Che cos'è una credenza? In che modo smascherare le nostre convinzioni? Scoprilo leggendo l'anteprima del libro di Christian Flèche e Olivier Franck.
Definizioni
Ciò che conta è la struttura (del problema, del pensiero, dell’esperienza)
"Il bacillo del colera — dicono — provoca il colera". Il professor Claude Bernard, prima mostrava ai suoi studenti, al microscopio, il bacillo del colera perfettamente vivo in una provetta, e alla fine della lezione ne beveva il contenuto, accompagnando quel gesto con una frase diventata celebre: "Il microbo non è nulla, il terreno è tutto".
Si beveva ogni volta l’intera provetta senza mai buscarsi il colera. L'idea che il bacillo del colera debba produrre il colera sarebbe dunque solo una credenza ordinariamente condivisa? E allora, che cosa dobbiamo intendere, per “credenza”? Quali legami esistono fra la scienza e le sue credenze, e con che limiti?
La credenza è un legame arbitrario fra due oggetti
Vi sono affermazioni, pensieri o idee che s'impongono come qualcosa di oggettivamente comprovato, ma non sempre sono vere, perché un’affermazione può essere vera in un determinato contesto e falsa in un altro. Vi sono credenze derivanti da generalizzazioni che omettono di dichiarare il contesto in cui quel medesimo enunciato sarebbe vero.
Possiamo allora dare una prima definizione: la credenza è un collegamento arbitrario fra due oggetti. Questo collegamento può essere di uguaglianza o di implicazione.
In ambito psicologico veniamo sostenuti e diretti dalle nostre credenze, le quali possiedono una struttura formale e un contenuto. Il contenuto varia all’infinito, ma la struttura è sempre la stessa: un collegamento arbitrario fra due oggetti, concreti o astratti che siano.
Ve ne sono dunque di due tipi: A = B (uguaglianza) o A + B (implicazione).
Collegamento di uguaglianza
La celebre definizione dell'amore secondo Saint-Exupéry, "Amarsi è guardare nella stessa direzione", corrisponde alla struttura o collegamento di uguaglianza, o paritetico, che lega fra loro l’amare e il guardare nella stessa direzione; altre persone potrebbero pensare che “amare è guardarsi negli occhi”, nel qual caso saremmo ancora in presenza di un collegamento di uguaglianza, per cui “amare = guardare nella stessa direzione”, oppure “amare = guardarsi negli occhi”.
Usando lo stesso tipo di struttura, molti stabiliscono un’equazione fra la propria identità e un valore: “non valgo nulla, sono un disastro”... creano, cioè, un collegamento di uguaglianza tra loro stessi (la loro identità) e una capacità, che qui è pari a zero: “io = 0”.
Collegamento di implicazione
Il secondo tipo di struttura è: questo implica quello. Qui, i due termini non sono paritetici, ma sono collegati da dipendenza o causalità. L’uno deriva dall’altro.
Volendo riprendere la definizione di amore, in questo caso potrebbe diventare “quando si ama, si dà tutto”, dove l’amore implica il fatto di dare ogni cosa e, inversamente, che non dare tutto significa non amare: “amore + dono”.
Le superstizioni del tipo “essere in tredici a tavola porta sfortuna”, sono un altro esempio di implicazione: “13 + sfortuna” ma con un collegamento causale: causa + effetto; questo comporta o produce quello. I rapporti causa-effetto sono spesso sintomo di una credenza, soprattutto quando essi si fondano su opinioni, esperienze o valori personali, e non su dati oggettivi verificabili. Proprio per questo li definiamo “collegamenti arbitrari”.
Il cervello coglie la struttura, non il contenuto
Dal punto di vista del funzionamento cognitivo, possiamo dire che il cervello coglie essenzialmente la struttura del pensiero, ossia la “grammatica” dell’esperienza, mentre i dati precisi dei contenuti esperienziali vengono spesso dimenticati o sepolti nell’inconscio, e la persona continua a procedere secondo lo schema di pensiero che si è impresso nella sua mente in quella data occasione.
Questi schemi di base agiscono in seguito su un piano inconscio come organizzatori dell’esperienza: diventano veri e propri stampi, e finiranno per dare una forma particolare, predefinita, alle nuove esperienze di vita; oppure saranno come filtri ottici in grado di deformare, colorare o contrastare percezioni, pensieri, ricordi, emozioni, comportamenti, nonché la qualità dei collegamenti fra soggetti diversi.
Ecco un esempio reale, emerso in terapia molti anni dopo l’evento a cui si riferisce.
Un bambino in età da scuola materna cerca sua madre, la quale si trova da una vicina. Sul pianerottolo, una bambina molto più grande gli dice, aggressiva: "Chi sei? Cosa ci fai qui? Tornatene a casa tua!"
Quel bambino ne sarà profondamente segnato, e per diversi anni, nelle sue relazioni con le bambine: per estensione, le considererà tutte pericolose, minacciose e ostili. Le bambine implicheranno una separazione angosciosa da sua madre.
Giunto all’adolescenza, avvicinarsi alle ragazze sarà per lui fonte d’angoscia, disagio, il che lo renderà maldestro. Lo schema “le ragazze sono pericolose” gli creerà stress e imbarazzo anche solo quando si tratterà di parlare con loro”.
Non è dunque il contenuto (quella data ragazza, quel dato giorno, sul pianerottolo...) che conta, ma la struttura del pensiero che da quell’esperienza deriva: “ragazza = minaccia”, oppure “ragazza — problema”, oppure “ragazza — insicurezza, angoscia da separazione”.
Questa struttura può declinarsi in titoli da sceneggiatura, del tipo: “la ragazza minaccia il ragazzo” oppure “il ragazzo è minacciato dalla ragazza”, a comporre uno scenario immaginario incentrato sull’angoscia da separazione, in cui i personaggi reali hanno ben poca importanza e sono di fatto intercambiabili.
Gli elementi dello scenario interiore (bambino, ragazza, minaccia) sono contenitori di pensiero, sono delle forme “prétes-à-porter” in cui, in futuro, potranno trovar posto oggetti diversi appartenenti al mondo esterno (il mondo dei contenuti), purché in qualche modo siano associabili, per similitudine, agli oggetti di partenza.
Data di Pubblicazione: 22 gennaio 2024