ALIMENTAZIONE

Spezie, Cacao e Tè - Anteprima del libro di Carlo Martini e Valentina Carpanese

Lo zenzero - La grande medicina e Curcuma - La spezia d'oro

Lo zenzero - La grande medicina

Lo zenzero è una spezia proveniente dal rizoma della pianta Zingiber officinale. Viene prodotta prevalentemente in India, considerato suo Paese d’origine, dove è nota con il nome di mah a aushadhi (la “grande medicina”). Ha come principali fito-composti i gingeroli, presenti in quantità leggermente maggiori nel rizoma fresco (da gratuggiare) rispetto a quello essiccato (in polvere), e gli shogaoli, che sono un prodotto della disidratazione dei gingeroli stessi, maggiormente rilevabili nel prodotto essiccato. Sono questi composti a determinarne il particolare sapore pungente. A oggi, la maggior parte della ricerca esistente è stata compiuta sulla spezia effettiva, ossia lo zenzero essiccato.

Vediamo quindi quali sono, fino a ora, le proprietà emerse dagli studi (“trial”) clinici, in cui l’estratto di radice (rizoma) di zenzero è stato solitamente assunto sotto forma di capsule, con una dose media compresa tra 1 e 3 g quotidiani.

Dolore

Persino Edzard Ernst, il primo professore al mondo con una cattedra di Medicina complementare, notoriamente conosciuto come “il flagello delle medicine alternative” per il suo approccio scettico, ha firmato una pubblicazione in cui viene riconosciuto che, in base alla letteratura esistente, lo zenzero potrebbe essere un anti-dolorifico (analgesico) efficace per dolore mestruale, osteo-artrite e dolore muscolare che segue all’allenamento fisico. Questo effetto si può probabilmente ricondurre alla capacità dello zenzero di inibire uno degli enzimi (Ciclos-sigenasi-2 o COX-2) alla base della sintesi di alcune molecole segnaletiche del dolore (prostaglandine e leucotrieni).

Sindrome premestruale e dismenorrea

Per quanto riguarda il dolore mestruale (dismenorrea) sono stati osservati benefici negli studi che hanno utilizzato capsule con una dose giornaliera di 750-2000 mg nei tre-quattro giorni che precedono l’inizio del ciclo. Questo risultato sarebbe già interessante di per sé, ma l’importanza dello zenzero nella “salute femminile” potrebbe riguardare anche altri aspetti oltre a quello della gestione del dolore. Infatti, secondo due studi portati a termine in università mediche iraniane, lo zenzero può ridurre anche la quantità di sangue persa durante il ciclo, aspetto estremamente rilevante per quelle donne che soffrono di perdite eccessive, nonché contribuire a ridurre i sintomi della sindrome premestruale (PMS), ossia quella combinazione di stati emotivi, comportamentali e fisici che precedono l’inizio del ciclo, in questo caso cominciando l’assunzione (500 mg al giorno) sette giorni prima dell’inizio delle perdite.

Tumori del colon-retto

Affrontiamo ora uno studio più tecnico, ma potenzialmente di un notevole rilievo per la salute pubblica. Si tratta di una ricerca portata a termine alla University of Michigan, secondo cui 2 g di zenzero al giorno per un mese, assunti da persone a elevato rischio di tumore al colon-retto, possono ridurre la proliferazione delle cellule nella mucosa del colon, aumentando contemporaneamente differenziazione e apoptosi (“morte programmata”), quindi i processi cellulari che anticipano la formazione dei tumori.

Di fronte a dati come questi, in cui una “semplice” spezia comincia a essere scientificamente riconosciuta come un elemento che potrebbe attivamente contribuire a ridurre l’incidenza di una delle principali cause di morte a livello mondiale, ci si aspetterebbe una ferma volontà a proseguire questo filone di ricerca. Invece, si rimane piuttosto sconcertati nello scoprire che l’unico commento pubblicato a questo studio è stato quello del professore di medicina oncologica Gary Stoner che, anziché incoraggiare l’avanzamento delle ricerche, ha sostenuto che «prima di procedere con uno studio clinico più grande [...] sembra prudente confermare che lo zenzero sia chemo-preventivo per il cancro del colon-retto negli animali».

E importante aprire una breve parentesi e osservare che di fronte ai fallimenti storici della sperimentazione su animali come mezzo di ricerca in campo nutrizionale, oncologico e delle malattie infiammatorie, risulta estremamente dubbia la “prudenza” che dovrebbe portare a impiegare altre specie anziché quella umana. A tal proposito, riportiamo una citazione del professor Marco Mamone Capria da Scienziati e laici (2015), testo di cui consigliamo caldamente la lettura a tutte le persone interessate a conoscere più da vicino i meccanismi della ricerca scientifica e medica:

In realtà si dovrebbe devivisezionare l’informazione medico-sanitaria, cioè smettere di inquinare le informazioni genuine che provengono dalla ricerca su popolazioni, individui, organi e tessuti umani, simulazioni informatiche ecc. con il guazzabuglio di risultati effìmeri e contraddittori associati ai “modelli animali”.

Diabete mellito di tipo 2

Svariati trial clinici condotti tra il 2013 e il 2014 su persone diabetiche hanno dimostrato che lo zenzero permette di ridurre la concentrazione di glucosio nel sangue a digiuno (glicemia basale) e anche la misura media della glicemia in un periodo di alcuni mesi (emoglobina glicata, HbAlc).

Nausea

Lo zenzero in polvere si rivela in grado di bloccare la nausea in varie situazioni: mal d’auto, d’aereo, di mare, nausea da gravidanza, post-o-peratoria o indotta da farmaci come quelli anti-retrovirali o chemioterapici. In particolare, per quanto riguarda la gravidanza, oltre a essersi dimostrato un prodotto efficace (almeno pari alla già nota vitamina B-6), lo zenzero si è anche dimostrato sicuro, purché non si raggiungano livelli di consumo estremi (oltre i 20 g al giorno), che potrebbero indurre stimolazioni uterine, pericolose per il feto.

Emicrania

Lo zenzero si è rivelato efficace come uno dei più diffusi farmaci antiemicrania al mondo, il sumatriptan, con il non irrilevante vantaggio di permettere sia un risparmio economico sia l’assenza di tutti gli effetti collaterali associati al medicinale, tra cui disturbi cardiovascolari potenzialmente fatali. Il confronto è stato svolto in uno studio dell’università iraniana Zanjan University of Medicai Science limitatamente a pazienti che soffrivano di emicrania senza aura, ossia senza quei disturbi transitori sensoriali, motori o del linguaggio che precedono il verificarsi di un mal di testa.

Di fronte a questi risultati, siamo dell’idea che il nome indiano la “grande medicina” non sia poi così esagerato. Lo zenzero può essere sicuramente un rimedio possibile da valutare con il proprio medico di fiducia per vari problemi di salute. Anche in un’ottica di prevenzione, lo si può considerare una preziosa aggiunta ai propri piatti e alle proprie tisane, aspetto di cui riparleremo nella sezione dedicata alle ricette e alle indicazioni pratiche.

Curcuma - La spezia d'oro

La curcuma è una spezia proveniente dal rizoma della pianta Curcuma longa (anche detta Curcuma domestica), prodotta prevalentemente in India, in particolare a Erode, città situata nello stato meridionale del Tamil Nadu e conosciuta come “Città Gialla”, per il colore della polvere di curcuma.

Vediamo, anche relativamente alla “spezia d’oro”, in quali casi potrebbe essere d’aiuto il suo utilizzo.

Morbo di Alzheimer

Si ipotizza che le proprietà della curcuma possano spiegare l’associazione tra consumo frequente di curry - nota miscela di spezie ed erbe, tra cui appunto la curcuma e il pepe nero — e la minore incidenza di declino cognitivo tra gli anziani di Singapore, nonché i livelli straordinariamente bassi di Alzheimer riscontrati nel sub-continente indiano, dove c’è una delle minori incidenze di questa ma lattia a livello mondiale. Ciò potrebbe essere dovuto alla capacità della curcuma di contenere i peptidi beta-amilodi, ossia i principali costituenti delle placche senili che caratterizzano il morbo di Alzheimer.

In base a questo tipo di documentazione, alcuni medici giapponesi (Kariya Toyota General Hospital) in collaborazione con un’accademia ayurvedica (Nippon Ayurveda School), hanno testato delle capsule di curcuma (circa 750 mg al giorno) su un piccolo numero di pazienti malati di Alzheimer, registrando nell’arco di un anno buone riprese a livello cognitivo, comportamentale e psicologico, con i primi risultati già dopo poche settimane.

È giusto ricordare che altri due studi negli Stati Uniti e a Hong Kong non hanno ottenuto lo stesso esito. Fra questi e la ricerca giapponese c’è però una differenza fondamentale, che a nostro avviso meriterebbe un approfondimento con ulteriori ricerche a finanziamento pubblico: gli scienziati giapponesi hanno utilizzato della curcuma integrale, mentre quelli statunitensi e cinesi solamente il suo principale composto bio-attivo, la curcumina, parte di una famiglia di composti detti curcuminoidi, che è il pigmento responsabile del peculiare colore di questa spezia. La curcumina, per quanto predominante, è solo uno delle centinaia di composti bio-attivi di probabile rilevanza per la salute umana presenti nella curcuma. Siamo dell’idea che, sia nella ricerca sia nella produzione industriale di prodotti in capsule, la priorità dovrebbe essere quella di mantenere il più possibile la complessità e la sinergia di nutrienti e fito-composti che troviamo nel mondo naturale. A tal riguardo, citiamo un commento dell’amico Oreste Maestroni, consulente dietologo specializzato in alimentazione psicosomatica, con un’esperienza professionale pluridecennale nel campo dell’erboristica, che sembra veramente adatto al caso in questione:

Ce un enorme errore di fondo negli studi che vengono fatti perché non viene mai valutato l’insieme globale della complessità della natura: si isola la sostanza, si sperimenta in dosi massicce e si cerca poi la miglior fonte [...] Più sperimentiamo su sostanze isolate e più ci allontaniamo da risultati concreti.

D’altronde, non vogliamo certamente negare che i supplementi di composti isolati possano essere indispensabili o perlomeno utili in alcuni specifici contesti, di cui parleremo a breve riferendoci a quei problemi (calcolosi) per cui potrebbe essere raccomandabile limitare l’uso delle spezie appartenenti alla famiglia delle Zingiberaceae, come appunto la curcuma.

Infiammazioni

La curcuma è nota anche come potente anti-infiammatorio: gli studi, anche solo sulla curcumina isolata, hanno fornito incoraggianti indicazioni di efficacia per le malattie infiammatorie a livello cutaneo (psoriasi), intestinale (morbo di Crohn e colite ulcerosa), oculare (uveite anteriore cronica e pseudotumor orbitario) e articolare (artrite reumatoide).

Data la loro rilevanza per la salute pubblica, soffermiamoci sugli studi relativi alle malattie artritiche. Un lavoro collaborativo tra un centro medico indiano (Nirmala Medicai Centre) e uno americano (Baylor University Medicai Center) ha rilevato come 500 mg di curcumina al giorno siano più efficaci nel migliorare i sintomi delfartrite reumatoide rispetto al diclofenac, ossia il principale farmaco anti-infiammatorio utilizzato per trattare questa condizione auto-immune.

Similmente, in uno studio dalla Thailandia (Mahidol University) su persone afflitte dall’osteoartrite del ginocchio - altra malattia infiammatoria, caratterizzata, nello specifico, dalla perdita di cartilagine nell’articolazione - l’assunzione di un estratto di curcuma (2 g al giorno) per sei settimane ha riportato effetti equivalenti a quelli dell’assunzione del farmaco ibuprofene, con miglioramenti sia nel dolore sia nella funzionalità del ginocchio. Questi risultati sono stati corroborati da ricercatori italiani dell’Università di Chieti-Pescara, in quello che hanno definito «il più ambizioso tentativo, a oggi, di valutare l’efficacia clinica e la sicurezza della curcumina come agente anti-infiammatorio». Nello studio, durato otto mesi con la partecipazione di 100 pazienti osteoartritici, l’aggiunta della curcumina alle terapie convenzionali ha permesso evidenti miglioramenti in svariati parametri clinici e biochimici rispetto all’uso esclusivo delle terapie convenzionali.

Continuando la panoramica sull’infiammazione, ritroviamo la curcuma come possibile terapia per la nefrite lupica, infiammazione dei reni causata dal lupus eritematoso sistemico, una grave malattia del sistema auto-immunitario. È stato nuovamente un centro di ricerca iraniano (Shiraz University of Medicai Sciences) a darcene prova: 3 capsule di curcuma (500 mg al giorno), assunte quotidianamente per tre mesi da pazienti che soffrivano di nefrite resistente alla terapie (refrattaria) o con la tendenza a ripresentarsi dopo la terapia standard (recidivante).

Hanno permesso un miglioramento delle principali manifestazioni cliniche della malattia: pressione sanguigna, nonché perdita di proteine e sangue nelle urine (proteinuria ed ematuria).

Tumori

Grazie alle proprietà anti-ossidanti e anti-in-fiammatorie dimostrate nelle ricerche di laboratorio, è stato ipotizzato che la curcuma sia in grado di contribuire al minor tasso di tumori rilevabile in India rispetto ai Paesi occidentali. Già oggi abbiamo a disposizione studi che hanno testato la curcuma con finalità terapeutiche: in particolare, uno condotto tra pazienti della Cleveland Clinic (Stati Uniti) malati di poliposi adenomatosa familiare, una condizione ereditaria che si manifesta nella proliferazione di centinaia di polipi nel colon, che precedono un tumore vero e proprio. L’assunzione di curcumina (480 mg) insieme al lito-composto isolato quercetina (20 mg) tre volte al giorno si è tradotta in una riduzione sia del numero (riduzione del 60%) sia delle dimensioni (riduzione del 50%) dei polipi.

In generale, parlando di curcuma e curcumina rispetto ai tumori e ad altre malattie, gli studi condotti finora sono ancora prevalentemente nella “fase 1” della ricerca clinica, quella in cui si analizza non tanto l’efficacia quanto la sicurezza e la farmaco-cinetica della sostanza, ossia il modo in cui i composti vengono metabolizzati dal nostro corpo. Tali studi hanno permesso di capire che la curcumina è un composto sicuro, ma con una scarsa bio-disponibilità: ciò vuol dire che solo una piccola parte di questa sostanza riesce a entrare in circolo nel sangue in forma inalterata, poiché viene metabolizzata ed espulsa velocemente dal fegato e dalle pareti intestinali, con conseguente limitazione dei suoi effetti.

Per questo motivo, affinché i curcuminoidi siano in grado di intervenire sulle infiammazioni organiche in atto, dimostrando per esempio di abbassare i livelli circolanti di proteina C reattiva (CRP), ossia uno dei più importanti indicatori (bio-marcatori) di processi infiammatori, è importante non solo la durata del trattamento, che dovrebbe protrarsi minimo per varie settimane, ma anche un’assunzione calibrata in modo da favorirne la biodisponibilità. Come fare?

Il primo metodo, in realtà, l’abbiamo già citato: consumando direttamente la curcuma integralmente anziché la curcumina, in quanto alcuni suoi oli permettono di bypassare il fegato e di farla assorbire nel sangue attraverso il sistema linfatico. Similmente, risulta utile assumere la curcuma insieme a una fonte di grassi.

C’è però un secondo modo di favorire l’assorbimento di questa sostanza: abbinare la curcuma a piccole quantità di pepe, che è in grado di aumentarne il tempo di permanenza nel sangue e quindi il suo effetto sistemico, grazie all’alcaloide piperina, un potente inibitore della metabolizzazione di sostanze farmacologiche.

Questo testo è estratto dal libro "Spezie, Cacao e Tè".

Data di Pubblicazione: 1 ottobre 2017

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