SPIRITUALITÀ ED ESOTERISMO   |   Tempo di Lettura: 6 min

Stargate - Il Cielo degli Egizi - Anteprima del Libro di Massimo Barbetta

Stargate Massimo Barbetta

Il viaggio nei misteri dell'astronomia egizia sulle tracce degli Dei

L'astronomia Egizia

Secondo alcuni studiosi di archeo-astronomia, gli antichi egizi, dal punto di vista astronomico, erano soliti dividere lo spazio celeste loro circostante, in tre zone orizzontali sovrapposte e tra loro parallele. La parte più alta del cielo era, dagli egizi, connessa alle stelle definite “instancabili” o “che non periscono” (chiamate rispettivamente “Akhmiu urtchu” e “Akhmiu seku”) secondo Ernest Alfred Thompson Wallis-Budge, in quanto restavano sempre al di sopra dell’orizzonte visuale.

La zona vicino al polo nord celeste aveva, infatti, una peculiare rilevanza religiosa cultuale nella religione astronomica egizia. Invece la parte di cielo compresa fra l’Eclittica e queste stelle «che non tramontavano mai», dava origine a molte di quelle costellazioni che troviamo istoriate ritualmente quasi ovunque, sui soffitti astronomici delle tombe di re, principi e dignitari egiziani, anche se inspiegabilmente rovesciate sul piano orizzontale, quasi fossero un’immagine speculare.

La parte inferiore del cielo veniva divisa in settori larghi circa 10° ognuno, ma con una certa variabilità tra loro, che andavano, molto spesso, dalla linea dell’orizzonte visuale sino all’Eclittica, il “cammino” virtuale del sole, che, nel corso dell’anno solare, si spostava sullo sfondo delle varie costellazioni zodiacali, anche se alcuni studiosi, analizzando alcuni zodiaci, ipotizzano che un piccolo numero di Decani potesse corrispondere integralmente ad alcune costellazioni zodiacali.

Decani

Il termine “Decani”, a quanto riporta il testo del Libro di Nut, tuttavia, non sarebbe tanto dovuto all’estensione di fasce parallele di 10° circa, di ogni singolo Decano, che, comunque, verrebbe grossolanamente rispettata, come reputava l’astronomia ellenistica, quanto al fatto che, ogni dieci giorni, cambiava la stella che determinava la prima ora della notte, secondo i calcoli compiuti degli astronomi egizi, facendo così avanzare di 60 minuti tutta la volta celeste visibile.

Tuttavia Angelo Angelini ritiene che il singolo Decano stellare andasse considerato come «uno spicchio d’arancia che, partendo dallo zenit dell’osservatore, giungeva all’orizzonte per proseguire verso il nadir». Lo stesso Angelini ci riferisce, poi, che i Decani erano chiamati dagli egizi: “le stelle magnifiche”, “le stelle che danno vita”, “le anime che danno vita”, “le stelle protettrici”, “le divine”, “le lampade”. Anche il matematico austriaco e astronomo Otto Neugebauer e l’egittologo Richard Parker confermano che «i Decani si trovano in una fascia a sud dell’Eclittica».

Secondo l’egittologo torinese Carlo Gallo, che riprende l’interpretazione di Otto Neugebauer e Richard Parker, invece,

«i Decani erano delle stelle, o, a volte, gruppi di stelle, che, con le loro levate eliache serali, prima, e con i loro transiti al meridiano, poi, servivano a indicare le ore della notte. Essi vanno considerati come 36 intervalli consecutivi posti sulla sfera celeste come se formassero una “cintura decanale” posta a sud dell’Eclittica».

Sul fatto che i Decani fossero 36, concordano gli stessi antichi egizi, che ne offrono una valutazione religiosa, come conferma il papiro ieratico Bulak 3, citato da Angelini:

«Si portano qui le figure degli Dei del Sud e del Nord per te, con 36 nomi. Tu vai come se essi fossero un’anima completa, li devi adorare in cielo; tu sei sotto le stelle dei 36 Decani».

36 spicchi di cielo

Ognuno di questi 36 spicchi paralleli di cielo, possedeva, peraltro, un nome specifico, dato loro dai sacerdoti astronomi egizi, che erano soliti osservare il cielo usando il “Merkhet”, la «palma “astrologica” Ludwig Borchardt e dall’egittologo tedesco Adolf Erman, e che, a loro volta, la riprendevano da Clemente Alessandrino, unitamente alla «squadra con filo a piombo». Con questi utensili essi erano soliti scrutare quali stelle caratteristiche si stagliavano, a varia altezza dall’orizzonte visuale, in ognuna di queste fasce celesti adiacenti, che costituivano i Decani.

I Decani abbracciavano, dunque, l’intero orizzonte visuale dell’osservatore: essi erano, come detto, 36 e si alternavano, secondo un preciso ordine, che variava ogni 10 giorni, nel corso delle tre stagioni in cui era diviso l’anno egizio (“Akhet”, “Peret” e “Shemu”). Secondo alcuni studiosi il sistema Decanale, peraltro, risaliva a un periodo che oscillava tra il 2400 e il 2800 a.C., anche se alcuni ipotizzano una data ancora precedente.

Durante l’anno solare, alcune di queste 36 stelle decanali erano poste nella parte di cielo visibile all’osservatore, altre, invece, restavano nella parte di cielo al di sotto dell’orizzonte.

Esse, pur restando, di fatto, nel cielo, erano poste apparentemente, sotto terra, poiché dovevano effettuare un “viaggio” da ovest a est, che doveva poi farle sorgere, o ri-sorgere, ogni anno, all’orizzonte orientale del cielo.

Questa porzione di cielo nascosto, perché invisibile all’osservatore, essendo collocata, in senso molto lato, sotto-terra, costituiva, durante il periodo dinastico, il “Duat”, che gli egizi collegavano al mondo dei Morti o degli Spiriti.

La natura celeste, seppure non visibile all’osservatore, del “Duat” è chiarita dai Testi delle Piramidi che, alla Formula 151, affermano: «Orione è circondato dal “Duat”, puro e vivente, Sirio è circondato dal “Duat” puro e vivente». Nella Formula 882 abbiamo poi: «O re, tu sei la grande stella, il compagno di Orione (Procione?), che attraversa il cielo con Orione, che naviga nel “Duat” con Osiride». Nella Formula 953, infine, leggiamo: «Io siedo tra voi, stelle del “Duat”». Come confermano lo storico Guy Rachet e il celebre autore di Mito e simbolo nell’antico Egitto, Robert Thomas Rundle Clark in periodo pre-dinastico e, forse, proto-dinastico, il “Duat” era genericamente collocato in cielo e, più precisamente, «oltre la volta visibile del cielo» (il “ventre di Nut”).

L’egittologo, filologo e orientalista Ernest Alfred Thompson Wallis Budge confermava che:

«si riteneva che il “Duat” fosse situato non sotto la Terra, ma oltre la Terra, probabilmente in cielo, e certamente vicino alla regione celeste in cui abitavano gli dèi».

Questo testo è stato tratto dal libro Stargate di Massimo Barbetta

Data di Pubblicazione: 3 ottobre 2017

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