SELF-HELP E PSICOLOGIA

Il Tempo e la sua Percezione: Neuroscienza vs Psicanalisi

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Scopri di più su come percepiamo il tempo secondo il punto di vista delle neuroscienze e quello della psicoanalisi, leggendo il nuovo libro di Corrado Malanga.

Il Tempo e la sua Percezione: Neuroscienza e Psicanalisi

Il Tempo e la sua Percezione

A questo punto del nostro viaggio nel mondo dell’ipnosi della fisica moderna e dell'esoterismo forse possiamo riunificare ancora più strettamente tutte queste discipline e comprendere sempre più da vicino e con più coscienza come il nostro cervello interagisce con la Mente e utilizzare queste nostre riflessioni per conoscere l’uomo in relazione non solo all’alieno ma al cosmo intero. Ma per intraprendere questo viaggio dobbiamo rifarci al rapporto tra neuroscienze e psicanalisi. Cercheremo di capire dove le prime hanno dato largo spazio alla realtà virtuale con tutte le sue implicazioni mentre la seconda inconsapevolmente si è avvicinata di più al problema della coscienza umana, cioè al problema di chi siamo veramente a livello di realtà reale e immutabile.

 

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Neuroscienze e psicanalisi

A questo proposito dobbiamo citare Ignazio Licata, dell’Istituto di cibernetica non-lineare per lo studio dei sistemi complessi, che pubblica su "Systema Naturae", 2003, Voi. 5, pp. 237-306, un articolo dal titolo "Mente & Computazione". La lettura di quest’articolo mostra come esistano diversi approcci scientifici allo studio della Mente e ai meccanismi della memoria dai quali appare chiaro che il modello neuroscientifico o neurobiologico pragmatico, scientista, meccanicista si contrappone a quello psicoanalitico. Nel testo, infatti, si dichiara che:

"I limiti del cognitivismo tradizionale consisterebbero nello studio di una Mente astratta e asettica, descrivibile in modo esaustivo utilizzando opportune strutture simboliche legate tra loro da un sistema di regole formali... Sia nella psicologia “tradizionale” che nell’approccio simbolico alla Mente, si suppone l’esistenza di quello che J. Fodor ha denominato efficacemente mentalese, un livello di descrizione dei processi cognitivi che non necessita di alcun riferimento alle attività del cervello.

Si badi bene che né gli psicologi né i cognitivisti hanno mai sostenuto una non-correlazione tra l’attività mentale e i processi cerebrali, ma si sono limitati piuttosto a difendere l'astrattezza dei propri modelli attraverso la loro evidente utilità pratica; in definitiva, nessuno di noi, mentre parla o gioca a scacchi o cammina scegliendo un percorso ottimale, può avere alcun accesso alle attività neuronali che supportano tali attività!...

La chiave della ricerca sul Sé e sulla coscienza risiede in ultima analisi proprio in queste caratteristiche uniche di ogni processo fisico e mentale, ed è solo una cattiva coscienza metodologica che porta a chiedersi se, e in quale misura, un modello teorico può descrivere la coscienza. In definitiva, nessuno chiede alle neuroscienze di spiegare perché una lesione cerebrale in una stessa zona produce effetti differenti in soggetti diversi, ed è altamente improbabile che si possa fornire un tipo di spiegazione di questo genere!".

Dunque il problema è il seguente: ci troviamo di fronte a due correnti di pensiero precise. La prima, dei neuroscientisti, dice che quale che sia la relazione tra Mente e cervello, questa relazione è descrivibile con modelli matematici che prima o poi sicuramente verranno alla luce. In questo contesto non ce differenza sostanziale tra una Mente, un cervello e un computer. L’approccio neurofisiologico si basa sulle misurazioni e su quelle nuove tecniche di Brain Imaging, come la PET o la RMN funzionale, attraverso le quali si può notare come alcune parti del cervello rispondano in modo preciso a determinate sollecitazioni.

 

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Questo dimostrerebbe come mai in quell’area sono collocate determinate funzioni. Una di queste funzioni è per esempio la memoria del passato.

Chiedo a un paziente di immaginare un evento che non è mai accaduto o di ricordare un vero accadimento ed ecco che alcune parti del cervello si illuminano e altre rimangono inerti.

Cosa se ne può dedurre? Molte cose affermano i neurofisiologi. In primis si possono identificare le zone di cervello preposte a svolgere la funzione di memoria, e poi si possono anche riconoscere i ricordi veri da quelli falsi.

"L’evenienza che si possano formare falsi ricordi e come questo avvenga è di notevole importanza sia per la scienza psicologica che per le implicazioni in campo legale. Quanto sono attendibili, infatti, le testimonianze rese in perfetta sincerità durante un processo?

La psicanalisi attribuisce allo studio dei traumi infantili una grande importanza e opera riportando a livello cosciente ricordi che sono stati rimossi per vari motivi. Lo stesso Freud si era reso conto, a un certo punto dei suoi studi, che proprio i falsi ricordi costituiscono un notevole fattore di interferenza nello studio degli eventi traumatici dei pazienti.

Negli ultimi anni i terapisti e gli psicologi hanno cominciato a rivalutare la cosiddetta '‘sindrome da falsi ricordi. Paller e colleghi, della Northwestern University di Chicago, hanno affrontato il problema da un punto di vista sperimentale. Hanno registrato, tramite elettrodi, l attività dei neuroni quando si chiedeva ai soggetti dello studio di richiamare dei ricordi.

Questi ricordi erano però di due tipi: immagini realmente viste e immagini solo visualizzate. Paller ha così scoperto che, nei casi in cui i pazienti erano convinti di ricordare un’immagine vista realmente e invece l’immagine era stata solo visualizzata, l’attività cerebrale era molto intensa, talvolta addirittura più intensa di quando ricordavano ricordi reali.

Paller ne ha tratto la conclusione che più i ricordi sono vividi e dettagliati, più vengono ritenuti veri, anche se in realtà originano solo da una visualizzazione".

 

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Il cervello può dimenticare. Lo dice uno studio dell’università del Colorado attraverso studi di Risonanza magnetica nucleare funzionale.

Lo studio è stato condotto nel 2007 su ben 18 persone. Ci si potrebbe chiedere come solo 18 persone possano indicare una risposta così precisa, ma va detto che nel campo delle statistiche mediche queste vengono sovente, forse troppo sovente, effettuate su meno di 10 soggetti, tante vero che i medici sono obbligati a usare tecniche statistiche particolari per il trattamento di pochi dati.

Ma dove finita la Mente in questa trattazione? E poi, cosa vuol dire che una zona del cervello si illumina quando il soggetto che stai esaminando ti dà una risposta? Vuole forse dire che la zona del cervello illuminata è fautrice di quella risposta?

E qui segnaliamo il primo errore grossolano della neurofisiologia. Infatti, la zona di cervello che si illumina lo fa solamente perché in quell’istante in cui le si chiede una certa prestazione, essa si irrora di sangue più del resto del cervello. Un aumento della circolazione sanguigna viene interpretato come una maggiore attività di quella zona del cervello. E questo può essere esatto, ma chi ci dice che la funzione di quella zona del cervello sia proprio quella che noi stiamo studiando? Non ce lo dice nessuno.

Tra poco vedremo, infatti, che esiste una seconda interpretazione che fa risorgere dal nulla il concetto di Mente, differenziato fortemente da quello di cervello.

Timidamente qualcuno scopre che in realtà il ricordo non è qualcosa di statico ma di dinamico e si chiede come esso possa cambiare. Aleida Assmann insegna Letteratura inglese e Teoria generale della letteratura all'Università di Costanza e sostiene che il mutamento della memoria dipende da fenomeni culturali come da particolari istanti.

Italo Svevo sosteneva che "...il passato è sempre nuovo: come la vita procede, esso si muta, perché risalgono a galla delle parti che parevano sprofondate nell’oblio mentre altre scompaiono perché oramai poco importanti. Il presente dirige il passato, come un direttore d’orchestra i suoi suonatori. Gli occorrono questi o quei suoni, non altri. E perciò il passato sembra ora tanto lungo e ora tanto breve. Risuona o ammutolisce. Nel presente riverbera solo quella parte che richiamata per illuminarlo o per offuscarlo".

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La natura della memoria e le modalità del suo funzionamento sono state affrontate in termini diversi e talvolta contrastanti dalle varie scuole psicologiche in base ai rispettivi orientamenti teorici.

"Le prime ricerche, a partire da Ebbinghaus, si basano sul modello associativo, che in seguito è stato contestato dalla psicologia della forma secondo la quale la memoria non è spiegabile in termini di nessi associativi ma, come per i processi percettivi, in termini di organizzazione dell'insieme memorizzato, che tende sempre ad assumere la struttura più semplice, più economica e più regolare.

A questa tesi si è opposto il comportamentismo, per il quale la memoria è “un capitolo” dello studio dell'apprendimento che è possibile spiegare in termini di condizionamento sul modello stimolo-risposta. Il cognitivismo ha contestato la tesi comportamentista relativa all’unicità del processo di memorizzazione, distinguendo una memoria a lungo, a breve e a brevissimo termine (o memoria iconimento sensoriale della trance ipnotica e dalla maggiore capacità di attenzione e concentrazione mentale che si possono avere durante questa, diventa capace di ricordi, che molto più difficilmente rievocherebbe nello stato di veglia.

Nel secondo caso, invece, si instaura un procedimento del massimo interesse durante il quale il paziente diventa capace non solo di ricordare, ma anche di rivivere alcune situazioni somatiche e viscerali proprie di età da tempo trascorse, anche se la sintomatologia che affiora in questo stato dev’essere valutata con acuto senso critico dall’operatore, potendo questa essere inficiata da artefatti della più diversa natura.

Per nostra personale esperienza riteniamo la regressione di età un buon metodo, sia per l’indagine analitica, sia per la psicoterapia, associandola eventualmente alla tecnica della distorsione temporale e della dissociazione dell’avvenimento dall’emozione. Pur non sapendo bene in che modo agiscano sulla persona le esperienze di regressione, il semplice parlare ed esporre esperienze passate aiuta a viverle in modo diverso, finanche a liberarsi del giogo subito negli anni in merito a tali limitazioni vissute".

Ci pareva a questo punto che ci fosse molta confusione sul problema e sulla definizione di Memoria e dove fosse poi collocata tale memoria. Senza contare la non chiarezza di definizione tra Mente e cervello.

Comincia a delinearsi l’importanza del problema che stiamo trattando. A seconda dei risultati della nostra indagine potremmo identificare nella tecnica dell’ipnosi regressiva un buon metodo per recuperare i ricordi dei soggetti addotti dagli alieni oppure ritenere, come peraltro molti sostengono, che l’approccio ipnotico al problema non funzionerebbe mai a causa di invenzioni che il cervello stesso compirebbe per accontentare il proprio ego, l’ipnologo o alcune pulsioni interne del tutto inconsce.

 

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La fisica ci viene in aiuto (forse)

Il testo che segue è tratto da Misticismo e nuova fisica, di Michael Talbot:

"Secondo la nuova fisica, non esiste un mondo “là fuori”. La coscienza crea tutto questo. Non c'è limite ai meccanismi di coscienza che strutturano una realtà. Così come la Mente può alterare il super-ologramma della realtà, allo stesso modo può anche creare realtà interamente nuove. Il meccanismo che struttura la realtà è associato al sistema nervoso umano e ciò si effettua considerando il cervello umano come se fosse un biocomputer. Così anche vari metodi di yoga o controllo mentale sono visti come dischetti usati per raggiungere porzioni del sistema nervoso umano che struttura la realtà...

Keith Floyd in "Of time and mind" asserisce: E assai plausibile che un neurochirurgo non possa mai trovare la sede della coscienza, poiché essa non implica uno o più organi, ma l’interazione di campi di energia all’interno del cervello. I neurofisiologi non troveranno quello che cercano al di fuori della loro coscienza, poiché quello che cercano è ciò che sta cercando. .. Come in un ologramma, la coscienza contiene in ogni singola parte il programma del tutto...

K. Floyd propone che un modello olografico di coscienza possa spiegare chiaramente i processi di memoria, percezione e immaginazione. Se quest'ologramma organico non può processare percezioni in 3D, creerà la propria realtà da percepire/concepire... Individui posti in camere private totalmente dalle sensazioni, cominciano ad allucinare e sintetizzare le loro realtà interne. Se la Mente umana è tagliata fuori dal cosiddetto mondo fisico, ha la proprietà notevole di creare il proprio mondo.

Come dice John Lilly, l’universo è soltanto un pacco di moduli di energia neuronaie accesi nella nostra testa... Quindi non c’è molta differenza tra queste allucinazioni e ciò che percepiamo come realtà esterna. Ciò vale a dire che tutti i mondi sono nella Mente."

 

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Il neurofisiologo Karl Pribram, di Stanford, ipotizza anch’egli un modello olografico di coscienza. Le rappresentazioni olografiche sono incredibili meccanismi associativi.

K. Floyd pensa che l’area immediatamente posteriore al chiasma ottico sia la sede della placca olografica neuronale. La ghiandola pituitaria, il talamo, L'ipotalamo e la ghiandola pineale sono associate al senso di essere coscienti. La ghiandola pineale, sensibile alla luce, esimile alla retina dell’occhio e sembra servire a costruire percezioni e memoria (il “terzo occhio” della tradizione orientale). Tuttavia, se si recide questa ghiandola a un topo, questo fa solo spostare il suo orologio biologico, niente di più. Quindi questa placca olografica che egli credeva fosse un organo è invece solo una funzione. Di qui la comprensione che la coscienza è interazione di campi di energia all’interno del cervello.

Il filosofo Charles Muses conclude: “Viviamo in un mondo proiettato di solidi ologrammi neuro-elettrici, un mondo di simulacri... le foglie, la montagna... sono configurazioni di microscopiche, turbolente particelle/onde”.

"Se vogliamo capire il fenomeno della visione collettiva, dobbiamo esaminare le nostre nozioni di realtà oggettiva. Fin dall’infanzia ci insegnano che c’è un consenso alle nostre percezioni. Se uno vede qualcosa come albero, un altro lo vedrà come tale: se c’è discordanza tra due osservatori, sospettiamo giustamente che qualcosa non va. Questo perché crediamo che vi sia un universo fisico 'là fuori'".

Data di Pubblicazione: 18 febbraio 2022

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