SPIRITUALITÀ ED ESOTERISMO

I Tarocchi Psicologici - Anteprima del libro di Corinne Morel

Uno straordinario strumento per la conoscenza di sé e degli altri

I tarocchi e la psicologia

Esiste la diffusa convinzione che i tarocchi, affrettatamente inquadrati nelle arti occulte, non vadano d’accordo con la psicologia, che dal canto suo rivendica un carattere irreprensibilmente razionale. Per quanto mi riguarda, sono tutt’altro che certa sia della presunta irrazionalità dei tarocchi che della rassicurante razionalità della psicologia. Ho un approccio razionale ai tarocchi, considerando che i significati delle lame non sono arbitrari, bensì connaturati alle lame stesse e codificati secondo una chiave simbolica universale. Quanto alla psicologia, trattandosi di una disciplina interpretativa, lascia spazio alla soggettività e possiede, in fin dei conti, una parte di irrazionalità.

Ho cominciato molto presto ad associare queste due discipline. Armata della mia passione per il simbolismo e l’esoterismo, ho approfondito lo studio e la pratica dei Tarocchi di Marsiglia. Contemporaneamente alle ricerche svolte in quest’ambito, ho intrapreso un percorso universitario. Al termine di quattro anni di studio, ho sostenuto una tesi sulla relazione dell’Uomo con il Tempo e il pensiero magico nel XX secolo, davanti a una commissione di psicologi, etnologi e psicanalisti.

Dopo aver conseguito la laurea ho continuato a combinare tarologia e psicologia nella mia attività di scrittrice e di formatrice.

Queste due scienze umane si arricchiscono reciprocamente. Dal mio punto di vista ciò che conta è l’obiettivo che hanno in comune: la conoscenza di sé. Entrambe mirano a una comprensione dell’essere umano e dei meccanismi consci e inconsci che sottendono la dinamica delle decisioni e delle azioni individuali e collettive.

Eppure, molti vedono nei tarocchi unicamente uno strumento divinatorio che permette di “predire il futuro”: ciò significa sottovalutarli e negare la loro dimensione fondamentale.

La filosofia delle arti divinatorie tradizionali

Le arti divinatorie tradizionali come i Tarocchi di Marsiglia, l’astrologia occidentale e orientale, o ancora l'IChing, possiedono innanzitutto un carattere esoterico. Il loro oggetto principale è la conoscenza di sé e non l’utilizzo a scopi predittivi. Esse si collocano in un ambito iniziatico e simbolico, e hanno lo scopo di agevolare l’evoluzione spirituale dell’adepto. La dimensione divinatoria è in realtà del tutto secondaria. D’altro canto, ridurle al solo aspetto pratico rientra in un’attitudine tipicamente contemporanea e occidentale. Nella definizione originaria, l’arte divinatoria costituisce un supporto all’introspezione, che invita la persona a cercare la luce in se stessa.

Antiche per alcuni quanto l’umanità stessa, le arti divinatorie appartenevano in origine ai saggi e agli uomini di scienza (per vari secoli è stato così anche per l’astrologia). I consultanti non erano altri che i sovrani, i nobili, i benestanti. L’utilizzo si è progressivamente democratizzato, estendendosi al grande pubblico. Questa popolarizzazione ha comportato una volgarizzazione che è andata a detrimento della qualità. Ciò risulta particolarmente vero nella nostra società, che privilegia l’efficacia e la redditività. Il desiderio del consultante è ottenere rapidamente e facilmente risposte alle domande che pone, nonché alleviare nella maniera più economica le proprie angosce e incertezze.

Secondo la tradizione, le arti divinatorie non rientrano affatto nell’ambito del fatalismo. Non si tratta, quindi, di utilizzarle per scoprire un qualsiasi destino, quanto piuttosto di mettere in luce le costruzioni consce e inconsce di ciascuno. La loro filosofia insegna che l’Uomo è artefice della propria vita. Il loro scopo è restituire a ciascuno la possibilità di essere padrone della propria esistenza.

In generale, i consultanti hanno la sensazione di subire gli eventi, di essere le sfortunate vittime di una sorte ingiusta, pedine impotenti di un fato implacabile. Questo sentimento è legato al mancato riconoscimento del proprio potere e all’ignoranza della legge di causalità. Queste persone cercano la loro vita nei tarocchi, nell’astrologia o nella chiaroveggenza, come se l’esistenza fosse già determinata, assolutamente tracciata e scritta in modo indelebile. Una richiesta che, in assoluto, i praticanti non hanno la possibilità di soddisfare. L’oggetto di un consulto non può essere quello di garantire risposte facili a domande difficili.

Nella sua ricerca di conforto mentale, l’individuo preferisce spesso le false certezze alle incertezze autentiche. Ora, la missione delle arti divinatorie non è quella di mantenere la persona in uno stato di sottomissione, incomprensione e ignoranza, ma di farla accedere alla padronanza e alla conoscenza. In tal modo, scoprire il futuro non significa compiere un atto di magia, bensì far apparire i frutti di un lavoro sotterraneo. L’avvenire deriva dal presente nello stesso modo in cui il presente deriva dal passato. In questa misura, ciascuno conosce inconsciamente il proprio futuro, poiché lo porta dentro di sé. Anche quando è ignorato, l’avvenire esiste in germe in ciascuno di noi.

Per il praticante, la scoperta dell’altro (il suo passato, il presente e l’avvenire) non è né magica né irrazionale, ma poggia sull’estrazione e sull’emergere di una conoscenza virtuale e inconscia. Così, in una pratica positiva, è opportuno comunicare alla persona il sentimento che il futuro è nelle sue mani, che ha davvero un potere sulla propria vita e che non deve subire ma, a seconda dei casi, comprendere, agire o reagire.

Il libero arbitrio e il valore delle decisioni e delle azioni

Riconoscere la propria responsabilità nel corso delle cose esige l’atto di tracciare molto chiaramente la linea di demarcazione tra sé e l’altro. Gli esempi che seguono sono a tale scopo illuminanti.

Marianne, ora che i figli vanno a scuola, decide di tornare al lavoro. Ella ha il potere di:

  1. iscriversi a un corso di formazione;
  2. consultare gli annunci di lavoro;
  3. scrivere lettere di richiesta di assunzione;
  4. presentarsi ai colloqui.
  5. Tale potere, però, presenta dei limiti. Ella non può:
  6. cambiare il contesto economico che rende difficili i suoi percorsi;
  7. costringere un datore di lavoro ad assumerla.

Se Marianne è consapevole soltanto dei punti 5 e 6, finirà per cedere al fatalismo pensando di non avere alcun potere sulla situazione. Ciò facendo, trascurerà i punti da 1 a 4. In realtà possiede ampio margine d’azione, che esiste comunque a prescindere dal suo potere limitato.

In questo esempio i punti 3 e 6, vale a dire le restrizioni al potere di Marianne, rivelano la natura stessa dei limiti. Il potere di ciascuno finisce laddove inizia quello dell’altro o degli altri.

In una situazione affettiva, una simile equazione è ancora più evidente.

Henri e Gabrielle si sono separati da poco. Gabrielle vive bene la rottura del rapporto, mentre Henri ne è rimasto addolorato. In realtà, egli ama tuttora sua moglie e vorrebbe riallacciare i rapporti. Egli ha il potere di:

  1. dichiarare a Gabrielle tutto il suo amore;
  2. tentare di riconquistarla;
  3. interrogarsi sulle proprie responsabilità nella separazione e cercare di cambiare i comportamenti che ne sono stati causa.
  4. non ha però il potere di:
  5. costringere Gabrielle a tornare con lui;
  6. obbligare Gabrielle ad amarlo.

Il senso di fatalità che Henri potrebbe alimentare in tali circostanze sarebbe un errore. La situazione rivela semplicemente la libertà dell’altro e ricorda all’individuo, nella fattispecie a Henri, che non è né onnipotente né padrone assoluto della situazione.

In una simile prospettiva, si può osservare che spesso il fatalismo non è che l’espressione di una forte presunzione, poiché nega il potere dell’altro e poggia su un desiderio megalomane di voler tutto controllare e decidere.

Per un utilizzo intelligente dei tarocchi, è quindi necessario uscire dall’infantile sistema binario del “tutto o niente”. La realtà non è mai così semplice e non può essere ridotta a un’equazione tanto elementare. Il più delle volte non possiamo pretendere tutto o niente: ci troviamo invece su una linea mediana che ci consente (come accade per Marianne e Henri) di avere un potere relativo. Da qui a considerare che non abbiamo alcun potere sugli eventi corre una grande distanza, che le condotte fataliste tendono purtroppo ad annullare.

Una volta che si è consapevoli delle possibilità di azione offerte e dei limiti, è più facile valutare le probabilità di riuscita o, al contrario, la difficoltà o addirittura l'inaccessibilità del compito. Se i limiti e i freni al potere superano di gran lunga le possibili azioni, combattere diviene sicuramente inutile. In caso contrario, conviene agire laddove si può, senza cercare di costringere la realtà o gli altri con atteggiamento tanto presuntuoso quanto tirannico.

Scopo dei tarocchi psicologici

Rispetto agli elementi precedenti, è possibile definire meglio lo scopo dei tarocchi psicologici: illuminare il consultante sul suo potenziale e non sui presunti sviluppi del suo futuro. La domanda pertanto cambia formulazione, da quella fatalista e deresponsabilizzante (“Che cosa mi accadrà?”) a quella matura e responsabile (“Cosa posso fare?”).

Prendiamo l’esempio di un uomo che vorrebbe scrivere un romanzo. Se egli chiede “Avrò successo?” e la risposta è negativa, rinuncerà al suo progetto ed effettivamente non avrà successo. Una simile utilizzazione dei tarocchi - o di ogni altro mezzo divinatorio - nuoce al consultante, poiché determinando la sua condotta gli tarpa le ali. Nei tarocchi psicologici, la domanda sarà “Perché voglio scrivere?” o anche “Come posso fare in modo che il mio progetto di scrittura abbia successo?”. La prima formulazione permette di analizzare i propri desideri, le paure, le aspettative, e di mettere in evidenza la motivazione profonda. Se questa è abbastanza forte, la persona si metterà a scrivere senza curarsi del risultato: l’esito positivo sarà dato dal fatto di aver condotto a buon fine il suo compito e non dalla pubblicazione, dalla firma di un bestseller o dalla conquista di un premio letterario. In caso contrario, i tarocchi indurranno l’individuo a interrogarsi sui suoi veri desideri e, se è il caso, a relativizzarli. La seconda formulazione gli assicurerà maggiore chiarezza sulle sue forze e debolezze e un “metodo” per condurre a buon fine il progetto.

Un altro utilizzo dei tarocchi psicologici riguarda la verbalizzazione. Ispirato alle tecniche proiettive, esso permette di rispondere a un’interrogazione o di formulare un sentimento attraverso la scelta di un’immagine, nella fattispecie una lama dei Tarocchi di Marsiglia. Talvolta è difficile o addirittura impossibile esprimere a parole un’emozione, una sensazione, un desiderio, una paura,in questi casi scegliere una lama offre l’opportunità di una mediazione. Senza contare che, trattandosi di un’immagine, più che il conscio è l’inconscio che si rivela. Il consultante scopre allora la faccia nascosta di un rapporto, di una situazione o di un problema.

Per riassumere, i tarocchi psicologici consentono:

  • l’analisi delle risorse, dei desideri, delle paure, degli atteggiamenti e dei blocchi interiori;
  • la ricerca di strategie, mezzi d’azione o di reazione;
  • la verbalizzazione, che lascia emergere le problematiche inconsce.

Il conscio e l'inconscio

Per lungo tempo la mente è stata ridotta al solo sistema conscio. Dal punto di vista della psicanalisi, tuttavia, l’essere umano alberga in sé tutto un mondo ignorato, chiamato inconscio. Possiamo affermare che, a paragone dell’inconscio, il conscio equivale a tutto ciò che conosciamo e riconosciamo in noi. In altre parole, soltanto il conscio è conosciuto, localizzabile e direttamente identificabile. Ciò che è conscio corrisponde a quel che possiamo apertamente e chiaramente pensare, esteriorizzare e soprattutto affermare. La capacità di affermare (verbalizzare) è rivelatrice della qualità cosciente dei contenuti mentali. Per tale ragione si parla di rappresentazione per parole.

Se tutto ciò che può essere affermato, verbalizzato, nominato è conscio, al contrario ciò che non può essere detto, espresso con parole, è inconscio. Per l’inconscio si parla di rappresentazione per immagini. E la ragione per la quale i sogni prodotti dall’inconscio sono fatti di immagini e non di parole.

Possiamo sintetizzare così i due sistemi:

  • conscio, rappresentazione per parole = il conosciuto;
  • inconscio, rappresentazione per immagini = l’ignoto.

Quando consigliava “conosci te stesso”, Socrate alludeva implicitamente allo straniero che dimora in ogni uomo. Con la necessità di conoscere se stessi, l’assioma del celebre filosofo trasmette in maniera idonea l’idea che il soggetto vive nell’ignoranza di se stesso. Si conosce solo parzialmente e tutta una parte di sé gli rimane estranea. Ciascun individuo alberga in sé questo straniero: il suo inconscio.

L’inconscio non è innato o ereditario, bensì si costruisce. Si forma e si trasforma di pari passo con l’evoluzione personale. Dire che l’inconscio si forma storicamente significa riaffermare l’importanza del vissuto nell’elaborazione della struttura psichica. L’inconscio si stabilisce gradualmente in funzione della storia. Le basi vengono poste durante l’infanzia, in particolare la prima infanzia. L’adulto è una continuità dell’infante. Tutto ciò che vive a partire dall’esistenza intrauterina si incide, si inscrive in lui, nel suo conscio (ricordi, tracce mnesiche consce), ma anche e soprattutto nell’inconscio.

Il conscio è limitato e non può contenere la prodigiosa quantità di emozioni, esperienze, affetti percepiti o vissuti durante la storia dell’individuo. I ricordi, quindi, si organizzano in modo da evitare un sovraccarico che produrrebbe caos e oscurità psichica. La memoria viene obbligata a operare delle scelte. Si attua quindi un’organizzazione per strati: ciò che è necessario e utilizzabile rimane in superficie, alla periferia (nel conscio), ed è accessibile alla conoscenza diretta, mentre ciò che non presenta un interesse immediato viene relegato negli strati psichici più profondi dell’inconscio. Per la psicanalisi, tuttavia, l’assenza di tracce mnesiche si spiega soprattutto con la rimozione, vale a dire in funzione di considerazioni più affettive e psicologiche. Pertanto il soggetto “alimenterà” e riempirà il proprio inconscio per tutto il corso dell’esistenza.

La rimozione corrisponde a un’operazione psichica automatica. Non si tratta di una decisione o di un’azione determinata e cosciente, ma di un meccanismo attivato all’insaputa del soggetto, senza che questi se ne renda conto o se ne accorga. La rimozione permette di seppellire nelle profondità della psiche, nell’inconscio, tutto ciò che costituisce una minaccia al benessere interiore, in tal modo evitando tensioni troppo forti e di conseguenza pericolose.

Quindi l’oblio, che può riguardare tutta la realtà (rimozione completa di un desiderio, di una paura, di un trauma) o solo una parte di essa (rimozione degli elementi negativi collegati a una situazione ansiogena), di fatto non è altro che un’illusione. Gli stati affettivi negativi non possono scomparire magicamente: sono semplicemente messi da parte, relegati nell'inconscio.

La rimozione non riguarda soltanto gli stati affettivi penosi e sgradevoli, ma anche pensieri, desideri o atti non realizzabili o vietati. Per evitare, in caso di frustrazione, uno stato permanente di tensione, la rimozione opera drenando questa energia verso l’inconscio. Di conseguenza, la tensione sarà alleviata in maniera illusoria, poiché la quantità di energia non si esaurirà all’esterno, per mezzo di un passaggio all’azione, ma rimarrà all’interno. Vi sarà soltanto la piena scomparsa della tensione sul piano conscio. Il desiderio non realizzato sarà pertanto divenuto inconscio. 

Questo testo è estratto dal libro "I Tarocchi Psicologici" di Corinne Morel - Il Punto d'Incontro Edizioni.

Data di Pubblicazione: 2 ottobre 2017

Ti è piaciuto questo articolo? Rimani in contatto con noi!

Procedendo con l'invio dei dati:

Lascia un commento su questo articolo

Caricamento in Corso...