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Una nuova disciplina: l’immunonutrizione
I quattro segreti delle Zone Blu
Da quando si è riconosciuto il ruolo fondamentale della nutrizione nella prevenzione e nella gestione delle malattie, abbiamo assistito a un cambio di scenario che ha coinvolto praticamente tutte le patologie conosciute. Anche quelle che, come il morbo di Alzheimer, la malattia di Parkinson e altre patologie neurodegenerative, erano considerate fino a pochi anni fa una sorta di casuale incidente del destino. Sfortuna nera, insomma.
Sono stati gli studi sulle cosiddette Zone Blu, cioè le regioni del pianeta in cui si osserva una maggiore longevità, a stabilire che lì i centenari e gli ultracentenari non contraevano quasi mai le classiche patologie legate all’età. Si è cercato di carpire i segreti di quei "paradisi terrestri", perché tutti noi aspiriamo a diventare vecchi in piena forma fisica.
Il risultato di tanti studi effettuati è che ci sono tre segreti. Il primo è la corretta nutrizione, il secondo è uno stile di vita sano (che comprende, tra l’altro, il movimento e il restare lontani dal fumo di sigaretta), il terzo è avere sane e proficue relazioni sociali.
A questi tre ingredienti di lunga vita ufficialmente riconosciuti io ne aggiungerei un quarto, cioè il non aver subito gli effetti nefasti dell’inquinamento. Non è un caso se le Zone Blu si trovano su isolette più o meno sperdute, oppure in regioni dedite all'agricoltura tradizionale, spesso in prossimità delle coste marine: la nostra Ogliastra, nella provincia di Nuoro, in Sardegna; l'isola giapponese di Okinawa; quella greca di Icaria; la penisola di Nicoya, in Costa Rica; e, nell'entroterra californiano, la comunità degli avventisti di Loma Linda, nei pressi del San Bernardino County Regional Parks.
Ecologicamente parlando, siamo come un gruppo di gitanti che canta allegramente su un bus che sta per schiantarsi contro un muro alla massima velocità. Proprio come facevano i passeggeri del Titanic, intenti a ballare pochi istanti prima di incontrare iceberg.
La differenza è che le persone sul transatlantico danzavano ignare. Noi, invece, sappiamo da anni che viviamo in una maniera insostenibile. I cambiamenti climatici e l'inquinamento dell’aria e delle falde acquifere sono sotto gli occhi di tutti, però continuiamo a far finta di non accorgercene. È essenziale una repentina inversione di rotta, per noi, per i nostri figli, per garantire la sopravvivenza della specie umana.
I segreti delle Zone Blu, insieme, fanno sì che le persone si ammalino pochissimo, nonostante la presenza di microrganismi patogeni sia abbastanza equamente distribuita sulla Terra. Dobbiamo concludere che i fattori individuati influenzano in modo determinante il funzionamento del sistema immunitario e possono abbattere drasticamente le probabilità di ammalarsi di tutte le patologie: sia quelle non trasmissibili, cioè essenzialmente cardiovascolari, tumorali e degenerative (dal diabete di tipo 2 all’Alzheimer), sia quelle trasmissibili, ovvero causate da infezioni batteriche, parassitarie e virali.
La probabilità di invecchiare è detta speranza di vita: oggi in Italia si attesta intorno agli ottantatré anni. Ma se parliamo di speranza di vita in salute, cioè in assenza di patologie croniche, allora scendiamo al di sotto dei sessant'anni, a seconda di quali malattie vogliamo considerare. Il concetto di speranza è un dato probabilistico, cioè un valore medio. Poi, c'è chi fa meglio della media e chi peggio.
I segreti delle Zone Blu attengono alle probabilità. Scegliere di avere una corretta nutrizione non ci assicura affatto di arrivare sani a cent'anni, però aumenta di molto le probabilità di riuscirci. In altre parole, mangiare sano fa la differenza nella prevenzione delle malattie.
"Fa' che il cibo sia la tua medicina" diceva Ippocrate. Se una persona aspetta di ammalarsi per cambiare il proprio modo di mangiare, significa che non ha sfruttato a pieno le potenzialità della nutrizione.
Vorrei ricordare a chi pensa: Io mangio come mi pare, tanto ammalarsi è solo una questione di sfortuna, che in ambito scientifico la fortuna e la sfortuna non esistono o, perlomeno, vengono dopo il calcolo delle probabilità. Mangiare in modo scorretto aumenta molto le probabilità di ammalarsi, di tutte le patologie. Ai miei studenti spiego sempre che la corretta nutrizione, utilizzata in chiave preventiva, è davvero portentosa.
In presenza di una patologia, invece, ha certamente effetti positivi, che possono sommarsi a quelli della terapia farmacologica, ma che non sono altrettanto forti.
Mangiare bene come atto d'amore verso di sé
Il ruolo preventivo della corretta nutrizione sul sistema immunitario è per certi versi strabiliante. Pensate che nei primi mille giorni della nostra vita si costruisce il nostro esercito difensivo, che poco alla volta cresce e impara a combattere.
Il dibattito scientifico sui primi mille giorni è accesissimo e alcuni ipotizzano che vadano conteggiati dal momento del concepimento fino allo spegnimento della terza candelina sulla torta. Secondo questa ipotesi, mamma e papà, quando mettono in cantiere un figlio, compiono un duplice atto d'amore se adottano un'alimentazione sana e stili di vita virtuosi.
In ogni caso, è certo che passiamo dall'essere neonati protetti in buona parte dagli anticorpi della mamma al costruire il nostro sistema di difese, organizzato e complesso, che dovrà proteggerci da tutti gli attacchi che subiremo nel corso della vita. E non pensiate che si tratti solo delle offensive provenienti da virus e batteri.
Il sistema immunitario è in grado di riconoscere e annientare precocemente le cellule divenute cancerogene che possono svilupparsi all’interno dei nostri tessuti, quindi ci difende anche dai tumori e da tutte quelle malattie che hanno origine da un’aumentata infiammazione. Cioè, moltissime malattie diverse.
Possiamo semplificare il concetto immaginando che i nutrienti che assimiliamo nei primi mille giorni di vita siano una delle squadre di muratori che costruiscono il sistema immunitario. Non sono l’unica squadra al lavoro, ce ne sono altre.
Una, per esempio, è costituita dai batteri "buoni", che pian piano colonizzano l'intestino. Però, la compagine dei nutrienti è quella più importante, perché ha al suo interno il geometra responsabile dell'intero cantiere.
Finiti i lavori, il sistema immunitario è pronto e ben funzionante. Ma, come qualsiasi costruzione, necessita di una manutenzione costante. E i nutrienti, ancora una volta, fanno parte della principale squadra di manutentori che impedisce al sistema immunitario di degenerare con il passare degli anni, attraverso un processo che scientificamente è stato definito inflammaging, dalla somma dei termini inglesi inflammation e aging, infiammazione e invecchiamento.
Di conseguenza, a tutte le età la nutrizione avrà un ruolo fondamentale nel corretto funzionamento del nostro esercito difensivo. Mangiare bene continuerà a essere un atto d'amore verso noi stessi.
Proprio per sottolineare questo concetto, gli scienziati hanno coniato il neologismo di cui scrivevo, immunonutrizione, un termine che indica le modalità specifiche di nutrirsi per migliorare il sistema immunitario, applicabili a partire dai neonati fino ad arrivare agli anziani, inclusi i portatori di determinate patologie.
In questo libro non vi fornirò la dieta miracolosa per guarire da tutti i mali, semplicemente perché non esiste, nonostante non manchino i furbetti che raccontano il contrario in tv o su internet per vendere i loro prodotti miracolosi. Cercherò invece di raccontarvi quali alimenti, secondo le conoscenze scientifiche a nostra disposizione, permettono al sistema immunitario di esprimere le sue potenzialità.
Combattere meglio contro i virus
Non so se siano state le spremute da bambino, ma la nutrizione è sempre stata un mio pallino. Quando ero poco più che maggiorenne cercavo di far mangiare la pasta integrale a mio nonno, un ottantenne in perfetta forma che, assaggiandola, commentava nel suo bellissimo dialetto emiliano: "Mi sembra di mangiare un piatto condito con il sabbione."
Il sabbione era la sabbia utilizzata dai muratori per fare il cemento, non quella fine delle spiagge maldiviane. Il pallino è sempre rimasto, ma non si è intrecciato subito con il mio lavoro di ricercatore. Nei primi anni accademici mi occupavo di tumori, infiammazione e angiogenesi, ossia il fenomeno che permette ai tumori di procurarsi tutto il sangue di cui necessitano per crescere rapidamente.
Questo fino a quando, una dozzina d’anni fa, ho conosciuto Massimo Campieri, direttore a Bologna del Centro di studio e cura delle malattie infiammatorie croniche intestinali (in sigla, MICY).
In amore si chiamano colpi di fulmine, sul piano professionale non hanno un nome preciso, ma si traducono in intense collaborazioni scientifiche. La cosa che più mi stupiva era come, in un reparto in cui si curava l'intestino infiammato, la dieta non venisse presa molto in considerazione: per me era assurdo.
A quei tempi, Massimo era uno dei pochi primari aperti alla fitoterapia e uno dei primi medici al mondo ad aver creduto nell'utilizzo dei probiotici nei pazienti. Così, durante i nostri lunghi scambi di idee, io provavo a suggerirgli che l’infiammazione dell'intestino, e la sua cura, non possono prescindere da una nutrizione corretta e specifica.
Erano tempi in cui negli ospedali a molti pazienti veniva detto: "Mangi come vuole, purché prenda le medicine." Dodici anni sembrano un'eternità, ma è il tempo necessario per cambiare un paradigma. Ormai la letteratura scientifica è piena di articoli che supportano e spiegano nel dettaglio il ruolo della dieta nelle patologie intestinali, e Massimo, i suoi più stretti collaboratori e io abbiamo in parte contribuito a scrivere questa letteratura.
Sempre nell’ambito delle malattie infiammatorie croniche intestinali, ci si è spinti a registrare i potenti effetti di alcuni nutrienti (i grassi omega 3) somministrati ai pazienti sotto forma di integratori ad alto dosaggio. Dai risultati si evince che l’effetto complessivo è paragonabile a quello di alcuni farmaci.
Massimo, purtroppo, è mancato a luglio del 2021. Con il suo successore, Paolo Gionchetti, abbiamo in corso diversi studi clinici. Quando è stato scoperto in Cina il nuovo coronavirus mi trovavo in vacanza in Valle d'Aosta. Ne ho subito intuito la pericolosità. Infatti, pochi mesi dopo, ero come tutti a casa in lockdown (il primo), bloccato nella mia attività di ricerca.
Tra i tanti pensieri che mi frullavano in testa, il più assiduo era come affrontare il sars-cov-2 con sostanze naturali presenti negli alimenti, che fungessero da potenti antivirali. Quando mi telefonò il collega e agronomo Giovanni Dinelli capimmo di aver avuto lo stesso pensiero. Lui era arrivato a identificare un possibile potenziante del sistema immunitario, io ne avevo individuato un altro.
Insieme decidemmo di scrivere un progetto da presentare allo European Institute of Innovation & Technology, per formulare un integratore alimentare che potesse aiutare il sistema immunitario ad affrontare il nuovo virus. Il progetto fu finanziato e l'integratore è stato realizzato: ruota intorno all’autofagia, un meccanismo di pulizia intracellulare messo in crisi proprio dal coronavirus per evitare di essere degradato ed eliminato (preferisco approfondire di cosa si tratta più avanti, a pagina 30 e seguenti, dopo avervi raccontato come funziona il nostro sistema immunitario).
L'iniziativa rientra tra le attività messe in campo dall'Unione Europea in risposta alla pandemia. Ve ne parlo perché il mio lavoro è anche questo: fare ricerca per realizzare prodotti che poi siano utili ai medici nella pratica clinica.
Data di Pubblicazione: 26 novembre 2021