SELF-HELP E PSICOLOGIA   |   Tempo di Lettura: 7 min

Super You - Anteprima del libro di Claudio Belotti

Il paradosso umano

Il paradosso umano

"Le cose che contano di più non dovrebbero mai essere alla mercé di quelle che contano meno."
Johann Wolfgang Goethe

Ci siamo accordati su cosa significhi essere un supereroe e abbiamo convenuto che hai tutte le carte in regola per diventarlo, o per accorgerti di esserlo già. Ora possiamo iniziare sul serio il nostro lavoro insieme: un percorso alla scoperta delle tue vere potenzialità, nel quale voglio affiancarti offrendoti al contempo la professionalità di un coach e i consigli di un buon amico. L’obiettivo è aiutarti a tirar fuori il tuo meglio, per affrontare le sfide di ogni giorno con il giusto spirito, sereno e consapevole dei tuoi mezzi. Ma se si vuole fare un buon lavoro, come sempre bisogna partire dall’inizio; in fondo, per costruire un solido palazzo o magari una cattedrale capace di stupire per secoli gli ammirati passanti, servono delle fondamenta adeguate. Ecco, nel nostro caso io considero basilare la sfera dell’essere: chi sei, cosa fai e soprattutto perché lo fai. Per questo una parte fondamentale del mio lavoro di coach consiste nell’aiutare le persone a definire le proprie priorità: perché ciascuna di loro arrivi a riconoscere ciò che davvero conta nella sua vita.

Molti miei colleghi si focalizzano sul raggiungimento dei cosiddetti obiettivi sfidanti, ovvero quelli che sembrano più grandi di te e ti spingono giocoforza a migliorare; io, invece, preferisco un approccio diverso. Certo, ottenere dei risultati concreti in ambiti prefissati è importante, ma lo considero soltanto la parte terminale di un lavoro più profondo: puoi raggiungere gli obiettivi che ti sei dato ed essere comunque poco felice, perché in realtà non incarnavano le tue priorità di vita, ciò a cui tieni di più.

Purtroppo, capire cosa sia davvero importante per ciascuno di noi non è affatto facile. Vittime di una sorta di ipnosi culturale, della pressione sociale o delle nostre stesse menzogne, ci ritroviamo spesso a pensare che per essere soddisfatti si debba avere successo in certi campi specifici e predeterminati, anziché nelle cose che più contano per noi come individui. E non si tratta solo di un problema di obiettivi: riguarda anche le strategie che attuiamo per raggiungere le nostre mete.

Le cose più importanti della vita

Quando domando a qualcuno, a mente e cuore sereni, quali siano le cose più importanti della vita, quasi tutti nominano (in ordine sparso):

  • le relazioni interpersonali/l’amore;
  • la salute;
  • la felicità;
  • la soddisfazione (dare significato a ciò che si fa);
  • il rendersi utili agli altri.

Di solito, però, le persone pensano che tutto questo arriverà da sé, una volta raggiunto il «successo» materialmente inteso: denaro, posizione sociale, conquiste lavorative e personali eccetera... In poche — molto poche — si impegnano direttamente per ottenerle. Alcune si buttano a capofitto nella rincorsa all’affermazione materiale, altre non si affannano nemmeno dietro a questa meta «secondaria»: la vorrebbero, certo, ma puntano a ottenerla magari con una vincita alla lotteria, e comunque senza sforzo. Per fortuna, dico io, non funziona così. Parafrasando il motto di Ben Parker, il famosissimo zio dell’Uomo Ragno: un grande successo implica grandi responsabilità.

Per essere felici, davvero felici, bisogna voler crescere ed essere disposti a impegnarsi.

Già, perché, per nostra sfortuna, la mente dell’Homo sapiens non si è evoluta nei millenni allo scopo specifico di renderci felici: si è sviluppata per tenerci in vita, per farci sopravvivere. Quando la nostra specie muoveva i suoi primi passi, circa duecentomila anni fa, il rischio di non arrivare a fine giornata era altissimo; e anche per l’uomo primitivo, come per tutti gli altri animali, la sopravvivenza era la cosa più importante. Nel frattempo il mondo è cambiato e la vita di tutti i giorni è stata rivoluzionata, ma la nostra mente non si è evoluta alla stessa velocità. Il «software» che ci guida, così come il nostro «hardware», è il frutto di una lunghissima selezione naturale, e per sovrascriverne la programmazione serve un grande impegno.

Ambito neuroscientifico

Importanti ricerche nell’ambito delle neuroscienze, tra cui anche due europee condotte dall’Università di Glasgow in collaborazione con il Max-Planck Institute for Brain Research di Francoforte, hanno dimostrato che la mente umana, per sua stessa natura, è conservativa: tende a riprodurre schemi cui è abituata, per ridurre al minimo il carico di lavoro cognitivo. In poche parole, il nostro cervello vuole faticare il meno possibile. Per garantirci l’autoconservazone siamo disposti a tutto, e in mancanza di spinte forti il resto tende a passare in secondo piano. A questa caratteristica innata si sono sommati nel tempo nuovi elementi; elementi non sempre migliorativi, se vogliamo dar ragione a Freud quando ammoniva: «Di fatto l’uomo primordiale stava meglio, perché ignorava qualsiasi restrizione pulsionale. In compenso la sua sicurezza di godere a lungo di tale felicità era molto esigua. L’uomo civile ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di sicurezza».

Così, oggi, subiamo gli influssi tanto della ricerca di sicurezza quanto della struttura conservativa della nostra mente. Il risultato è una «pigrizia mentale» che influenza il vivere quotidiano più di quanto potresti immaginare: tendi a sederti sempre sulla stessa sedia quando ceni al tavolo di casa; fai sempre la stessa strada per recarti al lavoro; frequenti abitualmente la stessa ristretta cerchia di persone; ascolti la stessa stazione radio; ti vesti infilando sempre lo stesso braccio o la stessa gamba per primi; lavi i denti partendo dallo stesso lato; usi quasi sempre lo stesso gruppo di parole nei tuoi discorsi...

E per quanto riguarda i pensieri, siamo più innovativi? Basta fare un po’ di ricerca online (prova con le parole «thoughts per day») per imbattersi in un nutrito gruppo di articoli - tra riviste, blog e chi più ne ha più ne metta - che propongono stime sulla nostra attività cerebrale quotidiana. I «risultati» però, se così vogliamo chiamarli, sono tutt’altro che concordi: c’è chi sostiene che ognuno di noi dia vita a 50.000 pensieri al giorno, chi dice 70.000, 85.000 o addirittura 100.000... Simili differenze fanno giustamente nascere non pochi dubbi, primo fra tutti: ma come diamine li avranno contati? Be’, resta un mistero. Ma su altri aspetti un po’ di chiarezza è stata fatta: sembra sia stato un certo Charlie Greer ad attribuire la cifra di 50.000 pensieri al giorno nientemeno che a una ricerca della National Science Foundation, come ben ricostruito in un articolo apparso sul sito della rivista «Discover».

A parte l’enorme traffico di idee che affollerebbe quotidianamente la nostra testa, però, è un altro l’elemento sul quale vorrei porre l’accento: molti di quelli che riportano simili stime, anche fra le fonti più affidabili, sostengono che una percentuale compresa tra l'80 e il 90 per cento di quella mole sia costituita in realtà da pensieri che abbiamo già fatto in passato. Se fosse vero, il dato avrebbe un che di preoccupante. In sostanza, il nostro cervello ricorderebbe da vicino un CD che salta, incantandosi sempre sulle stesse tracce.

Una cosa comunque è certa: tendiamo a ripeterci. Se non facciamo nulla per cambiare ed evolverci, finiamo inevitabilmente con il rimanere fermi; e, considerato che il mondo avanza, di fatto è come se tornassimo indietro. Quindi, per essere un supereroe, devi andare oltre all’atteggiamento di inerzia che la tua mente e il tuo corpo ti porterebbero ad avere.

Un discorso che vale, a maggior ragione, per l’idea che hai di te stesso.

Questo testo è estratto dal libro "Super You".

Data di Pubblicazione: 2 ottobre 2017

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