Lasciati ispirare dalla storia di Carlotta: anni di consapevolezza, positività e tanta passione. Continua a leggere l'anteprima del libro "Vegetale Insieme".
- Scegliere di Diventare Vegani
- La mia storia. Come ho scelto di diventare vegana
- Decidere di dedicare una nuova attenzione alla salute e al benessere
- Il pesce, l'unica vera rinuncia
- In viaggio verso la dieta vegana
- Come è nata davvero Cucina Botanica...
- Coltivare una vera passione
- Scegliere ciò che rende felici e cambiare vita
Scegliere di Diventare Vegani
La mia storia. Come ho scelto di diventare vegana
A pensarci ora suona strano, ma per un lungo periodo della mia vita ho mangiato carne, pesce, latte e uova.
In molti ricordi della mia infanzia e della mia adolescenza ci sono grigliate estive in giardino, pranzi o cene invernali con arrosti o polpette, tavole imbandite con taglieri di formaggi e affettati. E poi il pesce, cucinato per tante occasioni speciali e mangiato spesso al ristorante.
Ho vissuto la mia infanzia nella periferia a nord di Milano, in una casa con un giardino vicino alla quale c'erano boschi e campi. Ricordo infinite passeggiate con mia sorella per andare a prendere le uova nel pollaio vicino a casa.
Allo stesso modo ricordo molte estati passate in Liguria, dove a volte pescavamo sugli scogli con i nonni. Infine, ricordo tanti cibi “cult” degli anni Novanta: trancini, sofficini, bastoncini...
Non sono certo cresciuta vegana, come potete intuire.
E fino a un certo punto della mia vita non mi era mai neppure passata per la testa l’idea di diventarlo. Probabilmente, se qualcuno me l’avesse chiesto anni fa, avrei risposto sorpresa che no, non era nelle mie intenzioni eliminare dalla mia alimentazione la carne, per non parlare del resto.
Quindi, cosa è successo?
Non è stata una decisione presa da un giorno all'altro, al contrario.
Si è trattato di un'idea che ha impiegato tempo per prendere forma, di una consapevolezza maturata lentamente.
Un viaggio durato anni, cominciato con un momento molto triste della mia vita.
Era il settembre 2011 quando fu diagnosticato un tumore a mia nonna. Una visita di controllo come tante altre si è conclusa con la brutta notizia, arrivata inaspettata. I medici ci hanno lasciato minime speranze, spiegando che le possibilità di guarire erano pochissime, praticamente nulle.
All'improvviso tutto è cambiato.
I nonni hanno lasciato l'appartamento di Milano dove vivevano e si sono trasferiti con me e il mio nucleo familiare. C'erano ovviamente delle ragioni pratiche che avevamo discusso insieme, ma c'erano anche motivazioni che nessuno diceva ad alta voce, e tuttavia erano ben chiare nel cuore di tutti.
La nonna desiderava trascorrere il tempo che le restava con noi, i suoi nipoti, e sua figlia. lo avevo diciotto anni, frequentavo l'ultimo anno di superiori e fino a quel momento non mi ero mai interrogata troppo sulla morte.
Superato lo sconcerto e l'incredulità, la mia prima reazione è stata quella di voler capire.
Ho cominciato a leggere libri sul cancro, su come affrontare e prevenire certe malattie. Era il mio modo per esorcizzare la paura, per orientarmi in un mondo che non conoscevo.
Documentandomi, ho scoperto alcuni studi che mettevano in correlazione l'incidenza dei tumori e l'elevato consumo di carni rosse. A quei tempi l'OMS non aveva ancora ufficializzato i dati - l'avrebbe fatto quattro anni dopo - e in generale non se ne parlava molto.
La carne e gli affettati, in generale, erano considerati parte della cucina italiana.
Decidere di dedicare una nuova attenzione alla salute e al benessere
E infatti anch’io per anni avevo mangiato in abbondanza panini con prosciutto, kebab, fette di salame come aperitivo, cotolette e pasta al ragù. Era normale. Non mi ero mai posta il problema e forse non l‘avrei fatto neppure in seguito, se non avessi visto soffrire una persona a me cara. Per un anno ho visto e indirettamente vissuto il peggioramento della malattia, con tutte le atroci sofferenze che ne conseguono.
Mi sono presa cura di mia nonna, giorno dopo giorno. Sono stati mesi durissimi, e solo il tempo mi ha permesso di ripensare a quel periodo diversamente, addolcendo il dolore con la consapevolezza di quanto sia stata fortunata la nonna a poter avere la famiglia al suo fianco, fino alla fine, e noi ad avere lei.
Dentro di me il trauma della morte ha preso la forma di una promessa: avrei fatto qualunque cosa in mio potere, qualunque davvero, pur di non ammalarmi. Sapevo che alcuni tumori hanno una componente ereditaria importante: su quello non potevo farci nulla, ma mi ero documentata abbastanza da scoprire dove invece avrei potuto intervenire per portare la statistica a mio favore.
L'alimentazione rientrava tra quelle scelte che concorrono a definire uno stile di vita sano, cosi ho iniziato a mangiare sempre meno carne e a limitare il consumo di latticini. Latte e derivati per me costituivano un problema da anni, ma avevo sempre sottovalutato i problemi intestinali che mi causavano.
Erano sintomi comuni, non troppo gravi e spesso trascurati. Ricordo che mi lamentavo dei mal di pancia e mia mamma rispondeva che probabilmente si trattava di ansia per la scuola.
Con quella nuova attenzione per la mia salute, ho deciso di ascoltare il mio corpo e fare a meno di latte e formaggi, per dare più spazio ad altro.
Ho cominciato a guardare con curiosità a tanti alimenti che prima non avevo preso in considerazione: frutta secca, cereali spesso trascurati, legumi, verdure di stagione meno note.
Nonostante ciò, all’inizio dell’università non potevo definirmi né vegetariana né vegana, e non era mia intenzione farlo.
Nel mio piatto c’erano sempre più verdure e legumi, ma ancora qualche volta mi capitava di mangiare cibi di provenienza animale, soprattutto in quelle situazioni in cui non ero io a cucinare. Oltre alle considerazioni pratiche, mi restavano comunque alcune incertezze. Rinunciare alle bistecche per me era semplice, ma sentivo che mai avrei potuto negarmi alcuni alimenti.
Il sushi, ad esempio, era una mia grande passione. Vivendo un po’ di confusione sull'argomento, ho continuato a documentarmi, perché l’interesse e la curiosità per l‘alimentazione erano rimasti.
Il pesce, l'unica vera rinuncia
Ho approfondito argomenti di cui avevo una conoscenza superficiale. Film, libri, documentari: più ne sapevo, più sentivo l'esigenza di cercare nuove informazioni. E tutto quello che scoprivo mi rendeva più consapevole di quello che finiva nel mio piatto. Quella scelta smossa all'inizio da considerazioni di salute - egoisticamente, come reazione alla malattia di mia nonna - si stava rafforzando, supportata dalla mia coscienza e da ragioni etiche.
A quei tempi il pesce era la mia grande “eccezione”. Sushi a parte, avrei potuto definirmi vegana. Ed è stato così fino a una sera, quando, al tavolo di un ristorante giapponese, il mio compagno mi ha guardato e ha osservato come mi preoccupassi per le sofferenze inflitte agli animali terrestri, accettando però l'altrettanto triste destino dei pesci.
Se l'immagine di un vitello al macello colpisce la coscienza, di loro nessuno si preoccupa. «Forse è perché non possono urlare» ha osservato. Quella frase mi ha colpito.
Perché sì, benché le loro manifestazioni di dolore siano più difficili da cogliere, anche i pesci soffrono.
E questo mi ha spinto a domandarmi se davvero non fossi pronta a rinunciare anche al sushi, coerentemente con l'idea che nessun animale desidera morire.
La vita è cara a ciascun essere vivente, che si tratti di un umano, di un vitello o di un salmone. A rendermi più determinata c'è stato poi quello che ho scoperto sulla pesca, grave causa di devastazione ambientale.
Ignorare il problema è fin troppo facile, perché il dramma degli oceani è lontano dai nostri occhi, nascosto sotto la superficie dell’acqua.
Ma dopo essermi documentata anche su questo, era difficile ignorarlo. Così ho eliminato anche il pesce. E quella è stata l'unica vera rinuncia, perché da bambina avevo mangiato così tante uova da non poterne più.
Vicino a dove vivevo c'era un pollaio e ogni giorno le galline producevano anche una decina di uova, che arrivavano perennemente in tavola sotto forme diverse: sode, strapazzate, all'occhio di bue, fritte, sbattute con lo zucchero.
Ho finito per non sopportarne più il sapore: le accettavo solo come ingrediente di una torta o nell’impasto della pasta fresca, purché non si sentissero troppo.
Questo è quello che raccontavo a chi mi diceva: «Capisco abbandonare carne e pesce, ma tutto il resto?».
Ѐ un dubbio legittimo, che comprendo bene perché anch’io per anni non ho visto nulla di sbagliato nel formaggio o in una frittata.
Ho cominciato a pensarla diversamente dopo aver scoperto quanto l'industria delle uova e del latte condivida fondamentalmente i metodi usati da quella della carne, di cui parleremo più avanti.
Così, per un insieme di motivazioni diverse, in qualche anno sono diventata vegana.
In viaggio verso la dieta vegana
Ѐ stato un viaggio guidato dal desiderio di saperne di più ed essere consapevole di come il cibo finisce nei nostri piatti. Con il tempo ho esplorato e fatto mie tutte le sfumature dietro questa decisione.
Essere vegani, infatti, è una scelta che va oltre l’alimentazione: si cerca di ridurre al minimo l'utilizzo di prodotti derivati o sperimentati su animali. Ci si spinge quindi oltre la tavola, per esempio ai prodotti per il corpo o per la casa.
Coinvolge aspetti molto diversi della vita quotidiana di ciascuno di noi.
Ovviamente, è difficile essere sempre coerenti. Nonostante ciò, resto convinta che almeno provarci sia importante.
Vi ho raccontato la mia storia, consapevole del fatto che ciascuno di voi ha fatto (o magari farà) un percorso che potrà essere simile al mio o estremamente diverso.
Avvicinarsi alla scelta vegana è una strada personale ed è giusto che ognuno la percorra con i propri tempi e le proprie ragioni, scelte e riflessioni.
Per me è stato un cambiamento iniziato con un lutto e durato anni.
C’è chi invece decide di cambiare alimentazione e stile di vita da un giorno all'altro. C'è chi decide di avvicinarcisi, ma non del tutto. Non esistono, ovviamente, giusto o sbagliato: l'importante, a mio parere, è fare ogni passo con consapevolezza e positività.
Come è nata davvero Cucina Botanica...
La scelta di mangiare vegetale ha determinato importanti cambiamenti nella mia vita.
Il viaggio - per mantenere la definizione data poco fa - non solo si è concluso con un nuovo stile di alimentazione, ma ha anche dato un indirizzo alla mia vita che mai avrei previsto.
All'università, infatti, avevo studiato moda. Dopo i primi anni a Milano, mi ero trasferita a Firenze per completare un master e lì ero poi rimasta quando mi erano stati offerti uno stage e poi il mio primo lavoro.
Ero assistente della merchandiser di un noto brand di alta moda, la figura professionale incaricata di decidere quali vestiti mandare in ciascun negozio del mondo.
Per darvi un‘idea, nel negozio di Stoccolma non si facevano arrivare costumi da bagno a maggio e in Asia in generale non erano apprezzati gli abiti troppo scollati, mentre nella boutique di Miami si vendevano bene tutti i capi più colorati e originali.
Ogni negozio aveva il suo assortimento e stabilire quale dovesse essere era un lavoro bellissimo, a sentirlo raccontare.
Ma, nella pratica, trascorrevo le giornate davanti al computer, a compilare infiniti file Excel. Ben presto ho cominciato a sentirmi frustrata e insoddisfatta.
Quello che avrebbe dovuto essere il lavoro dei sogni, quello per cui avevo studiato anni, non mi piaceva per niente. A peggiorare le cose c'era il fatto che nel tempo libero avevo ben poco da fare.
Il mio compagno era a Milano, io vivevo in un piccolo paese appena fuori Firenze dove non conoscevo nessuno.
Coltivare una vera passione
Sopraffatta dalla noia, cucinavo.
Mi piaceva e mi dava soddisfazioni, perché ai fornelli mi sembrava di dar sfogo alla creatività che non trovava spazio in ufficio. E quando ho sentito di aver esaurito le ricette conosciute, ho pensato che fosse una buona idea seguire un corso.
“Potrebbe essere anche l'occasione per conoscere persone”, mi sono detta.
Per fortuna, a Firenze, patria della fiorentina, ho trovato una scuola di cucina che offriva corsi serali di cucina vegana, dove un professionista faceva uno show cooking a cui gli studenti partecipavano.
Mi sono iscritta a diverse serate, niente di troppo impegnativo: una volta ogni tanto staccavo dal lavoro e mi presentavo in quella cucina, dove mi divertivo da morire.
“Che lavoro fantastico” mi dicevo, osservando il cuoco.
Tornata a casa toglievo il grembiule, e la mattina dopo infilavo i tacchi e tornavo in ufficio, a compilare file Excel.
Non era la vita che desideravo, infatti ogni venerdì sera salivo in macchina e tornavo a Milano, da Simone e dalla mia famiglia, con cui mi lamentavo spesso del lavoro.
E forse quelle sarebbero rimaste chiacchiere, se una sera, sull’autostrada che correva verso nord, due auto davanti a me non si fossero leggermente toccate nella corsia di sorpasso.
Ѐ stata questione di un secondo: hanno cominciato a sbandare e io, che ero appena dietro, lanciata a più di cento chilometri all'ora, ho quasi perso il controllo.
Non so come, ma sono riuscita a tenere le mani saldamente sul volante e ad accostare nella corsia d’emergenza. Sconvolta, con il cuore a mille e con un pensiero in testa: basta un attimo per farsi molto male o, peggio ancora, per morire.
Questo episodio, che non ha avuto alcuna conseguenza pratica oltre a qualche ammaccatura sulle carrozzerie delle due auto davanti, ha cambiato la mia prospettiva sulla vita che avevo scelto.
Scegliere ciò che rende felici e cambiare vita
Sono arrivata a casa con gli occhi spalancati, agitatissima. Del tempo l'ho dedicato a calmarmi, poi il giorno dopo mi sono connessa a internet per digitare nel motore di ricerca «miglior corso di cucina vegana al mondo».
Ripensando all'anno appena passato, quella era l'unica cosa che mi fosse davvero piaciuta.
Volevo darmi un‘opportunità, così ho individuato uno chef americano che mi sembrava davvero referenziato. Oltre a dirigere decine di ristoranti plant-based, aveva anche una scuola. Non ho perso tempo e mi sono iscritta al corso, che sarebbe iniziato qualche settimana dopo.
Poi, il lunedì mattina, sono tornata a Firenze per dare le dimissioni dal lavoro.
E a luglio ero a Los Angeles.
In origine l'idea era restare due mesi, ma concluso il corso il mio visto era ancora valido, così mi sono iscritta ad altre lezioni.
L‘ultimo giorno, quello dell’esame finale, i membri della commissione hanno assaggiato il mio piatto e mi hanno proposto di restare: non come alunna, ma come assistente.
Avevo imparato tanto, e la mia cucina si notava tra quella degli altri allievi grazie alle mie origini italiane, che sicuramente mi avvantaggiavano.
In tarda mattinata ho finito l'esame, due ore dopo stavo firmando il contratto d’assunzione e nel pomeriggio già lavoravo.
Mi sembrava un sogno: seppur come assistente - quella che portava i piatti e le pentole sporchi da una stanza all‘altra - avevo trovato un lavoro nel settore che mi appassionava: la cucina.
Data di Pubblicazione: 9 novembre 2022