, ma anche se per qualche miracolo ci fosse riuscito, secondo i dottori aveva solo il 50% di possibilità di sopravvivere per altri cinque anni.

I Miller cominciarono a contare gli ultimi giorni rimasti da passare insieme al figlio.

Un giorno, nel bel mezzo dei trattamenti per il cancro, mentre guardava il figlio, Eric pensò al tempo di Garrett che stava per scadere. Nonostante le sfide che il suo piccolino stava affrontando e le relative difficoltà, egli ebbe una sorta di epifania. Lavorando nella professione medica, un settore "in cui il tempo delle persone è sempre in scadenza", Eric realizzò che sbagliava.

Non era solo la vita di Garrett che poteva finire in ogni momento: era quella di tutti loro. Non c’erano garanzie che nessuno della famiglia Miller sarebbe sopravvissuto a Garrett.

"Dovevamo vivere la vita momento per momento", mi disse Eric, "perché nessuno di noi aveva la garanzia che ci sarebbe ancora stato dopo una o due ore."

Qualunque fosse il tempo che rimaneva loro, i Miller, avrebbero vissuto la vita al massimo.

Dopo che Garrett venne dimesso dal reparto di terapia intensiva e gli fu tolto il respiratore, suo padre si domandò se ci fossero altre persone che si sentivano come lui. Seduto accanto a una vetrata dell’ospedale, pregò per una risposta alla disperazione che minacciava di distruggere quella poca speranza rimasta alla sua famiglia.

In quei giorni, scoprì la storia di Matt King, un ingegnere della IBM e famoso atleta non vedente nel ciclismo in tandem.

 

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Quell’autunno, Eric portò il figlio a un evento locale di ciclismo per fargli conoscere Matt King, e Garrett riuscì a sedersi su una bici da tandem e a stringere il manubrio con le mani, fino a sentire i pedali sotto i piedi. Fu lì che la “lampadina” di Garrett si accese.

In seguito, volle farlo di nuovo — il che, all'insaputa sia sua che del padre, iniziò un processo che avrebbe cambiato non solo le loro vite, ma anche quelle di molti altri.

Qualche mese dopo, Garrett disse a sua madre che voleva provare ad andare in bici. Lei non era molto convinta, ma lui insistette. All’epoca aveva ricominciato un po’ a vedere e riusciva a camminare, anche se limitatamente. Con l’aiuto della madre, Garrett salì sulla bici e cominciò a pedalare.

All’inizio lei lo accompagnò mentre pedalava maldestramente, per aiutarlo a stare in equilibrio, ma presto le sue gambe andarono più veloci di quanto lei potesse correre e lui le sfuggì, per provare, anche se solo per un momento, la libertà che aveva conosciuto prima che il cancro prendesse il controllo sulla sua vita.

Quello stesso giorno, suo padre comprò una bici da tandem nuova di zecca da usare insieme.

Sei mesi dopo, il 24 giugno 2001, dopo un anno di radiazioni e chemioterapia, il seienne Garrett superò il traguardo del suo primo triathlon. Il padre correva dietro di lui, spingendo la sua carrozzina. Era passato un anno dal suo primo intervento chirurgico debilitante.

Per il duo padre-figlio che ne aveva passate tante, la gara fu un modo per dichiarare al mondo, e forse a se stessi, che non avrebbero permesso a un piccolo tumore di impedir loro di vivere, di celebrare la vita. Grazie ai trattamenti clinici scelti dai suoi genitori, la percentuale di sopravvivenza di Garrett era ora aumentata del 90 percento.

Tutto questo accadde quattordici anni fa.

Da quel primo intervento chirurgico che lo aveva quasi paralizzato molti anni prima, Garrett ha gareggiato con suo padre in oltre una dozzina di gare di triathlon, nonché nel suo triathlon personale. Nonostante la sua vista non sarebbe mai tornata quella di un tempo, ora riusciva a vedere oggetti e forme sfuocati.

Era ancora ufficialmente ipovedente, ma riusciva a fare cose che i dottori avevano ritenuto impossibili. Garrett è, senza esagerare, un miracolo che cammina.

 

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L'obiettivo de "L'arte del lavoro"

Questo non è un libro sui miracoli, ma sulla scoperta della tua chiamata, su come scoprire ciò per cui sei nato. Una chiamata è quella cosa che non puoi non fare, una risposta all’annosa questione "cosa dovrei fare della mia vita?".

Ci sono libri che parlano di come trovare il lavoro dei sogni o di come si diventa esperti in qualcosa, ma questo non è uno di loro. "L’arte del lavoro" è un libro sulla vocazione, una parola che nel tempo ha perso il suo significato originale.

La parola vocazione viene dal latino vocare, che significa "chiamare". In origine veniva usata in senso religioso, come la chiamata al sacerdozio, e per secoli le persone l’hanno vista solo in quell’ottica: qualcosa di riservato a un gruppo elitario di persone, a pochi speciali che hanno avuto la fortuna di essere chiamati.

E se non fosse così? Se tutti avessero la propria chiamata?

In questo libro cercherò di ripristinare il significato originario della parola “vocazione”, che indica qualcosa di più del semplice lavoro. Attraverso storie di persone comuni, dimostrerò che gran parte di quello che pensiamo sulla chiamata (sempre che ci pensiamo) è errato.

La via per un lavoro significativo non sempre ha l’aspetto di un piano abilmente architettato. A volte è un'esperienza caotica che ci conduce al nostro scopo, e il modo in cui rispondiamo conta più di quello che ci succede.

Ogni capitolo racconta la storia di una persona diversa, illustrando un concetto importante: uno dei sette stadi della chiamata. E nonostante le storie siano diverse, hanno tutte una cosa in comune: ogni persona è rimasta in qualche modo sorpresa da ciò che ha scoperto.

 

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Penso che questa sia una storia che oggigiorno non si sente spesso, ma che può aiutarci a capire meglio il nostro viaggio personale. E cosa può mostrarcelo meglio della storia di un bambino di cinque anni che ha sconfitto il cancro al cervello e si è dedicato al triathlon?

Nei suoi diciotto anni di vita, Garrett Rush-Miller ha completato un mezzo Ironman, ha scalato Machu Picchu e si è guadagnato il grado di Eagle Scout, il grado più alto nei boy scout americani. Quando non va a scuola o lavora presso la palestra d'arrampicata della sua zona, passa il tempo libero facendo il volontario nei Wounded Warriors, una fondazione che sostiene e incoraggia i veterani di guerra. Mentre scrivo questo libro, Garrett si sta preparando per diplomarsi al liceo e sogna più che mai di avere una fidanzata.

Quando Eric mi ha mandato alcuni ritagli di giornale sulla storia di suo figlio, l’ho subito chiamato. Parlando con entrambi durante la pausa pranzo di Garrett, sono rimasto colpito dalla loro positività e dal ruolo importante della prospettiva nella loro storia. La loro non era una favola in stile “dalle stelle alle stalle” o un'esperienza super-spirituale. Era d'ispirazione ma anche molto pratica.

Tutto ciò che cercavano di fare era sopravvivere, dare un senso alla vita strada facendo, e quella storia mi risuonava.

Ho chiesto a Garrett se avesse mai pensato alla vita che avrebbe potuto avere se quel giorno non avesse perso la partita, se non avesse mai avuto il tumore e non avesse dovuto fare sessantaquattro settimane di chemioterapia.

"Ad essere onesti non ci ho mai pensato", ha ammesso, e così suo padre. Eric ha spiegato: "La realtà è che ci sono state date queste carte e le giocheremo meglio che potremo". Eric Miller ha sempre cercato di orientare il figlio verso quello che poteva fare, anziché non fare, e quelle piccole lezioni li hanno condotti verso esperienze incredibili.

Il dono che il padre di Garrett ha fatto al figlio non è stata la protezione dal dolore o dalla sofferenza — anche se a Eric sarebbe piaciuto davvero poterlo fare — ma aiutare Garrett a vedere che a rendere la vita straordinaria non sono le opportunità che riceviamo, ma quello che facciamo con esse.

 

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Data di Pubblicazione: 26 maggio 2022

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