Un incidente stradale sconvolge la vita di Julien, mandandolo in coma, ma il suo Destino lo attende. Scoprilo, leggendo l'anteprima del libro di Anne Givaudan.
Una svolta è sempre inaspettata
"Oggetti inanimati, avete dunque un’anima che si aggrappa alla nostra, forzandola ad amare?"
Alphonse de Lamartine
Camminavo cercando di dimenticare l’accaduto, quando una lattina di cibo in scatola vuota mi si è parata davanti ai piedi, come se volesse intralciarmi; non so perché abbia attratto la mia attenzione in quel modo: avrei potuto semplicemente aggirarla, ma era come se fosse stata messa lì apposta, come se fosse viva e si prendesse gioco di me, tanto che non riuscivo a distogliere lo sguardo.
Mentre la osservavo come se fosse uno spettacolo affascinante, i miei pensieri si sono messi a creare una sceneggiatura inaspettata: ho cominciato a immaginare la persona, o forse l’animale, che l’aveva lasciata lì: era forse un uomo, una donna, un bambino, un barbone, oppure un cane randagio che l’aveva prelevata da un bidone dell’immondizia per cibarsi degli avanzi?
Poi hanno incominciato a sfilarmi davanti agli occhi una serie di scene: ho visto le persone che raccoglievano quei fagioli, persone dalla pelle scura, in fila, chine su un lavoro lungo e tedioso. Eppure ridevano per un nonnulla.
Quella scena si è cancellata, sostituita da uomini e donne che indossavano abiti di buon taglio, fatti di tessuti di qualità. Ho riconosciuto in loro gli acquirenti che discutevano del costo dei fagioli in modo da pagarli il meno possibile, ossessionati dal vendere sempre di più e al prezzo più basso, senza pensare alle ripercussioni sul già magro salario dei contadini. Improvvisamente mi sono reso conto che una quantità di schiavi era all’opera, incessantemente, per renderci la vita comoda; persino per me, che vivevo senza pretese.
Mi si è rimescolato lo stomaco: quasi un moto di nausea. Lo spettacolo non era finito, e ho visto gli operai che inscatolavano i fagioli e le donne che incollavano le etichette servendosi di una macchina antidiluviana. Quelle etichette, come tutto il resto, mentivano, presentando il contenuto come qualcosa di molto più attraente di quanto non fosse in realtà.
E a quel punto non so cosa mi sia preso: all’improvviso ne ho avuto abbastanza e ho mollato un calcio a quella maledetta lattina che mi spingeva in angosciose derive del pensiero dove non avevo nessuna voglia di andare.
La lattina ha cominciato a ruzzolare, è caduta dal marciapiede con un lieve tonfo di ferraglia finendo in mezzo alla carreggiata, ed è in quel momento che è arrivata la moto e ha cercato di schivarla…
Ho sentito solo lo stridore dei freni, il rumore della lattina schiacciata, la puzza mista di gomma e di bruciato degli pneumatici. Poi ho perso conoscenza, tutto si è annebbiato. Una figura si è avvicinata, ho udito con grande chiarezza una voce che cercava di rassicurarmi con dolcezza: «Stia tranquillo, andrà tutto bene» e poi più nulla.
Giustappunto: che cosa sarebbe “andato bene”? Io che detesto gli imprevisti, gli eventi inattesi, le sorprese, mi sentivo impotente e terrorizzato.
Persino da bambino, quando la mamma nascondeva il mio regalo di Natale o del compleanno per farmi una sorpresa la bombardavo di domande ansiose immaginando il peggio, finché si lasciava scappare qualche indizio.
Davvero, le sorprese le detesto, anche perché quando avevo tre anni mio padre, che da allora non ho mai più rivisto, ha urlato a mia madre:
«Non sono io che l’ho voluto, questo moccioso. Detesto quando mi accollano delle responsabilità che non ho chiesto. Credevi di farmi una sorpresa? Bene: allora adesso arrangiati per conto tuo, con lui. Io me ne vado».
Era Natale, e la mamma ha pianto tutto il giorno. E io piangevo perché piangeva lei, seduta su un’ingombrante poltrona di velluto rosa, e perché questo mi rendeva triste.
Non ho nessuna voglia di rivedere tutti questi eventi, ma le immagini e le scene si susseguono senza che possa interromperle. È un incubo. Io, che preferisco non ricordarmi di niente, non riesco a mettere fine a queste sequenze, a questi spezzoni di film tristi e angosciosi. Dove sono? Sto navigando nei meandri della mia memoria? Oppure è un’illusione che mi fa credere di aver vissuto tutte questi eventi che magari appartengono a un altro?
Attraverso altri occhi
Tutto preso dai suoi pensieri, Julien non si accorge degli esseri che, riuniti su un altro piano, parlano del suo avvenire. Uno di loro, dalla figura slanciata, esclama:
«È ora che Julien si svegli. È sotto ipnosi in un mondo che lo fa vivere a rallentatore; è passato più volte accanto a Sandra senza neppure vederla, così come lei non vede lui».
«È il momento di dar loro una mano, altrimenti ci impiegheranno due vite, anziché una sola! È importante che si incontrino», rincara una donna bellissima, rivolta agli altri tre presenti.
Il gruppetto scoppia a ridere come se avesse fatto una battuta; li sento concertarsi su come far sì che due vite si incrocino e, infine, si incontrino.
In quel momento misuro quanto gli umani, sulla Terra, si impantanino in situazioni che troppo spesso ritengono insormontabili:
«Tranquilla, sorellina – mi dice uno di loro. – Non ci si può sottrarre alla propria vita, lo sai. Ci si può impiegare più tempo del necessario, e in questo caso noi guide possiamo agire. Julien non è ancora neppure salito sul primo gradino della sua scala, anche se ben presto avrà quarant’anni. Non può schivare i momenti importanti della sua esistenza, non è nato per fare lo struzzo: si è dato un ruolo nell’evoluzione umana».
«Bene, vediamo come li possiamo aiutare – continua in tono lieve un’altra voce, proveniente dalla figura longilinea che se ne sta un po’ in disparte rispetto al gruppo. – Andiamo a suggerirgli qualche idea».
Nel frattempo Julien se ne sta seduto con atteggiamento passivo in uno spazio neutro, in attesa che avvenga qualcosa. Vede sfilare davanti agli occhi tutta la sua vita, come su uno schermo gigante e con molti più dettagli di ciò che avrebbe voluto. Sua madre, una brunetta giovanissima, partorisce da sola e piange; non si capisce se di gioia o di tristezza.
Ma un’altra donna che sembra un’ostetrica è presente a quella scena, e ci metterà in breve sulla pista giusta:
«Dov’è il padre? – chiede. – Sarà felice che sia maschio!».
«Non voleva assolutamente avere figli, ma chissà, forse verrà a trovarci…» dice fra i singhiozzi la giovane mamma.
L’ostetrica tace; mentre si prende cura del neonato e della madre, i suoi pensieri vanno a questo piccino:
«Povero piccolo, cominciamo bene… Agli uomini piace divertirsi, e poi… Che le donne si arrangino da sole! Che sconsiderati! È proprio quello che è capitato a me, e i miei tre figli non hanno mai conosciuto i loro tre padri; infatti li stanno ancora cercando. Ma è proprio questa, la vita? Nient’altro che abbandoni, vigliaccate, azioni sconsiderate per qualche istante di piacere?».
Il neonato percepisce tutto quello che accade, ma è troppo tardi per fare ritorno là da dove è venuto; ed è molto arrabbiato con sé stesso per aver accettato di arrivare in un contesto del genere.
Accanto a lui un essere luminoso e invisibile, con uno sguardo umano, gli mormora:
«Hai accettato queste circostanze perché sapevi che non sono il frutto del caso. Sono fatte per darti la forza di guarire altre vecchie storie risalenti a vite passate e per darti le capacità che ti serviranno nella vita che hai appena iniziato».
Il piccolo Julien piange a squarciagola come se il suo pianto potesse tenere lontana l’ansia che lo invade. Senza capirne il motivo, quel pianto gli dà forza; poi però il bimbo si sfinisce in fretta e si addormenta sul seno di sua madre.
Data di Pubblicazione: 22 ottobre 2021