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Storia della Psiconautica

Le tecnologie del sacro arcaiche, aborigene e moderne

Prima di iniziare a esplorare i temi specifici di questa enciclopedia, desidero chiarire alcuni dei termini di cui mi servirò nella trattazione. Attingerò a sessant'anni di osservazioni ed esperienze personali, maturate durante la ricerca di un vasto e importante sottogruppo di stati di coscienza non ordinari dotati di straordinario potere guaritore, trasformativo, evolutivo ed euristico. La psichiatria moderna non attribuisce una particolare denominazione a tali stati e li concepisce indistintamente come distorsioni patologiche (“stati alterati”).

 

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Gli stati di coscienza olotropici

Fin dagli inizi della mia carriera mi resi conto del grande potenziale benefico di questi stati e della stringente necessità di porre rimedio a quell'errore. Decisi dunque di coniare un neologismo, definendoli stati “olotropici”, termine la cui etimologia rimanda all’atto di andare verso l’interezza (dal greco holos, “totalità”, “intero” e trepo/trepein, “in movimento verso” o “orientato verso qualcosa”).

Pur essendo un neologismo, il termine olotropico si ricollega al termine d’uso comune eliotropismo, che denota la proprietà delle piante di orientarsi nella direzione del sole.

L’espressione “stati alterati di coscienza”, comunemente in uso presso i clinici e i teorici tradizionali, non è appropriata, poiché pone un’enfasi univoca sulla distorsione o sulla compromissione del “modo giusto” di vivere se stessi e il mondo (nell’inglese colloquiale e nel gergo veterinario il verbo to alter, ‘alterare’, sta a indicare la castrazione dei cani e gatti domestici). La terminologia, leggermente migliore, di “stati di coscienza non ordinari” è troppo vasta e generica, poiché include una vasta gamma di condizioni che non hanno le proprietà benefiche degli stati olotropici. Essa include i banali deliri causati da patologie infettive, dall’abuso di alcolici o da malattie circolatorie e neurodegenerative.

Tali alterazioni della coscienza sono associate a disorientamento, deficit intellettivi e susseguente amnesia; esse rivestono un'importanza clinica ma sono prive di potenziale terapeutico ed euristico. 

Ai confronto, gli stati che definisco olotropici sono dotati di notevole rilevanza teorica e pratica. Sono gli stati vissuti dagli sciamani novizi durante le crisi iniziatiche e che successivamente essi stessi inducono nei loro assistiti a scopo terapeutico. Le culture arcaiche e indigene facevano ricorso a questi stati nei riti di passaggio e nelle cerimonie di guarigione. Anche le esperienze iniziatiche concernenti gli antichi misteri della morte e della rinascita, e quelle descritte dai mistici di ogni epoca e di molti paesi, rappresentano ulteriori esempi di esperienze olotropiche.

Una serie di procedure finalizzate all’induzione di questi stati (dette “tecnologie del sacro”) fu sviluppata e attuata anche nell’ambito delle grandi religioni mondiali: induismo, buddhismo, jainismo, taoismo, islamismo, giudaismo e cristianesimo. Esse comportano pratiche quali la meditazione, la meditazione in movimento, gli esercizi di respirazione, la preghiera, il digiuno, la privazione del sonno e perfino il ricorso al dolore fisico.

I più potenti mezzi di induzione di esperienze olotropiche sono le piante psichedeliche, gli alcaloidi attivi puri che se ne estraggono e gli enteogeni sintetici. Esistono altresì potenti modelli di psicoterapia esperienziale, quali il rebirthing, la Respirazione Olotropica e altri ancora, che sono in grado di indurre questi stati senza servirsi di medicine psichedeliche.

Il termine “olotropico” rimanda a qualcosa che potrebbe sorprendere l’occidentale medio, ossia l’idea che nel nostro stato ordinario di coscienza noi usiamo solo una minima parte del nostro potere esperienziale e che non siamo consapevoli della piena estensione del nostro essere.

Gli stati di coscienza olotropici hanno il potere di aiutarci, nelle parole del filosofo e scrittore angloamericano Alan Watts, a infrangere il "tabù contro il sapere chi siamo" e a comprendere che non siamo "degli Io incapsulati nella pelle" e che, a tale riguardo, in definitiva siamo commisurati al principio creatore cosmico (Watts 1973).

 

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Pierre Teilhard de Chardin, paleontologo, gesuita e filosofo francese, ha espresso il concetto in altro modo: "Non siamo esseri umani che vivono esperienze spirituali, siamo esseri spirituali che vivono esperienze umane" (Teilhard de Chardin 1975).

Questa sorprendente idea non è nuova. Nell'antica Chandogya Upanishad indiana la risposta alla domanda "Chi sono io?" è "Tat tvam asi". Questa sintetica frase in lingua sanscrita significa letteralmente: "Tu sei Quello" o "Tu sei la Divina Essenza".

Indica cioè che non siamo “nama-rupa” — nome e forma (corpo/ego) — e che la nostra identità più profonda si rifà a una scintilla divina di energia creativa cosmica, custodita nel nucleo profondo del nostro essere (Atman), che in ultima analisi è identificabile col supremo principio creatore dell’universo (Brahman). Per gli Indù, questa non è una credenza o una convinzione infondata, ma qualcosa che può trovare conferma sul piano esperienziale, se si seguono determinate e rigorose pratiche spirituali e vari tipi di yoga.

L'induismo non è l’unica religione ad aver fatto questa scoperta. La rivelazione inerente all’identificazione dell'individuo con la divinità è il segreto ultimo custodito nel nucleo di tutte le grandi tradizioni spirituali. Tale principio potrebbe prendere il nome di Tao, Buddha, Shiva (nello shivaismo del Kashmir), Cristo Cosmico, Pleroma, Allah e molti altri. Di questo si trova testimonianza in varie tradizioni spirituali.

Abbiamo già osservato che gli Indù credono essenzialmente nell’identificazione fra Atman e Brahman e che le Uparishad rivelano la nostra natura divina attraverso il Tat tvam asi. Swami Muktananda, fondatore della tradizione dello Yoga Siddha, soleva dire: "Dio dimora in te come te". Nelle scritture buddhiste si legge: "Guarda dentro di te, tu sei il Buddha".

Durante la pratica buddhista l'intento non è quello di ottenere qualcosa o di diventare qualcosa di diverso da ciò che siamo, bensì quello di comprendere chi già siamo.

Nel misticismo cristiano Gesù pronuncia queste parole davanti ai suoi seguaci: "Padre, tu e io siamo Uno" e "Il regno di Dio non viene in modo da attirare gli sguardi; né si dirà: “Eccolo qui,” o “eccolo là”; perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi!". Secondo San Gregorio Palamas, "Il Regno Celeste, o meglio, il Re dei Cieli è dentro di noi".

Il cabalista Avraham ben Shemu'el Abulafia ha detto: "Lui e noi siamo uno". Nelle scritture confuciane si legge: "Il Cielo, la terra e gli uomini sono la stessa cosa". Secondo Maometto, "Chi conosce se stesso, conosce il suo Signore". Infine il poeta persiano e maestro sufi Mansur Al-Hallaj, che realizzò la propria divinità ed ebbe il coraggio di dichiararlo apertamente dicendo "Anal Haqq — Io sono Dio, la Verità Assoluta", dovette pagare un prezzo terribile, poiché fu ucciso e messo al rogo.

Le esperienze olotropiche hanno il potenziale di aiutarci a scoprire la nostra vera identità e il nostro status cosmico; inoltre offrono immense rivelazioni sulla natura della realtà, andando molto al di là del punto in cui arriva lo stato di coscienza ordinario (Grof 1998). Talvolta questo avviene a piccoli passi, talaltra assume la forma di grandi scoperte.

La psiconautica può essere definita come la ricerca e l’uso sistematico degli stati di coscienza olotropici a fini terapeutici, di autoesplorazione, di ricerca spirituale, filosofica e scientifica e per attività rituali e d'ispirazione artistica. È la risposta a una profonda sete di esperienze trascendentali che Andrew Weil ha definito nel suo libro "The Natural Mind" come l’impeto più profondo custodito nella psiche umana, ancora più potente del sesso (Weil 1972).

 

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Psiconauti dell'era paleolitica

La pratica di indurre stati di coscienza olotropici risale agli albori della storia umana. Essa rappresenta il principale tratto caratteristico dello sciamanismo, ossia del più antico sistema spirituale e della più antica arte di guarigione dell'umanità. Lo sciamanismo è fortemente arcaico e risale presumibilmente a trenta o quarantamila anni fa; si riscontrano tracce delle sue radici già nell'era paleolitica.

Le pareti di alcune grotte famose situate nella Francia meridionale e nella Spagna settentrionale, quelle di Lascaux, Font de Gaume, Les Trois Frères, Altamira e altre ancora, sono abbellite da stupende immagini di animali. La maggior parte di esse ritraggono delle specie che si potevano realmente incontrare nei paesaggi naturali dell'età della pietra: bisonti, uri, cavalli selvatici, cervi, stambecchi, mammut, lupi, rinoceronti e renne.

Altre, invece, sono creature mitologiche palesemente investite di significati magici e rituali, come la “Bestia Mitica” della grotta di Lascaux, dalle lunghe corna parallele (un “duplice unicorno”) che le spuntano in fronte e ricordano le maschere degli Aborigeni australiani. Inoltre molte altre grotte simili a queste custodiscono pitture e graffiti rupestri di strane figure, che rivelano una combinazione di caratteri sia umani sia animali e che indubbiamente rappresentano degli antichi sciamani.

La più nota di tali immagini è quella dello “Stregone” di Les Trois Frères, una misteriosa figura composita che riunisce vari simboli maschili. Ha corna di cervo, occhi di gufo, una coda di cavallo selvatico o di lupo, una barba umana e zampe leonine.

Un altro famoso graffito che raffigura uno sciamano nello stesso complesso di grotte è il “Signore degli animali”, che presiede ai felici territori di caccia, pullulanti di bellissimi animali. È famosa anche la scena di caccia dipinta su una parete della grotta di Lascaux. Essa ritrae un bisonte ferito, eviscerato e trafitto da una lancia, affiancato da una figura che giace a terra. In origine la scena fu interpretata come un incidente di caccia, finché non si notò che la figura aveva il pene eretto, evento poco probabile in una persona ferita o morente, ma segno molto comune di trance sciamanica.

La grotta nota col nome di La Gabillou ospita il graffito di una figura sciamanica in movimento dinamico che gli archeologi hanno denominato “Lo Stregone danzante”. Sul pavimento di argilla di una di queste grotte, la Tuc d’Audoubert, gli scopritori hanno trovato delle orme disposte in forma circolare intorno a due effigie di bisonte in argilla, a indicare che i suoi occupanti svolgevano danze simili a quelle tuttora in auge presso molte culture aborigene per l’induzione dello stato di trance.

 

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Le origini dello sciamanismo possono essere fatte risalire a un culto neandertaliano ancora più remoto, quello dell'orso delle caverne, esemplificato da reliquiari di animali risalenti al periodo interglaciale, ritrovati nelle grotte dell’Engadina in Svizzera e nella Germania meridionale (Campbell 1984).

Deve essere stato molto difficile incidere e dipingere queste immagini nelle profondità inaccessibili di queste grotte, servendosi solo di torce primitive e in taluni casi restando in piedi su piccoli cornicioni situati in alto sulle pareti. Sarebbe stato molto più facile ritrarre animali, dipingere scene di caccia o usare immagini di magia correlata alla caccia restando in superficie.

Evidentemente doveva esserci un motivo speciale per sottoporsi a tali sfide. L’esperto di arte rupestre David Lewis-Williams ha sostenuto nel suo libro "Ze Mind in the Cave" che gli artisti di queste antiche grotte fossero antichi sciamani che vivevano stati di trance e che rappresentavano le loro visioni (Lewis-Williams 2002).

Lo studioso di mitologia Joseph Campbell sosteneva che le grotte il cui accesso era reso possibile da lunghi e stretti cunicoli erano luoghi di celebrazione della Grande Dea Madre, e che esse rappresentavano i suoi genitali e il suo ventre. Riteneva anche che le antiche figure e figurine di Venere che celebravano la fertilità femminile, quali la Venere di Willendorf, la Venere di Dolni Vèstonice o la Venere di Laussel, fossero collegate al medesimo culto della Grande Dea Madre.

Lo sciamanismo è non solo arcaico, ma anche globale; se ne trovano tracce nelle Americhe, in Europa, Africa, Asia, Australia, Micronesia e Polinesia. Il fatto che così tante culture diverse fra loro, lungo l’intero della storia umana, abbiano considerato utili e rilevanti le tecniche sciamaniche, dimostra che gli stati olotropici coinvolgono quella che gli antropologi denominano “mente primordiale”, ossia un aspetto fondamentale e arcaico della psiche umana che trascende fattori di razza, genere, cultura e periodo storico. Nelle culture sfuggite all’influsso distruttivo della civiltà industriale occidentale, le tecniche e le prassi sciamaniche sono sopravvissute fino ai nostri giorni.

Molti sciamani intraprendono il loro cammino a partire da una crisi psicospirituale spontanea (la cosiddetta “malattia sciamanica”). Si tratta di un potente stato visionario durante il quale il futuro sciamano o la futura sciamana sperimenta un viaggio nell’oltretomba, il regno dei morti, dove è attaccato da spiriti maligni, sottoposto a varie prove, ucciso e smembrato.

Segue poi un'esperienza di rinascita e di ascesa ai regni celesti. Esiste però anche un’altra modalità che segna il nesso fra sciamanismo e stati olotropici. Gli sciamani compiuti ed esperti riescono a entrare in trance a volontà e in modo controllato. Si servono di questa facoltà per effettuare diagnosi e guarigioni quando il cliente, il guaritore, o entrambi sono simultaneamente in stato olotropico. Gli sciamani rivestono il ruolo di “psicopompi” per gli stati olotropici degli altri membri della loro tribù, offrendo il sostegno e la guida necessari per attraversare gli incerti territori dell’Aldilà.

 

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Data di Pubblicazione: 1 febbraio 2022

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