SELF-HELP E PSICOLOGIA   |   Tempo di Lettura: 10 min

Viaggio nella Cura e nella Compassione per Guarire l'Anima

Questo Nostro Immenso Amore - Stefano Manera - Speciale

Abbraccia un nuovo stile di vita fatto di amore, compassione e cura del prossimo e di te stesso, leggendo l'anteprima del nuovo libro di Stefano Manera.

Viaggio nella Cura e nella Compassione per Guarire l'Anima

Invito

"Scrivo perché le vite di tutti noi sono storie. Se queste storie vengono raccontate, allora forse inizieremo a vedere che le nostre vite sono la stessa storia, le differenze sono solo nei dettagli."

Julius Lester

I fili confusi della matassa, visti dall’alto, ci presentano sempre un loro chiaro disegno. È necessario essere capaci di tenere il filo, di non dimenticare, di riconoscere, di essere attenti. La nostra vita può spesso apparirci come una matassa inestricabile, senza soluzione, senza tregua e senza possibilità.

Sento spesso storie di vite bloccate, congelate, arenate.

Forse per qualche tempo anche la mia vita mi è apparsa così e per quel motivo vivevo come se fossi sempre in apnea, col respiro bloccato, con i muscoli tesi in un continuo chiedermi perché.

Più mi agitavo e più sprofondavo in fredde sabbie mobili e lentamente anche i tentativi di venirne fuori si facevano più difficili, lenti, stanchi e vani.

Arriva un punto in cui ci si abbandona, in cui ci si lascia vincere, in cui crediamo non valga più la pena proseguire.

Ci sediamo e lasciamo che il freddo ci penetri nella carne e nelle ossa. Tremiamo, piangiamo e malediciamo qualche dio. Chiudiamo gli occhi e lasciamo che la vita passi.

Abbiamo bisogno di raggiungere una riva, di sdraiarci per riprendere fiato e lasciarci scaldare dai raggi tiepidi del sole.

Abbiamo bisogno del profumo della primavera e del candore delle lenzuola stese appena lavate, quel profumo di buono che quando lo respiri, chiudendo gli occhi, ti senti a casa, ovunque ti trovi.

 

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La casa dell'anima

C'è un momento, se solo ci diamo il tempo per un ascolto autentico, dove diviene possibile percepire distintamente le tre componenti del nostro essere: corporeo, psichico e spirituale. In una condizione armonica, di equilibrio potremmo dire, queste tre componenti non dovrebbero essere disgiunte, ma dovrebbero attraversarsi senza soluzione di continuità. Sappiamo però che non è sempre così.

Sappiamo che spesso uno strumento che permette la meraviglia polifonica che chiamiamo vita, si scorda, facendo risuonare una stonatura, una dissonanza, una deviazione imprevista dal nostro imperscrutabile tema.

Non sappiamo quale sia questo tema, forse non lo sapremo mai oppure ci illuderemo o avremo la presunzione di conoscerlo; forse ci interrogheremo e decideremo di affrontare un rompicapo così difficile da risolvere che l’uomo in migliaia di anni ancora non ha trovato una soluzione definitiva.

Se tuttavia saremo attenti e delicati, all'improvviso l’essere psichico e l’essere spirituale decideranno di farci cambiare rotta e lo faranno in maniera così eclatante che non potremo che obbedire. Resistere rappresenterebbe una violenza troppo forte da sopportare.

È il momento in cui tutto diventa misterioso, come se dovessimo tornare a scoprire la Vita con un altro sguardo.

È il momento in cui una nuova nascita può avvenire e in cui possiamo solo affidarci senza riserve al Divino, qualsiasi cosa esso rappresenti per noi.

Non conosciamo la strada, ma solo il passo che stiamo facendo e poi quello dopo e quello dopo ancora.

Il Maestro Thich Nath Hanh ne era così convinto da strutturare persino una pratica meditativa, quella del cammino consapevole, perché camminare — meravigliosa metafora della nostra vita - non è solo un modo per spostarci, ma è un gesto che ci porta a vivere pienamente nel momento presente, permettendoci di diminuire la nostra sofferenza.

Così potremo ripartire, andare, e un profumo speciale ci avvolgerà, un profumo che porterà in sé un sentimento di sacra meraviglia e di ingenuo stupore.

 

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Ricordo molto bene quella notte, era il 26 dicembre del 2017, era tardi e nelle strade erano scesi il buio e la nebbia. Ogni tanto si sentiva qualche passo affrettato e qualche auto sfrecciare nel vialone sotto casa. C'erano solo i rumori un po’ ovattati delle giornate di festa che stanno finendo.

Anch'io ero in silenzio e cercavo di mettere un po’ di ordine nei miei pensieri, il bollitore sul fuoco e un libro aperto sul tavolo della cucina, quando sul telefono cellulare ricevetti un messaggio inaspettato.

Caro Stefano, desidero farti gli auguri e invitarti al consueto pellegrinaggio a Medjugorie, un abbraccio, Don V.”.

Don V. non mi aveva mai mandato un messaggio prima di allora, né ci eravamo mai sentiti per telefono. Io non ero mai stato un uomo di chiesa, qualche volta mi piaceva andare alla messa della domenica mattina per ascoltarlo leggere e commentare il Vangelo, erano sedute di psicoterapia le sue, parole precise, sempre ben ponderate, scelte con cura.

Ecco, don V. portava la cura della parola, di quella parola pronunciata con delicatezza, che ti avvolge e ti riscalda. Era lì, quell’omone sull’altare che parlava con un mezzo sorriso e gli occhi chiusi che avresti detto che qualcuno gliele stesse suggerendo in un orecchio quelle parole, tanto sgorgavano fluide, limpide e potenti.

Le persone restavano per tutto il tempo in silenzio, intente nell’ascolto per non perderne nemmeno una briciola e io ero uno di loro.

Torno al messaggio di quella notte e mi perdonerete se ogni tanto divago, del resto ho iniziato dicendo che la vita è una matassa inestricabile e questo narrare semplicemente la vuole descrivere, la vuole vedere e la vuole dipanare.

Non ero mai stato a Medjugorie, né avrei mai pensato di andarvi: troppi erano i racconti surreali che avevo sentito, troppe le persone che ne parlavano con un certo fanatismo, troppe le storie folkloristiche e inverosimili che ruotavano attorno a quel luogo lontano in Bosnia-Erzegovina.

Medjugorie si basava sul troppo e il troppo faccio fatica a gestirlo, mi destabilizza, mi fa perdere l’equilibrio.

 

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Cambio di rotta

Il messaggio di quella sera però non è stato troppo, ma è stato tutto ciò di cui avevo bisogno in quel momento, ha rappresentato per me l’essenziale. In quel momento mi trovavo nelle sabbie mobili, ero impantanato e qualsiasi movimento io facessi mi sentivo sprofondare sempre più.

Ogni giorno quella sensazione di peso, di non poter respirare a pieni polmoni, quella paura di non farcela, mi accompagnava come una fedele compagna.

Quando nella notte il respiro si espande e il cuore divampa.

Quando senti che qualcosa si sbriciola e che non ti sostiene più.

Che sei come una zattera disperso nel mare.

Qualcosa che fa male, che lacera la pelle.

Quando vorresti gridare, ma la voce non esce.

Non avevo nulla da perdere perché credevo realmente di aver già perduto tutto. Non avevo più il mio posto fisso e sicuro in ospedale, avevo deciso di iniziare un nuovo cammino per un sentiero sconosciuto senza una mappa o punti di riferimento.

Sapevo che potevo contare solo su di me, non avevo amicizie influenti, non avevo raccomandazioni, non avevo nemmeno uno studio mio dove poter ricevere i miei primi pazienti, quando sarebbero arrivati. A dirla tutta, non avevo nemmeno più una casa dove poter stare, dove poter fare ritorno, dove sentirmi al sicuro.

Si era concluso un intero capitolo della mia vita e non mi restava che scegliere: andare a fondo o nuotare tenacemente fino a riva. Non c'era una terza possibilità.

Per qualcuno quella poteva sembrare una conclusione drammatica, fallimentare, persino definitiva.

Ho saputo solo molto tempo dopo che qualcuno aveva provato piacere a infangarmi, a calunniarmi e persino a farmi del male. La verità viene sempre a galla, bisogna solo avere pazienza.

Nel capitolo precedente della mia vita, quando ancora non avevo compreso l’importanza della consapevolezza, pensavo che quelle persone fossero cattive e ingiuste, provavo rabbia e frustrazione, le additavo come le responsabili della mia sofferenza e avrei voluto vendicarmi.

Don V., ma io non so pregare.

Non c’è bisogno che tu sappia farlo.

Per tutto questo ho accettato l’invito e mi sono lasciato condurre con grande fiducia.

Quando risposi che sì, sarei andato, mi dissi che sarei dovuto partire leggero, che avrei dovuto togliere dal mio bagaglio ogni pregiudizio, ogni velo che si poneva davanti ai miei occhi. Mi dissi che avrei lasciato a casa lo zaino pesante delle mie credenze ingombranti, il fardello della mia presunzione.

 

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Scelsi un bagaglio a mano piccolo che poteva stare comodamente nella cappelliera del pullman, scelsi di partire con l’essenziale e, oltre allo spazzolino da denti e qualche vestito di ricambio, ci riposi con cura l’equanimità, l’ascolto, il silenzio e l’attenzione vigile. Decisi che dovevo solamente osservare.

Naturalmente non ho visto apparizioni, nemmeno soli danzanti nel cielo. Non ho visto storpi gettare via le loro stampelle o ciechi tornare a vedere. Ma ho osservato e vissuto storie di ripartenze.

Ho ascoltato esperienze di rinascite.

Ho visto persone riprendere a respirare, a passare oltre l’orizzonte opaco, a tornare a vedere l’alba e a dire buongiorno.

Mi sono fermato, radicato e ho ascoltato.

Ascoltare.

Ho contato i miei respiri, a uno a uno, come si fa con le onde del mare in quelle fredde mattinate d’autunno.

Lasciare indietro le ansie, le insicurezze. Via, liberandomene ad ogni respiro. Con fiducia.

Fidarsi.

Dipanare la matassa ingombrante e disordinata per osservare e comprendere il filo della nostra vita. Osservare la realtà così com'è. Meravigliarsi e commuoversi per la bellezza del progetto della nostra vita, comprendere l’essenzialità che ci vede protagonisti di fronte alla domanda cruciale “chi sei tu realmente?”.

E cercare di dare un senso al tutto.

Ho sentito tutto, ho sentito il profumo di quella goccia che sapeva di fiori quella mattina di marzo.

Ho sentito le carezze, il vento sussurrare e la calda fragranza dell'essere accolto.

Ho sentito quelle mani, ho vissuto gli abbracci stretti, mi sono rialzato dalla convinzione che la vita fosse spietata, brutale e inumana, che fosse indifferente al mio sentire.

Ho totalmente abbandonato la sensazione di essere solo, di non essere mai abbastanza.

 

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Ho fatto spazio, ho aperto le finestre e mi sono lasciato inondare dalla luce tiepida del sole del mattino.

Fare spazio.

Lasciare il superfluo.

Mollare gli ormeggi e salpare.

Seguire la via, restando sempre vigile, guardiano attento alle porte dei sensi.

Sono rimasto col mio dolore e ho imparato cosa significhi la compassione. E al ritorno da quel viaggio, non sono più stato lo stesso.

Mi sono riscoperto, mi sono svelato, ho accolto tutta la mia fragilità senza più paura, senza più dover dimostrare ciò che non ero mai stato.

Posso scegliere di definire tutto questo con tanti nomi, ma tra questi il termine “grazia” forse è il più bello perché ha in sé la delicatezza di una madre, una gentilezza sussurrata, un bocciolo appena nato, un cuore che diventa tabernacolo dell’amore più intimo.

Ha in sé tutta la mia gratitudine per quell’invito inatteso, e per quella visita che ne è seguita: silenziosa, in punta di piedi, ma potente e assoluta come la marea, con le sue movenze prodigiose.

Ho visto che la sofferenza non è altrove da noi, ne ho visto l’inizio, ho capito che possiamo restare con lei e che possiamo comprenderne la fine.

Ho capito che la via, affatto semplice, sta nel riscoprire di poter decidere di amare, che degna è la vita di colui che è sveglio perché nel mondo c'è tutto, bisogna solo scegliere dove volgere lo sguardo.

Data di Pubblicazione: 13 luglio 2022

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