SELF-HELP E PSICOLOGIA   |   Tempo di Lettura: 6 min

I tuoi obiettivi sono la tua vita

I tuoi obiettivi sono la tua vita

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Il chewing cum

Ci vediamo una volta ogni sei mesi. È il mio avvocato, specializzato in fallimenti. Il suo studio è frequentato da un’umanità varia. Non sempre si tratta di stinchi di santo. Sono arrivato in orario. Makis è sempre molto occupato. Prima di essere ricevuti bisogna fare un po’ di anticamera. Come dal dentista. Subito dopo di me è entrato un signore, che mi si è seduto di fronte. Ho fatto fìnta di niente. L’ho soltanto sbirciato di sottecchi. Pizzetto, sorriso, atteggiamento discreto, sembrava una persona gentile.

La segretaria ci ha chiesto se gradissimo un bicchiere d’acqua. Io ho detto di no. L’altro ha detto di sì. Allora anche a me è venuta voglia di bere e ho cambiato idea. Gli ho rivolto un sorriso di circostanza. A metà strada tra la cortesia e l’imbarazzo. Ha ricambiato. Il ghiaccio si era rotto. Poco dopo ha appoggiato la mano sulla borsa e mi ha guardato di nuovo.

«Vuole un chewing gum?» mi ha chiesto.

«No, grazie» ho risposto senza pensarci.

Poi è venuto il mio turno. Sono entrato nell’uffìcio di Makis e l’altro non l’ho più visto.

L’incontro è andato bene.

Più tardi ho ripensato al chewing gum. Di fatto, non ho smesso di pensarci per tutto il resto della giornata. Un tafano che mi molestava.

«Non è niente d’importante» obietterà qualcuno.

Condividere è sempre importante. È qualcosa di grande. Di sacro.

È un atto d’amore. Un atto terapeutico. Soprattutto per chi dona. L’oggetto non ha importanza. Sia che si tratti di una macchina sia che si tratti di un libro, la gioia è la stessa.

O si condivide o non si condivide. Senza sfumature.

O bianco o nero. A calcio o si sa giocare o non si sa giocare. La buona notizia è che è possibile imparare. E quando s’impara a donare, poi non si può più vivere in altro modo. E un’assuefazione. Privarsene equivale a morire.

E' impossibile scoprire il senso della giornata, della settimana e, in ultima analisi, della vita intera, se non si dice grazie. Se non ci si ferma per consentire al pedone di attraversare la strada, se non si rivolge un sorriso a uno sconosciuto. Quello che gli altri faranno del nostro dono non ci riguarda. Ciò che conta è quello che facciamo noi. Il guadagno che ci aspetta è qualcosa di magico. Qualcosa che può cambiare la vita. Che può renderla più bella, più dolce, più ricca. A un tratto avremo tutto quello che abbiamo sempre desiderato.

Gesù ha detto: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha». Ma attenzione, per donare bisogna avere. Far in modo di avere. Per caricare la batteria del prossimo, occorre avere una macchina funzionante. Altrimenti saranno in due a restare in panne.

Il suo nome era Joey Dunlop. Un motociclista nordirlandese cinque volte campione del mondo. Per il suo Paese un vero eroe nazionale. Era benvoluto da tutti. Non per l’oro delle sue medaglie. Ma per l’oro di cui era fatto il suo cuore. Joey donava tutto quello che aveva ai bambini poveri. Acquistava cibo, e all’insaputa di tutti caricava la roulotte e andava in Romania, dagli orfani.

A quarantotto anni è rimasto ucciso in un incidente. Quel giorno cinquantamila persone hanno messo da parte i loro impegni per porgergli l’estremo saluto. Cinquantamila persone sono andate a rendergli omaggio. E a celebrare la sua vita.

Scambierei volentieri un’ora di questa vita per cento anni dell’altra. Fratello, non stare troppo a pensarci. Accetta il chewing gum che ti viene offerto.

È per questo che sei qui.

 

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I tuoi obiettivi sono la tua vita

Il senso dell’orientamento non è mai stato il mio forte. Mi perdo facilmente. Da qualche tempo però sul mio smartphone ho il GPS. Prima di partire so dove voglio andare, conosco la mia destinazione. Se non so come andarci, mi aiuto con il GPS. Ma qualche volta mi aiuto con il GPS anche se lo so. Perché spesso mi indica il percorso migliore. È un modo per imparare.

La maggioranza delle persone non sa dove vuole andare. Non ha obiettivi. Molti credono di averli, ma in realtà non ne hanno.

Durante un seminario il relatore chiese ai presenti quali fossero i loro obiettivi. Uno si alzò e disse che il suo obiettivo era diventare ricco. Il relatore gli diede un dollaro. «Contento?» domandò con un sorriso. Gli obiettivi devono essere chiari e misurabili. Per esempio, voglio arrivare a pesare settantuno chili. Voglio uscire con la mia famiglia una volta la settimana. Voglio guadagnare tremila euro al mese. Ogni anno ad aprile farò il check-up. E via dicendo.

Molti anni fa l’Università di Harvard svolse una ricerca tra i suoi studenti per capire quanti avessero degli obiettivi. Soltanto il tre per cento ne aveva. Il novantasette per cento non ne aveva. Trent’anni dopo furono di nuovo intervistati per capire che cosa ne fosse stato di loro. Ebbene, in termini economici il tre per cento con obiettivi aveva ottenuto quanto l’intero novantasette per cento che non li aveva.

Proprio così. Più il futuro è concreto, e più il presente è solido. Gli obiettivi portano il futuro nel presente. Rendono visibile l’invisibile.

Le nostre vacanze le programmiamo meglio della nostra vita. La vita, invece, l’affidiamo al caso. Alle coordinate che non abbiamo inserito nel GPS. Così, a un certo punto, si comincia a dire che la vita è ingiusta. Ma siamo noi a essere ingiusti con la vita. E con noi stessi. I viaggi li organizziamo nei minimi dettagli. L’agenzia di viaggi con cui prenotare, la compagnia aerea con cui volare, l’hotel in cui alloggiare, i punti di interesse da visitare. La vita invece la lasciamo come un letto sfatto, la cui vista ogni mattina ci riempie di malumore. Ma a rifarlo non ci pensiamo neanche. Allo stesso modo ce la prendiamo con la vita perché non si rimette in ordine da sola.

I leader hanno sempre avuto degli obiettivi. Obiettivi da leader. Volevano cambiare il mondo. Sapevano esattamente dove volevano portarlo. E ci sono riusciti. Dovevano soltanto fissare delle coordinate. E lavorare sodo. Lo hanno fatto. I loro sogni erano così vividi nella loro mente e nella loro anima, che li hanno realizzati molto prima che gli altri se ne rendessero conto. Gandhi, Mandela, Edison, Martin Luther King, Kennedy, Disney, Jobs.

I loro sogni erano la loro bussola. Erano la loro vita. Avrebbero preferito morire piuttosto che rinunciare ai sogni.

Una volta hanno chiesto a Helen Keller come fosse la vita da non vedente.

«C’è qualcosa di molto peggio che essere ciechi» ha risposto. «Non avere sogni.»

 

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Data di Pubblicazione: 24 giugno 2021

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