Scopri il fenomeno NEET, quali sono i veri problemi delle nuove generazioni e da dove derivano leggendo l'anteprima del libro di Valentina Conte.
Da fannullone a NEET
«Non dover obbedire a nessuno - stava dicendo Tom sdraiato sull'erba al termine del pasto. Mangiare quando ci pare, dormire quando ne abbiamo voglia, non andare a scuola né lavarsi! Questa è vita!».
Da Tom Sawyer di Mark Twain.
Cosa fai nella vita? L’operatore ecologico. Suona meglio di spazzino, vero?
Ecco, oggi due milioni di giovani in Italia fanno i NEET.
NEET sta per Neither in Employment nor in Education and Training che tradotto vuol dire "non impiegati in un lavoro e neppure in un percorso di studi”. In pratica non fanno nulla, ma NEET suona meglio.
Hai letto bene: sono più di due milioni! In pratica un esercito passivo e silenzioso, una vera classe sociale inattiva di giovani che, stando a ciò che dicono gli istituti di ricerca, hanno gli stessi desideri dei coetanei (una casa, un lavoro...) ma sono sfiduciati e anche per questo non fanno nulla.
«La quota di NEET in Italia resta la più alta tra i 28 Paesi dell’Unione Europea ed è decisamente superiore non solo alla media UE (13,4%) ma anche a quella dei più grandi Paesi europei». Lo dice il rapporto Istat del 2017 sui livelli di istruzione. L'11,9% dei NEET è rappresentato dai giovani di età compresa tra i 15 e i 19 anni, si arriva al 31,5% con i 25-29enni.
Ora, va detto che la categoria è abbastanza variegata. Alcuni sono perfino laureati o diplomati che non trovano lavoro. Del resto, lo sappiamo, in Italia non è facile trovare lavoro e in alcune regioni è più difficile che in altre.
Ma siamo proprio sicuri che sia questo il solo problema?
Tra i NEET laureati e diplomati ci sono quelli che, tempo fa, un ex ministro del lavoro ha definito “choosy” (schizzinosi), ragazzi che non vogliono scendere a compromessi e si ostinano a cercare l’occupazione per cui hanno studiato senza neppure chiedersi: “Ma il mercato del lavoro oggi cosa cerca?".
Ci sono diplomati e laureati che non sanno neppure come si cerca un lavoro e come si affronta un colloquio.
Ci sono quelli che non si presentano neanche alle selezioni quando capiscono che la posizione offerta è troppo distante (15 minuti di strada pare troppo) o devono lavorare nel week-end (avessero almeno la gentilezza di avvisare...).
Poi ci sono ragazzi che saltellano da un lavoro a un altro o chi, pur di guadagnare qualche soldo, lavora in nero.
E, dulcis in fundo, ci sono i veri “NEET”, quelli che possiamo definire fannulloni, quelli che hanno abbandonato gli studi e non sanno proprio cosa fare nella vita. E molti non si pongono neppure il problema di capirlo.
Michele è uno di loro.
«Sono stato bocciato due volte e l’anno scorso mi sono ritirato da scuola perché non mi andava di scaldare il banco. Era solo una perdita di tempo e anche di soldi per i miei. Sai quanto costa l’abbonamento dell’autobus? Per un mese ho lavorato con mio padre che ha una piccola ditta di verniciatura, ma poi mi ha detto che quel lavoro non fa per me e allora sono rimasto a casa.
Mi sono iscritto all’ufficio di collocamento e ho portato il mio curriculum in due agenzie interinali. L'ho fatto più per tenere buona mia madre che mi stressa in continuazione con ’sta storia del lavoro. In fondo, io a casa non sto male. Se non fosse per i soldi... ».
Ma se non studia e non lavora, cosa fa il vero “NEET"?
Michele, ma come lui molti altri, dorme fino a mezzogiorno. Va su YouTube e Instagram, chatta con gli amici e nel primo pomeriggio esce di casa dove ritorna all’ora di cena. Subito dopo cena si rintana nella sua stanza per evitare di scontrarsi con i genitori. Alla domanda: «Chi ti dà i soldi per uscire?», risponde: «La mamma, che si lamenta sempre ma poi alla fine i soldi me li dà».
La mamma di Michele legge sempre gli annunci di lavoro in cerca di un’occasione buona per il figlio, ha chiesto anche ad amici e parenti, ma ogni volta che gli segnala un’opportunità, si scontra con risposte come: «Non fa per me. Devo alzarmi alle 6:00 e prendere due autobus per arrivare a lavoro. Stai scherzando vero?!».
Una generazione di fannulloni
“Pigri, eterni insoddisfatti e social-dipendenti”. Così sono stati definiti i Millennials, i giovani che oggi hanno tra i 18 e i 34 anni e formano la nuova generazione col punto di domanda.
Ora, lasciamo perdere il fatto che i Millennials esistono - così come la generazione x, z, i baby boomers e tutti gli altri - perché esiste I’Huffington Post e i laureati in sociologia che non hanno di meglio da fare se non analizzare i disagi generazionali (saranno stati ben più disagiati quando si ghigliottinavano per strada, no?).
Ma sorvoliamo.
Andiamo a vedere invece quali sono i veri problemi dei millennials e da dove derivano. Questo ci è utile per capire anche come aiutarli a risolverli o evitare che la generazione successiva (detta Z) abbia gli stessi problemi.
Problema numero 1: quella dei Millennials è una generazione impaziente e insoddisfatta.
Simon Sinek, speaker e saggista statunitense, esperto di comunicazione, la definisce «...una generazione che ha poca fiducia in se stessa e non ha mezzi per affrontare lo stress; tutto ciò che vuole, lo può avere subito».
Il motivo ormai lo sappiamo: il mostro cattivo si chiama Internet. Dà la risposta ad ogni domanda, soddisfa pressoché in tempo reale qualsiasi bisogno tu abbia e, se non ce l’hai, te lo crea. Isola sempre di più le persone, che finiscono per sostituire le relazioni interpersonali con quelle virtuali; così siamo tutti più connessi ma in fondo ci sentiamo più soli e bla bla bla.
Se ne parla spesso sui giornali, in tv, perfino su Internet. Ma siamo sicuri che sia davvero questo il problema? Anche noi abbiamo passato l’infanzia a desiderare tutto e subito e molti altri prima di noi; ma per quanto ci sforzassimo, non arrivava tutto e di certo non arrivava subito.
Non sarà che - Internet o meno - qualcuno ha cresciuto l’inconsapevole generazione dei millennials con l’idea che, in fondo, di sacrificarsi e aspettare non valesse mai la pena? Non sarà che mamma e papà devono fare un po’ di autocritica e capire che ciò di cui si lamentano, guardando i figli, l’hanno generato loro?
Problema numero 2: i millennials sono la generazione più istruita di sempre.
Loro sono preparati: a far cosa, non si sa; ma sono preparati. Il 54% di loro è laureato, contro il 36% dei Baby boomers nati tra il 1945 e il 1964). Nonostante questo, sono oltre 6,9 milioni (il 52,9%) i giovani tra i 18 e i 34 anni che non riescono ad affermarsi nel mondo del lavoro e che vivono ancora in casa dei genitori.
Il motivo? La disoccupazione. Le leggi sul lavoro. Il precariato.
No, il motivo è che abbiamo cresciuto una generazione di idioti.
E scusa se siamo così duri e schietti. Chi ci conosce sa che questo è il nostro modo di fare, che non siamo per partito preso contro i genitori o i ragazzi. Il nostro vero obiettivo è aiutare entrambi. E non è certo con i "poverino" che possiamo farlo.
Il limite di molti millennials (per fortuna non tutti) non è solo l’analfabetismo funzionale, di cui si parla da anni. Sì, è vero. 5 italiani su 10 (anche 7 o 8 avrebbe detto il compianto linguista de Mauro) non sono in grado di comprendere o rielaborare un testo, non sanno seguire un filo logico, non riescono ad avere un’idea personale ma si affidano a ciò che dice il web, leggono e parlano l’italiano male quasi quanto l’inglese (questo è l’analfabetismo funzionale: conoscere la base grammaticale ma non essere in grado di elaborare un pensiero personale).
In realtà il problema è ancora più profondo, anche se sarebbe già sufficiente ciò che hai letto nelle ultime righe. Perché, a suon di università e corsi di laurea, abbiamo insegnato anche agli asini a contare, ma sempre asini restano.
Sono laureati e specializzati, hanno fatto master, tirocini e stage e non sono in grado di scrivere un curriculum. Hanno fatto volontariato in Uganda, ma si presentano ai colloqui di selezione - quando si presentano - con la felpa della quarta superiore, senza un minimo di cura o di presenza.
Ma per la miseria: non l'hai avuta una mamma che ti aiutava a pettinarti la mattina? Che ti ha insegnato a sorridere, a essere educato e, soprattutto, a evitare di sbuffare e stenderti sul tavolo quando ti annoi?
Evidentemente la risposta è no.
E il motivo è che se loro sono una generazione di idioti, la nostra è una generazione di vigliacchi. Sì, è vero, siamo duri, ma è fondamentale che un genitore smetta di avere paura di educare i figli, di imporsi, di farsi ascoltare anche quando sembra impossibile, di dare delle regole e di avere il coraggio di farle rispettare.
È vigliacco che mamme e papà mettano la testa sotto la sabbia e non affrontino le difficoltà. I motivi per cui oggi fatichiamo a fare qualcosa che per i nostri genitori era naturale possono essere tanti, ma li riduciamo a uno: PAURA!
Paura che tuo figlio non ti ami.
Paura di essere troppo duro.
Paura di una società brutta e cattiva.
Paura che “già fa fatica a scuola, figurati se mi ci metto pure io”.
Paura, costante.
Lavoriamo con i genitori da quindici anni e sai quali sono le situazioni con le quali ci troviamo ad avere a che fare ogni giorno?
Bullismo?
Droga?
Depressione?
Crisi esistenziali?
No! (per carità, ci sono anche quelle, ma fortunatamente sono più rare).
Il problema più frequente dei genitori della “generazione x” è che DEVONO fare lo zaino ai figli, perché altrimenti si dimenticano il materiale a casa.
Che DEVONO passare i pomeriggi a recuperare i compiti che i figli non scrivono, altrimenti prendono una nota.
Che DEVONO capire come fare a mandare il ragazzo in gita visto che ha 12 anni e non ha mai dormito fuori casa (per la precisione, perché non si addormenta senza la mamma o dorme ancora nel lettone con lei, mentre il papà è sul divano - pirla).
E sono genitori talmente concentrati sul loro senso di colpa e di inadeguatezza che non si accorgono di avere di fianco un cretino.
Di aver cresciuto un ragazzino che nel migliore dei casi li tratta come una pezza da piedi e senza neanche avere tutti i torti.
E una volta che il danno è stato fatto, cosa ti resta da fare se non auto-commiserarti e commiserare?
Il che ci porta dritti al problema numero 3.
Problema numero 3: i millennials sono terrorizzati dal futuro.
Secondo il Censis, solo il 16% dei giovani non teme il futuro. Il 32% sta pensando alla terza età ed è preoccupato perché non sa bene cosa accadrà e il 22% è incerto e disorientato.
Con questa ventata di ottimismo, cosa fanno i millennials?
Fanno i NEET.
Chiaro, non tutti. Ci sono anche quelli che si impegnano, che studiano, che lavorano, alcuni aprono anche delle start-up. Ma di certo il numero di giovani che non hanno prospettive è aumentato negli ultimi anni e possiamo continuare a incolpare il sistema, ma non cambierà certo le sorti di questi ragazzi.
Anche i genitori non sono tutti uguali e spesso dietro un fannullone c’è un genitore spazzaneve.
Data di Pubblicazione: 12 novembre 2019