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Storia dei Quanti: un viaggio nell'infinitamente piccolo

Nel suo libro, Chiara Zagonel ti accompagna in un viaggio alla scoperta della fisica quantistica

La teoria atomistica greca e la sua ripresa nel Rinascimento, la legge delle proporzioni multiple di Dalton, la legge di Avogadro e la tavola periodica di Mendeleev. Scopri di più leggendo l'anteprima del libro di Chiara Zagonel.

Come è stato fatto notare nel capitolo precedente, anche se la nascita della scienza moderna può essere individuata più o meno nel Milleseicento, in realtà le sue radici affondano nell’antichità. Ad esempio, l’indagine legata alla natura della materia era un argomento su cui avevano già dibattuto a lungo i filosofi greci. Alcuni tra loro pensavano che la materia fosse infinitamente divisibile, identificando nell’acqua, nel fuoco o in altro, il principio originario di cui essa era costituita.

A questi si contrapposero alcuni pensatori che sostenevano invece che la materia fosse composta da piccolissime particelle indivisibili. Questa concezione discontinua della materia risale al V secolo a.C. quando Leucippo per la prima volta introdusse il concetto di atomo. Atomo deriva dalla parola greca témnō (tagliare), che preceduta dalla a iniziale assume appunto il significato di indivisibile. In realtà la figura di Leucippo è avvolta in un velo di mistero visto che di lui non esistono tracce se non negli scritti del suo allievo Democrito (IV secolo a.C.). E così è a quest’ultimo che si attribuisce la paternità della teoria atomistica.

Fin dalla sua ideazione la teoria atomistica trovò ovunque degli oppositori, il più celebre tra tutti Aristotele (IV secolo a.C.). Per Aristotele tutto era riconducibile a quattro elementi: la terra, il fuoco, l’aria e l’acqua. A questi si aggiungeva l’etere, una sostanza misteriosa che permeava tutto l’Universo e lo riempiva. Insomma, per Aristotele il vuoto non sussisteva e pertanto gli atomi immutabili di Democrito non potevano esistere, perché si sarebbero dovuti collocare in uno spazio che per forza di cose doveva essere vuoto.

La teoria atomistica fu ripresa nel III secolo a.C. da Epicuro che, oltre a differenziare gli atomi per forma, ordine e posizione come aveva fatto Democrito, attribuì loro un peso, che causava un moto verticale di caduta, e una deviazione da tale moto che permetteva loro di aggregarsi.

Gli atomi sono presenti anche nel De rerum natura del poeta latino Lucrezio (I secolo d.C.), ma successivamente il pensiero aristotelico dominante e quello della Chiesa, che trovava nella teoria di Democrito molti elementi caratteristici dell’ateismo, si imposero definitivamente cancellandone ogni traccia per molti secoli.

Nel Milleseicento però la teoria atomistica ritornò sulla scena grazie agli scritti di Giordano Bruno (1548-1600) e dell’abate Pierre Gassendi (1592-1655). Quest’ultimo si occupò di filosofia, teologia, matematica, astronomia e astrologia, opponendosi proprio all’autorità del pensiero aristotelico. Gassendi intrattenne una corrispondenza con Galilei e come lui era convinto che gli esperimenti fossero fondamentali nella ricerca della verità.

Lo stesso Newton può essere annoverato tra gli atomisti. Egli, pur non usando il termine atomo, pensava che la materia fosse costituita da piccole particelle tra cui esistevano delle forze di attrazione reciproca.

Nel Millesettecento il concetto di atomo fu utilizzato soprattutto dai chimici per interpretare come si combinavano tra loro gli elementi e per lo studio del comportamento dei gas.

Il chimico inglese John Dalton (1766-1856) nel 1808 formulò la legge delle proporzioni multiple, che regola appunto la combinazione degli elementi chimici nella formazione dei composti. Da tale legge risulta evidente che non si possono prendere masse casuali di elementi chimici differenti per combinarle tra loro. Ad esempio Dalton scoprì che 1 grammo di carbonio poteva legarsi solamente a 1,33 grammi di ossigeno o a una quantità esattamente doppia, ovvero 2,66 grammi. Tutto ciò poteva essere spiegato supponendo che i due diversi composti così ottenuti fossero in realtà formati da particelle che si combinavano tra loro solamente come entità indivisibili, ossia secondo numeri interi.

Con la sua legge Dalton contribuì notevolmente alla popolarità del concetto di atomo, che rimaneva però solamente un’idea astratta, dato che una verifica sperimentale della sua esistenza ancora non era stata effettuata e non si sapeva come realizzarla.

Meno noti sono gli studi che Dalton dedicò ai suoi occhi, affetti da un disturbo che appunto venne chiamato daltonismo. Nel suo testamento lasciò disposizione che alla morte gli occhi gli venissero rimossi per essere analizzati, alla ricerca della causa di questo difetto.

Un altro scienziato il cui lavoro fu determinante per la diffusione del concetto di atomo fu il piemontese Amedeo Avogadro di Quaregna (1776-1856). Di antica famiglia nobile, si laureò brillantemente in giurisprudenza e diritto canonico a soli 20 anni e, tenendo fede al suo cognome che deriva dalla parola latina advocatus, iniziò a lavorare come avvocato dei poveri. Tuttavia la passione per le scienze, che condivideva con il fratello Felice, alla fine lo spinse a lasciare il campo giuridico per dedicarsi alla ricerca e all’insegnamento della fisica e della matematica.

Il contributo scientifico più significativo di Avogadro risale al 1811 e consiste in una legge secondo la quale volumi uguali di gas differenti, alla stessa pressione e temperatura, contengono lo stesso numero di molecole. Fu il primo a distinguere tra le molecole e gli atomi (da lui chiamati molecole elementari). In quel periodo, infatti, c’era molta confusione tra i due concetti e anche lo stesso Dalton non li distingueva.

Riservato di carattere, Avogadro, che nonostante il suo aspetto fisico non propriamente piacevole era molto apprezzato dalle donne, insegnò fisica matematica all’università di Torino, anche se venne sospeso temporaneamente nel 1821 perché sospettato di aver appoggiato i moti rivoluzionari e pertanto fu invitato dall’università a prendersi una pausa.

La legge di Avogadro non ebbe molto successo tra i suoi contemporanei e ne venne compresa l’importanza solamente nel 1860 a opera del chimico palermitano Stanislao Cannizzaro (1826-1910). Erano passati quasi cinquant’anni dalla sua formulazione e nel frattempo Avogadro era morto.

L’elenco degli elementi chimici, che Lavoisier aveva compilato nel 1789 all’interno del suo Traité élémentaire de chimie, ne contava 33 e durante tutto il Milleottocento si allungò sempre di più. I chimici cominciavano perciò a sentire l’esigenza di mettere un po’ d’ordine, tenendo conto sia dei pesi sia delle proprietà degli atomi dei vari elementi. Insieme ad altri, vi riuscì il chimico russo Dmitrij Mendeleev (1834-1907) che nel 1869 propose una tabella dove gli atomi erano disposti in righe e colonne, procedendo dal più leggero al più pesante. In questa tavola periodica degli elementi, come venne chiamata, ciascuna colonna conteneva gli atomi che mostravano caratteristiche chimiche simili. Per rispettare il periodico comparire di queste proprietà, Mendeleev lasciò dei posti vuoti, auspicando che in futuro si sarebbero scoperti gli elementi mancanti. Questa previsione si rivelò corretta mentre Mendeleev era ancora in vita ed egli poté assistere al trionfo delle sue ipotesi.

Alla fine del Milleottocento, anche se continuavano a mancare delle evidenti prove sperimentali a favore della sua esistenza, l’atomo era diventato un concetto molto familiare agli scienziati, che vi ricorrevano sempre più spesso per interpretare il comportamento della materia. Non mancarono però illustri e irriducibili oppositori della teoria atomistica, come il chimico tedesco Wilhelm Ostwald (1853-1932) e soprattutto il fisico austriaco Ernst Mach (1838-1916) che non credeva nel potere conoscitivo delle teorie e accettava solamente le relazioni tra dati sperimentali.

Data di Pubblicazione: 11 luglio 2019

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