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Soia e i suoi derivati: Come trattarla e dove usarla
La soia è un legume che in passato veniva coltivato solamente in Estremo Oriente, dove è da sempre uno dei pilastri dell’alimentazione.
La sua coltura si è diffusa in Occidente soprattutto alla fine del XVIII secolo e, da qualche tempo, si assiste a un incremento sia delle varietà destinate all’alimentazione del bestiame sia di quelle riservate al consumo da parte degli uomini.
Cibi ottenuti dalla trasformazione dei fagioli di soia - come burger, insaccati, spezzatino e bistecche di soia, pàté, latte, formaggi, gelati, salse - hanno fatto la loro comparsa anche sul nostro mercato e sono reperibili con sempre maggior facilità. Non di meno, in seguito alla crescita della richiesta di cibi leggeri e poveri di colesterolo, i prodotti derivati dalla soia vanno conquistando simpatie sempre maggiori.
In Estremo Oriente la soia - come si accennava - è da sempre alla base dell’alimentazione umana e lo shoyu, il tempeh, il tofu, il tamari, il miso, il natto, derivati dalla trasformazione dei fagioli di soia, sono tuttora molto diffusi e dimostrano come questa leguminosa sia stata coltivata soprattutto per l’alimentazione.
La soia contiene infatti circa il 38-40% di proteine (ma può arrivare anche quasi al 50), mentre la carne bovina, per esempio, ne contiene soltanto il 18%.
Forse originaria del nord-est della Cina, la soia si trova citata in scritti del lontano 3000 a.C. con il nome di ta-teou (grande fagiolo), considerata tra le cinque piante sacre insieme a frumento, miglio, orzo e riso. Era sicuramente conosciuta ben prima di quella data e la sua presenza è rintracciabile in antichissime leggende che testimoniano la sua diffusione e la sua importanza.
Il termine “soia” (o “soja”), invece, fu molto probabilmente coniato in tutt'altro contesto, piuttosto di recente. Può anzi, per la verità, essere considerato improprio. Deriverebbe infatti da shoyu, nome giapponese di una delle salse ottenute dalla fermentazione del “grande fagiolo”. Furono forse gli olandesi, primi europei a commerciare con il Giappone, ad attribuire il nome non solamente alla salsa ma ai fagioli stessi.
In merito alle varietà di soia da consumo diretto, in Italia attualmente si sa ancora abbastanza poco. Sono diffuse soprattutto varietà a seme giallo, le più versatili in cucina, molto adatte alla trasformazione in tofu o formaggio di soia, uno dei prodotti derivati di più larga diffusione.
Si possono reperire pure varietà di soia verde (detta anche mung), particolarmente adatte a ottenere i germogli, ma c’è chi dice che il tipo verde, come anche quello rosso, meglio conosciuto con il nome giapponese di azuki, di difficile coltivazione e di prezzo piuttosto elevato, di per sé non fanno parte della famiglia della soia, ma di quella del fagiolo.
In Giappone vengono altresì coltivate anche varietà di soia nera. In ogni caso, si può dire che, in generale, la soia, nelle sue diverse varietà, è effettivamente una vera e propria miniera di fattori nutrizionali. Come si è accennato, può contenere sino al 50% di proteine; contiene anche intorno al 17-20% di grassi, il 12-25% di zuccheri, il 10% di fibra grezza, una notevole quantità di calcio, fosforo, ferro, magnesio, potassio, oltre a vitamine, sia idro- sia liposolubili.
Ha da qualche tempo interessato anche i medici per le sue a volte spettacolari capacità di ridurre il colesterolo nel sangue e di influire quindi positivamente sull'evoluzione dell’arteriosclerosi.
Come trattare i fagioli di soia
Per la preparazione e il consumo dei fagioli di soia secchi è necessario seguire alcuni accorgimenti che hanno lo scopo di renderli più facilmente digeribili e di limitarne la nocività. Tutti i legumi, non solo la soia, contengono infatti alcuni principi tossici che possono avere effetti nocivi se assunti in certe quantità. Inoltre la pellicola che li avvolge può essere causa di fastidiosi (ma non nocivi) gas intestinali.
Tali inconvenienti possono tuttavia essere risolti con un precedente ammollo in acqua, una buona cottura, una altrettanto buona masticazione, l’uso eventuale di “passati” per separarne la buccia e, comunque, un consumo non eccessivo. I numerosi prodotti derivati dalla soia, invece, non presentano questi problemi e proprio per questo sono tradizionalmente molto diffusi nelle aree nelle quali la soia vanta una coltivazione di lunga data.
Se vengono consumati sotto forma di fagiolo, i vari tipi di soia, dopo essere stati lavati, devono essere lasciati in un recipiente con abbondante acqua; i fagioli gialli necessitano di un ammollo di 48 ore; per quelli verdi è sufficiente un ammollo di 8 ore (gli azuki, se vogliamo considerarli alla stregua dei fagioli di soia, necessitano di un ammollo di circa 24 ore).
L'acqua dell’ammollo va poi buttata e i legumi in questione vanno messi in una pentola con acqua rinnovata. Dopo aver portato a ebollizione, è preferibile abbassare il fuoco al minimo, coprire con un coperchio e cuocere a fuoco moderato. Il sale deve essere aggiunto solamente a cottura ultimata per evitare l’indurimento della buccia; nell’acqua di ammollo e di cottura si può inoltre aggiungere un pezzo di alga kombu.
Gli alimenti ricavati dalla soia
Oltre che sotto forma di fagiolo, la soia, come accennato, può essere consumata sotto forma di vari prodotti trasformati, la maggior parte dei quali sono tradizionalmente un elemento importante della cucina di alcuni paesi dell’Estremo Oriente.
Tali prodotti possono essere classificati in due gruppi principali: alimenti fermentati e non fermentati. Il principali alimenti fermentati a base di soia sono: lo shoyu e il tamari, che sono due salse, il miso (una crema di soia), il tempeh (soia a forma di panetto), oltre al natto e al sufu.
I principali alimenti non fermentati sono: il latte di soia, il tofu (caglio del latte di soia, conosciuto anche come formaggio di soia), il tofu secco, lo yuba (la pellicola coagulata del latte di soia), il moyoshi (germogli di soia). Fra questi alimenti non fermentati, il tofu e i suoi derivati sono tradizionalmente i più diffusi, mentre da noi riscuote un certo successo anche la trasformazione del fagiolo per ottenerne la “carne”, sotto forma di “bistecche” o “spezzatino”, che è il risultato di alcune manipolazioni operate sul legume.
Lo shoyu
È un tipo di salsa liquida con un gusto leggermente salato e un sapore piuttosto aspro, prodotta con la fermentazione di fagioli di soia, grano, acqua e sale. Impiegato largamente in tutta l’Asia orientale, a seconda dei Paesi assume diverse denominazioni.
Tradizionalmente la fermentazione è effettuata in grandi barili di legno (solitamente cedro) nei quali vengono mescolati i fagioli di soia, il grano e il sale. Negli anni recenti però, i fagioli di soia sono stati sostituiti sempre più frequentemente. dal fagioli privati dei grassi in forma di granulato o fiocchi e vengono impiegati procedimenti che sveltiscono la preparazione della salsa e il suo invecchiamento, che dovrebbe essere prolungato sino a circa un anno e mezzo.
Le grosse industrie, inoltre, si stanno sbizzarrendo con l’uso di diversi prodotti chimici, tra cui conservanti e aromatizzanti. Troppo spesso lo shoyu (ma anche il tamari, l’altra salsa liquida di soia) viene prodotto a partire da caramello, destrosio o saccarina e alcol.
Non è sempre facile dunque poter trovare della vera salsa di soia. Quando la si trova però, si ha un prodotto che, oltre a dare un caratteristico sapore ai cibi, è in grado di fornire un notevole contributo alla nostra alimentazione dal punto di vista dell’apporto di vitamine, enzimi, fermenti e lieviti, elementi questi che risultano essere molto importanti per mantenere l’equilibrio della flora batterica intestinale e per favorire la digestione dei cibi.
La lunga fermentazione della soia, inoltre, inattiva gli elementi antinutritivi presenti nei legumi (cosa questa che vale per tutti i prodotti fermentati ricavati dalla soia). Si può usare per condire verdure e cereali, aggiunta nel piatto o negli ultimi istanti di cottura di zuppe, cereali, verdure.
Il tamari
Anche il tamari è una salsa liquida di soia, che risulta di sapore e concentrazione più forti dello shoyu: non contiene grano ma solamente fagioli di soia, sale marino e acqua. Tradizionalmente i fagioli di soia cotti, ai quali viene aggiunto il fermento, sono seccati lentamente per circa due settimane su stuoie di bambù per assicurare una fermentazione perfettamente bilanciata.
In seguito vengono posti a stagionare con il sale per un periodo di tempo che si aggira intorno ai 18 mesi (ma può essere prolungato anche sino a 24), in barili di legno. Vengono infine pressati lentamente per estrarne il liquido, a cui può essere aggiunta una piccola quantità di mirin, un liquore dolce ottenuto dalla fermentazione del riso glutinoso, che ha il compito di aiutare la conservazione.
Attualmente, purtroppo, i procedimenti per la preparazione del tamari sono a volte molto più spicci e vedono l'apporto di altri elementi, i più comuni dei quali sono l’alcol e lo zucchero, come già rilevato a proposito dello shoyu.
Proprio per le sue caratteristiche di maggior “concentrazione”, il tamari va usato preferibilmente nei mesi freddi, quando si ha bisogno di qualcosa di più energetico. Anch’esso ricchissimo di proteine, sali minerali, enzimi, si impiega nella preparazione di condimenti per insalate o viene aggiunto durante gli ultimi minuti di cottura di cereali, legumi, verdure, alghe, zuppe.
Il miso
Si presenta come una crema ed è un prodotto fermentato ottenuto da fagioli di soia e cereali alla presenza di sale. Ampiamente utilizzato in tutta l'Asia orientale, prende diverse denominazioni a seconda dei Paesi.
In Giappone, Paese dal quale il miso si è diffuso in Occidente, vengono preparati vari tipi di miso:
- il mugi miso contiene fagioli di soia, sale marino, acqua e orzo ed è lasciato fermentare per almeno 18 mesi;
- il kome miso è preparato con fagioli di soia, riso, sale e acqua ed è più leggero del precedente;
- lo hatcho miso contiene fagioli di soia, sale e acqua, senza l’impiego di cereali; è il più forte ed è lasciato fermentare per circa 24 mesi;
- il genmal miso, preparato con fagioli di soia, riso integrale e sale, è lasciato fermentare per circa un anno;
- il nattoh miso è mugi miso al quale viene aggiunto zenzero, alga kombu, malto d’orzo e viene poi fatto fermentare per un paio di mesi.
Vi sono poi altri tipi di miso. Ogni tipo di miso ha colore, sapore e caratteristiche diverse, che lo rendono consigliabile per usi diversi. Il genmal miso, il più diffuso, è aggiunto preferibilmente nelle zuppe e come condimento per le verdure. L’hatcho miso, dal sapore leggermente salato, si usa di solito per le zuppe e come condimento per i piatti di verdure ed è indicato nei mesi freddi.
Il mugi miso può essere usato quotidianamente nelle zuppe e come condimento per verdure e legumi, mentre il kome miso va impiegato possibilmente in modo saltuario, nelle zuppe e con verdure.
Tutti i tipi di miso sono in genere molto ricchi di proteine, sali minerali, vitamine e soprattutto enzimi che provvedono al buon funzionamento della flora intestinale. Se si usano nelle zuppe o nella preparazione di verdure o cereali cotti, vanno aggiunti solo alla fine della cottura, poco prima di togliere dal fuoco, stemperandoli in un poco di brodo vegetale.
Il latte di soia
Molto diffuso nei Paesi dell’Estremo Oriente e ormai introdotto anche in Europa, è ottenuto dalla soia gialla bollita e strizzata, anche se il procedimento tradizionale è stato oggigiorno sostituito da quello industriale che ha optato per metodi più veloci che, tra l’altro, non partono dai fagioli ma dalla farina di soia sgrassata.
Nell’aspetto e nel gusto il latte di soia si avvicina abbastanza al latte vaccino, anche se in realtà i due alimenti sono completamente diversi tra loro, tanto che ormai da più parti si afferma che la qualità del latte di soia può essere considerata superiore a quella del vaccino, soprattutto per il fatto che i grassi contenuti in quello di soia non sono di tipo saturo e non contengono colesterolo. Non solò, ma la presenza della lecitina sembrerebbe facilitare l'eliminazione del colesterolo stesso.
Si tratta comunque di un alimento ricco di proteine, carboidrati, lipidi e contiene buone percentuali di ferro, fosforo, calcio, potassio e vitamine.
Opportunamente trattato, inoltre, il latte di soia è utilizzato nell’alimentazione dei bambini che presentano intolleranza alle proteine o agli zuccheri del latte vaccino. Può essere facilmente ottenuto in casa e può trovare impiego anche nella preparazione di dolci o di buone colazioni nelle quali può venire dolcificato con miele o zucchero grezzo e arricchito con caffè d’orzo o vaniglia (il che consente, eventualmente, di mascherarne il sapore che, inizialmente, potrebbe lasciare un po’ perplessi).
Come fare il latte di soia in casa
Farsi il latte di soia in casa non è difficile: il procedimento è decisamente alla portata di tutti e vi proponiamo uno dei metodi più semplici: lavate e mettete anzitutto la soia in grani a bagno nell’acqua e lasciatevela per un’intera giornata o per 12 ore. Trascorso il tempo previsto, scolate i fagioli, unitevi una quantità d’acqua fresca pari a 3 volte il loro volume e frullateli.
Versate il composto in una pentola e fatelo bollire a fuoco vivace per un quarto d’ora. Poi scolate il tutto attraverso un tovagliolo e strizzatelo per bene, così da ottenere il “latte”.
Data di Pubblicazione: 28 marzo 2022