SPIRITUALITÀ ED ESOTERISMO   |   Tempo di Lettura: 9 min

L'umana esistenza in un guscio di noce

La Vita Ѐ uno Stato Mentale - Gianluca Magi - Speciale

Lasciati illuminare da queste importanti riflessioni frutto dell'Islam Sufi e del Buddhismo Tibetano, leggendo il nuovo, prezioso libro di Gianluca Magi.

L'umana esistenza in un guscio di noce

Il manuale per addomesticare la vita

Talvolta, all'improvviso, l'immenso tesoro del pensiero tibetano schiude una perla che le orde dilaganti delle Guardie Rosse decretarono fanaticamente di piombare nei gorghi dell'oblio.

A questa schiusa è primavera in tutto il mondo. La conta dei frutti delle azioni nel mondo evanescente secondo l'insegnamento di Phalu il kashmiro, nato da un abbraccio insolito per quanto fruttuoso tra il pensiero dell'Islam sufi e quello del Buddhismo tibetano, è la perla che viene qui tradotta per la prima volta in lingua italiana e finora pressoché sconosciuta al di fuori del Tiber.

Come foglie vive spiccate dal grande albero della conoscenza, si tratta di un florilegio di sentenze per parare i colpi del mondo; sino alla metà del secolo scorso, prima della devastazione estrema della rivoluzione culturale cinese, popolare in Tibet come un lunario.

Le lucide e belle riflessioni di questo vademecum, che già a prima vista si presenta come uno squisito livre de chevet, zampillano all'imbrunire dell’esistenza di un uomo nella cui mente guadagnò terreno l’idea, tipicamente indiana e tibetana, che la vita non è altro che uno stato mentale, un incantesimo, un abbaglio, una fata Morgana, un sogno.

Il giovamento delle regole qui esposte è, appunto: impedire che il sogno della vita si muti in un incubo indigesto. Regole tanto più utili ai contemporanei, ai quali la fretta dà man forte a tale mutazione che s'imprime sulla fronte dura e il volto inespressivo dell'umanità indaffarata.

Le parole che qui si ascoltano sono di chi ha certo vissuto più intensamente di chi oggi lo leggerà, provengono da un'epoca in cui si viveva più adagio e proprio per questo si faceva provvista d’esperienze più energiche di quelle che oggi si dissipano nel guazzabuglio dell’esistenza.

Noi certo viviamo più a lungo, ma troppo in fretta; e non facciamo in tempo a metabolizzare la vita.

 

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Immersi in quest’età d’irrequietezza e agitazione, in cui, sfidando ogni dettame di ragione, ci si affaccenda col fervore delle formiche e lo sciamare di vespe infatuate, ascoltare la voce di Phalu il kashmiro, quieta, costante, serena come le montagne, è un balsamo del pensiero. Se non un cordiale a un'esistenza tachicardica.

Un antidoto, di farmacopea dello spirito, al carattere reattivo dell’umanità che rischia sempre più di sfociare, grazie all’urgenza che mai fu compagna della riflessione, nel regno dell’inautentico, nel cui nido ammuffito d’ogni falsità ciascun homo consumericus, ormai preda del popoloso serraglio dei propri fantasmi, privatamente governa sovrano.

Una preservazione, dunque, delle antiche virtù, di ordine superiore.

Pare di ascoltare un vegliardo d’età incalcolabile, venerabile per la sua canizie, una sorta d’archetipo della vita disingannata, un qualcuno la cui voce, dal tono pacato e modulato dal tempo, provenga dal di fuori dello scenario della tragicommedia umana colle sue prove allora opprimenti, ma ora, nelle acque del ricordo, flebili ombre disancorate, fluttuanti. E per questo luminose, lucide.

La lucidità e la disillusione che giungono dal sereno distacco dalle cose in forza degli anni o di una natura superiore.

Una voce che invita a perseguire un ideale che, alla sensibilità dei nostri giorni al galoppo e ai conseguenti comportamenti ondivaghi dettati dalla sfilza delle mode più in voga, potrebbe ai più suonare risibile e anacronistico: il perfezionamento di sé. Ma proprio per questa sua diffusa risibilità, ideale ancor più necessario.

Ecco perché le sentenze gnomiche, le massime di vita, le proposizioni or pensierose or amene e facete, le regole di ars bene vivendi, le riflessioni per similitudini o rette sul gusto dell’equivalenza in pressioni contraddittorie, le metafore riecheggianti espressioni proverbiali e modi di dire, gli accorgimenti di comportamento, le osservazioni psicologiche si fanno, come in un classico hors d'age, catalogo di consigli, suddiviso in capitoletti tematici, per mettere in guardia l’essere umano dalle sfibranti contese, dalle fatali insidie, dagli azzardi e dagli inciampi, dalle illusioni e delusioni che l’esistenza inevitabilmente apparecchia.

E nella geografia di questo “prontuario” di regole di comportamento entrano, come in una sorta di bestiario, erbario e lapidario dei nostri vizi e virtù, la natura, le piante, gli animali, le montagne e le valli, l'oceano e i fiumi, ma senza indulgere in sentimentalismo o in alcun compiacimento di spettacolo: solo nel loro distaccato commercio di corrispondenze e parallelismi tra la nostra specie e quella di altre faune, flore e minerali.

Le argomentazioni filosofico-morali di questa operetta osservando certi uomini li sentono investiti da un refolo d’animalità. L'ignoranza di taluni li rende alla stregua di quadrupedi inselvatichiti o di bovi dagli occhi bendati che girano in tondo tutto il dì per azionare un argano che cava acqua da un pozzo ritrovandosi al crepuscolo a punto d'accapo.

Talaltri, preda di vanità, egoismo e smodatezza d’appetiti, smarriscono coscienza e ritegno tramutandosi in fiere: gli uni, come rapaci dalle ali legate, privati della possibilità di spiccare il volo; gli altri, come ratti, lupi famelici o tigri sanguinarie che finiscono in trappola o scuoiati; altri come vacche, per il troppo mangiare e dormire; altri come aspidi e cani rabbiosi, sciatti e tesi al vizio; figli ridotti a somari in cerca di carote per l’eccessiva amorevole premura e accondiscendenza materna.

 

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Oppure una folata di vegetabilità e naturalezza investe talune contingenze: le movenze del sole che tramontando dietro il valico montano specchiano lo spontaneo scorrere della vita d’auspicabile abbraccio; il prodigarsi nel piantare oggi vigorosi alberelli di pesco per gustarne domani i frutti, alludono alla legge di retribuzione karmica; la malvarosa che adorna il giardino con i suoi boccioli in fioritura, richiama il sovrano, che possa dirsi tale, alla medesima condotta verso il suo Paese; il giovane salice bianco drizzato, metafora di un’educazione armoniosa, dai tempi appropriati.

Mentre il regno minerale ne denoterà altre: la solubilità in acqua del borace come esortazione a restituir amicizia a chi è amico; il tizzone che ustiona come la comunella coi meschini; oppure la ricca miniera, sinossi della propria interiorità che ci si attarda a scavare.

Le osservazioni contemplate in questo trattatello sono dunque più estese del mero detto o della sentenza e consistono in un richiamo pedagogico, parenetico, illustrato da un'immagine o da una chiosa che può consistere in un ragionamento filosofico-morale oppure nell’esibizione di una metafora probante.

La fortuna contemporanea del presente vademecum di letteratura assertiva, dichiarativa, esortativa è, allora, avviata verso questa direzione. La sua finalità è fecondare spiritualmente il lettore trasmettendovi l’etica opportuna, indirizzare al retto operato mondano gli uomini, invitare alla pratica di esercizi che forgino la tempra dello spirito.

Hanno, dunque, un valore psicagogico.

Quali disinganni, quindi, l’operetta escogita per scapricciare la mondana esistenza? Come concepisce il “mondo evanescente”? Quale la saggezza empirica di vita proposta?

 

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L'arte di parare i colpi del mondo

Come sottratta al dazio del tempo, la vigoria dei capitoletti che aggrumano questo prontuario di saggezza mondana e princìpi di comportamento deriva dalla diretta osservazione del vasto campionario, passato in rivista, di situazioni concrete, autentiche, scritti da chi, dopo un cimento durato l’intera esistenza, è pervenuto alla radice del sistema di mosse alla base della partita della vita e ha affinato le sue qualità di umanità, di finesse, di comprensione del cuore degli uomini.

Tali qualità sono qui condensate in un guscio di noce per consentire all'uomo di attraversare le interrogazioni fondamentali, quelle della vita, equipaggiandolo di un valido orientamento nel burrascoso mare del “mondo evanescente”.

Il suo giro d’enunciati, misto di buon senso e ironica giovialità di cui sempre è ben provvisto il popolo tibetano, guadagnò la sua importanza grazie al fatto di aver rappresentato, con la dottrina della consapevolezza dei propri limiti e della moderazione, un'accessibile concezione etica in grado di dirigere l’esistenza al conseguimento dei fini nei quali consiste il valore non fugace di vivere all’interno di un mondo impermanente, effimero, della consistenza di un sogno.

Un sogno con le sue regole, che orbitano attorno alla legge del karma.

Ma di cosa realmente tratta questa legge di cui — Come ricorda Phalu il kashmiro quasi in chiusa della sua operetta — “tanti ne parlano e altrettanti ne hanno sentito parlare, ma quelli che realmente la mettono in pratica, avendone afferrato il senso profondo, sono rari come l’oro?"

Scostando la cortina del mondo quotidiano, il pensiero buddhista svela all'opera una meccanica che regola il nesso imperscrutabilmente necessario tra l’azione (karma) — che può essere di natura fisica, mentale, sentimentale o linguistica (anche solo intenzionale) — e i frutti che si costellano attorno, che trascende la semplice morale, poiché include anche l’inconscio.

Tali frutti travalicano il destino entropico che conduce il corpo a una progressiva degradazione, per trapassare da una forma di vita all’altra in modo progressivo o regressivo nella gerarchia degli esseri.

L’idea di un divenire ciclico (samsàra) fatto di nascite e morti in successione si fonda, dunque, sul fatto per cui ogni azione compiuta durante l’esistenza deposita nell'uomo i propri semi che non maturano unicamente nella vita in cui le varie opere sono state compiute, ma anche in quelle successive: un altro individuo quindi si forma, ma non è né lo stesso di prima, né diverso da prima, non è la stessa cosa, ma non è nemmeno distaccato; è come il processo che produce una serie di eco: così come un'eco, cessando di esistere, dà origine a un’altra eco, allo stesso modo un organismo psicofisico cessando di esistere dà origine a un altro organismo.

Sequenza che ricorda l’azione di una particella atomica che scontrandosi con un’altra vi conferisce parte della sua quantità di moto per innescare un'intera reazione a catena.

La vita non è forse moto costante, un trasferimento continuo d'energia?

 

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Data di Pubblicazione: 20 aprile 2022

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