SALUTE E BENESSERE   |   Tempo di Lettura: 9 min

Un nuovo modo di intendere la corsa

Un nuovo modo di intendere la corsa

Scopri come superare infortuni e frustrazioni e diventare un corridore felice e di successo leggendo l'anteprima del libro di Daniele Vecchioni.

Un nuovo modo di intendere la corsa

«‘Si fa così da anni’ è la confessione che il sistema non funziona.»
William Edwards Deming

Prima di entrare nel vivo di preparazione, allenamento e obiettivi, desidero raccontarvi che cosa sta davvero succedendo oggi alla corsa e ai corridori e le innumerevoli problematiche di cui sembriamo non accorgerci, ma che invece sono sempre più presenti.

Proprio la ricerca di soluzioni in grado di cambiare lo status quo mi ha spinto verso la creazione di un metodo, il metodo Correre Naturale, che costituisse un’alternativa per tutti quei runner che, come me, non si riconoscono in ciò che oggi viene definito «corsa».

Come vedrete, oltre a dimenticarvi infortuni e frustrazioni e a raggiungere risultati mai ottenuti prima, capirete come diventare corridori felici e di successo.

Il mondo attuale della corsa

Se è vero che la corsa come sport sta diventando sempre più popolare - in parte anche grazie al mercato che vi gira intorno, al crescente numero di gare ed eventi a essa legati, all’apparente facilità con cui si può iniziare a correre e agli incredibili benefici che essa promette e che sono pubblicizzati da ogni rivista, sito, video o libro che ne parli -, la realtà è che sono davvero pochi coloro che riescono a godere di questa pratica. Poche persone stanno davvero correndo.

Basta partecipare a una qualsiasi gara o osservare i corridori nei parchi per notare come molti abbiano il viso contratto per la fatica dal primo all'ultimo passo, quando finalmente sorridono, ma solo perché possono, finalmente, fermarsi.

Ancora meno sono quelli che utilizzano una tecnica efficiente, trasformando la corsa in un «muoversi nello spazio» con un gesto armonico. Solo una piccola percentuale riesce a godersi quello che fa, svolge un allenamento utile al proprio corpo e ne trae giovamento; tutti gli altri invece lo vivono come un’ulteriore fonte di stress negativo. Come? Allenandosi male e nel modo sbagliato, correndo come se fosse un obbligo o, addirittura, una punizione.

Si va a correre perché si è mangiato troppo, perché bisogna fare sport, perché non ci si è mossi per tutto il giorno, perché ormai ci si è iscritti a una gara, non per il semplice e puro piacere di farlo. E questo perché per molti runner un’ora di corsa è pura fatica, che sopportano solo nella speranza che, prima o poi, miglioreranno e la sofferenza, come per magia, svanirà.

E ancora, molti corridori si affidano ciecamente a ciò che leggono o sentono dire, delegano la responsabilità delle loro performance e dei loro infortuni a tecnologie, scarpe o altri strumenti, affrontano la corsa come se il corpo con cui corrono non fosse lo stesso che poi li sostiene nel resto delle attività della loro giornata. Lo portano al limite, corrono nonostante il dolore e ignorando i necessari tempi di riposo, come se tutto questo fosse privo di conseguenze.

Se è vero che il numero dei corridori è in costante crescita, è altrettanto vero che sta drasticamente aumentando anche il numero degli specialisti che trattano i più classici infortuni legati alla corsa. Gli studi di medici, fisioterapisti, massoterapisti e osteopati sono invasi dai corridori. Non è raro per un runner medio spendere mesi - e migliaia di euro - tra esami, visite e terapie per una fascite plantare o una tendinite d’Achille, spesso senza nemmeno riuscire a risolvere del tutto il problema.

In una situazione simile, come può la corsa essere considerata un piacere? Come si può affermare che faccia bene, che sia qualcosa di naturale per noi? Al contrario, sta emergendo con sempre più forza la convinzione che correre faccia male, che sia un’attività rischiosa, che sia normale infortunarsi o avere fastidi e dolori alle ginocchia.

È per questo che si sentono frasi come: «Non correre, piuttosto nuota o vai in bicicletta», o «Tutti i runner sono acciaccati, è la prassi», a volte pronunciate proprio da quegli stessi specialisti che dovrebbero curarci, ma che, a quanto pare, non ne sono in grado se per loro la soluzione è smettere di correre. Perché ci dicono così? Semplicemente perché, in molti casi, loro stessi, per primi, non sanno correre... e come possono dare consigli su qualcosa che non conoscono?...

Come se non bastassero gli infortuni, nel mondo della corsa si sta verificando anche un calo delle prestazioni. Sono diverse le ricerche (ma basta fare una semplice comparazione) che dimostrano quanto, in media, i runner odierni ottengano in gara prestazioni inferiori rispetto a quelli di venti o trent’anni fa. Chiaramente questa considerazione non si applica a quell’élite di professionisti che sta invece migliorando, anno dopo anno, le proprie performance, spingendo un po’ più in là i limiti dell’essere umano. Ma si tratta, appunto, di professionisti, con una storia personale, con capacità e possibilità fuori dalla portata del runner medio.

Uno studio svolto negli Stati Uniti a fine 2018 ha evidenziato questa tendenza dimostrando come, nell’arco di dieci anni, i tempi medi dei finisher in maratona siano aumentati costantemente, anno dopo anno. E trend simili si possono trovare anche in molte altre nazioni, Italia compresa.

Questo è un fatto molto curioso, però, se consideriamo come oggi il mercato della corsa sia più fiorente che mai. Siamo letteralmente circondati da strumenti, tecnologie e informazioni (video, libri, tabelle) che promettono di aiutarci a migliorare le nostre prestazioni. Orologi GPS, app per smartphone, scarpe specializzate, abbigliamento tecnico, coach, terapisti e team di professionisti sono ormai alla portata di qualunque runner e non sono più un lusso riservato unicamente ai professionisti. Eppure, ripeto, gli infortuni stanno aumentando e le prestazioni diminuendo. Com’è possibile?

Se ci pensate, ritroviamo una situazione molto simile anche nella nostra vita quotidiana. Siamo, nella storia dell’umanità, la generazione che ha più facilmente accesso a cure mediche d’avanguardia, a efficaci strumenti e tecnologie per il trasporto e la comunicazione e, soprattutto, all’informazione su qualunque tema, inclusi sport, salute e benessere. Eppure, sebbene la durata media della vita sia aumentata, siamo anche la generazione più cronicamente ammalata, più depressa e debole. Il tasso di obesità infantile è in continua crescita nei Paesi industrializzati, la qualità della vita peggiora, siamo sempre più dipendenti da farmaci e altre cure, e facciamo sempre meno movimento.

Ciò che sta accadendo alla corsa non è altro che il riflesso di ciò che sta accadendo alla nostra vita quotidiana

Dopo aver descritto uno scenario piuttosto sconsolante, voglio però darvi una bella notizia: a questo trend negativo c’è rimedio. Le basi del metodo Correre Naturale sono mirate proprio a invertire questa tendenza, donando nuovamente alle persone il piacere di correre e, soprattutto, dimostrando con i fatti che la corsa, se fatta bene, può regalarci davvero quei benefici che le vengono attribuiti. Tutto questo deve però iniziare con una presa di coscienza dell’individuo, un’assunzione di responsabilità.

Sì, perché ormai ci stiamo abituando a delegare ad altri la responsabilità della nostra salute, del nostro benessere. Che si tratti del consiglio di un amico, dell’ultima scarpa uscita sul mercato, dell’orologio che analizza le nostre corse, di una pomata antinfiammatoria, della consulenza di uno specialista, tendiamo a credere che qualcosa o qualcuno possa saperne su noi stessi più di quanto ne sappiamo noi.

Non siamo più in grado di filtrare le informazioni che ci arrivano, né tantomeno di valutarle in modo critico, ancora peggio, sembriamo non aver più voglia di occuparci di noi, siamo diventati pigri. Se così non fosse, non aspetteremmo che un fastidio diventi dolore e quel dolore infortunio, non correremmo nonostante le infiammazioni, non affronteremmo allenamenti o gare oltre le nostre possibilità. Eppure è esattamente ciò che sta avvenendo: stiamo diventando corridori sempre più deboli e inconsapevoli.

La corsa non è (solo) uno sport

Un argomento su cui ho avuto modo di studiare e riflettere a lungo, ascoltando, leggendo e confrontandomi con moltissimi runner e coach, e sul quale penso sia fondamentale fare chiarezza, è la cultura della corsa.

Davvero in pochi ne parlano o, almeno, in pochi ne parlano in questi termini, ma la «running culture» è un tema imprescindibile per poter accedere al meglio che la corsa può offrire e per comprendere veramente che cos’è, che cosa rappresenta per noi e il ruolo che dovrebbe avere nelle nostre vite.

Il termine «cultura» racchiude in sé concetti come studio, conoscenza, pratica ed esperienza, a cui si uniscono quelli di rielaborazione e consapevolezza. È infatti necessario che le informazioni apprese entrino a far parte della dimensione intima e personale di un essere umano.

La corsa, come scopriremo, ha avuto un ruolo chiave in ogni civiltà. Tradizioni, riti e usanze l’hanno via via caricata di significati che esulavano dalla «semplice» azione finalizzata allo spostamento. E forse, senza la corsa e l’uso che le diverse popolazioni ne hanno fatto, queste avrebbero avuto uno sviluppo differente, o, addirittura, non si sarebbero sviluppate affatto.

Ecco perché desidero più che mai creare e diffondere una vera e propria cultura della corsa: voglio cambiare questa visione e riassegnare a questa splendida e magica pratica il ruolo che le spetta nelle nostre vite.

Data di Pubblicazione: 18 ottobre 2019

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