SPIRITUALITÀ ED ESOTERISMO   |   Tempo di Lettura: 10 min

Un viaggio iniziatico alla scoperta di sé

Il Villaggio dei Monaci Senza Tempo - Corrado Debiasi - Speciale

Dall'autore de "Il monaco che amava i gatti", un viaggio incredibile alla ricerca di se stesso. Leggi l'anteprima del nuovo libro di Corrado Debiasi.

Un viaggio iniziatico alla scoperta di sé

Il potere di un abbraccio

"La tradizione dice che, quando abbracciamo qualcuno in modo sincero, guadagniamo un giorno di vita."

Paulo Coelho

Prima di uscire dall'aeroporto, avevo già deciso di prendere un taxi: era la soluzione migliore, sia per la comodità, sia per la possibilità di starmene da solo. Non era mia intenzione viaggiare in altro modo. Sapevo che, se avessi optato per il treno, sarei entrato in un mondo tutto a sé, ricco di diversità, incontri, e non certo semplice.

Forse, non ero ancora pronto a immergermi nelle molteplici contraddizioni di un viaggio indiano su rotaia, almeno per il momento. Portavo con me soltanto uno zaino, nessuna valigia pesante. Il peso più grande, in realtà, lo stavo trasportando nel cuore, dove celavo il mio immenso dolore: il ricordo di Shanti, colei che ho amato sopra ogni cosa, colei che mi ha donato il suo cuore trasferendosi per amore dall’India all'Italia per condividere con me la sua esistenza.

L'avevo conosciuta nell’ashram del mio maestro, Tatanji.

Shanti prestava servizio — o seva — presso di lui, aiutandolo. Si occupava di tutta una serie di attività indispensabili, tra cui accudire i gatti randagi che il maestro nel tempo aveva radunato intorno a sé.

 

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Il cammino dell'anima

Il ricordo di lei è vivo e indelebile e una parte del mio cuore è ancora sofferente per la sua prematura dipartita. Ci vorrà del tempo, molto tempo, prima di riuscire a guarire questo immenso dolore che mi divora l’anima.

Durante il viaggio in aereo mi chiedevo come avrei affrontato la situazione al mio arrivo. Cercavo di pensare al presente il più possibile, anche se era difficile. I miei ricordi passati, le emozioni vissute con lei contrastavano, come era giusto che fosse, con il vivere pienamente il momento.

Ricordo una frase di Tatanji: "Il tempo è il rimedio per qualsiasi sofferenza, ma la meditazione è un buon rimedio per risollevare l’anima".

Mi ci vorrà molta meditazione, molta di più di quella che praticavo quotidianamente per riuscire a lasciarla andare. Il nostro destino è spesso imprevedibile, talvolta limpido come l’acqua di sorgente, altre volte beffardo come il mio.

Quel destino estremo che ti toglie chi ami, portandosi via in un attimo la parte più bella della vita. Dinanzi a eventi così sconvolgenti, la calma e la saggezza apprese nel tempo sono difficili da applicare. Siamo esseri umani, fragili come cristalli.

Non ero tornato solamente perché volevo rivedere Tatanji, ma perché l’ultimo desiderio di Shanti era che portassi un ciuffo dei suoi capelli sulle acque sacre del Gange.

Ero qui soprattutto per questo: restituire una parte di lei alla sua terra natia, e realizzare così la sua ultima volontà. Era una promessa che desideravo mantenere e ora, ero qui per realizzarla. Avevo con me un piccolo foglio contenente un pensiero che lei mi aveva scritto tempo prima, per affrontare una situazione difficile.

Puoi sempre ricominciare a vivere, anche se è stata dura, anche dopo aver sofferto, anche se tutto ti ha ferito. E allora puoi ricominciare e vedere un nuovo inizio, puoi ricominciare a sorridere e vedere la bellezza intorno a te, perché questo insegna la vita: puoi sempre rinascere, come il nuovo sole che sorge dopo una buia notte.

Leggendolo, la mia anima si tranquillizzò.

 

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Il Villaggio dei Monaci Senza Tempo

Guardai l'orologio, era pomeriggio inoltrato. La stanchezza dovuta al jet lag si faceva sentire. Per prenotare un taxi non era necessario stabilire un orario particolare: o contratti al momento con un privato, o prenoti in anticipo attraverso le varie agenzie per maggiore sicurezza.

In realtà, per questo lungo viaggio, volevo scegliere l'autista che mi ispirava di più. Sapevo che all’uscita dell'aeroporto mi sarei trovato davanti una folla di taxisti che si sarebbero offerti di accompagnarmi ovunque, con una vasta scelta di prezzi concorrenziali. E così fu.

Fuori dall’aeroporto la confusione era incredibile. Una marea di indiani e turisti invadeva il piazzale principale.

La priorità era trovare un uomo con una bella vibrazione, ma anche con un mezzo adeguato, per affrontare il lungo viaggio fino a Varanasi.

Mi trovai subito circondato da vari personaggi che parlavano inglese con la tipica cadenza indiana e mi proponevano qualsiasi destinazione. Per i turisti, farsi portare in auto in questi lunghi viaggi è abbastanza comune. Scegliere l’autista "giusto" tra gli innumerevoli che ti vengono incontro è assai più arduo.

Calcolando una distanza di circa novecento chilometri percorsi a velocità media, la durata del tragitto, pause comprese, poteva aggirarsi sulle quindici ore. Forse durante il viaggio mi sarei preso del tempo per soggiornare qualche ora in hotel, invece di proseguire non stop fino a destinazione. Al Momento non ci pensai.

Tra tutti quei volti e quelle voci insistenti che cercavano di convincermi, osservavo gli sguardi. Cercavo una persona che mi trasmettesse un po’ di simpatia e sincerità. Non era mia intenzione stare in macchina in silenzio tutto il tempo.

Durante il viaggio avrei avuto bisogno di condividere pensieri, riflessioni e curiosità. Trovare un autista tra tutti i presenti che potesse soddisfare i miei requisiti era difficile, ma non impossibile. Dovevo lasciar fare alla mia intuizione, dovevo far sì che avvenisse tutto in modo spontaneo e non deduttivo. Volevo analizzare poco e sentire molto.

Mi guardai in giro più volte, finché, all'improvviso, mi sentii osservato da un ometto sulla cinquantina, alto circa un metro e sessanta, o poco più. Continuava à sorridermi e salutarmi con la mano. Notai subito la sua corporatura esile e i suoi capelli arruffati e nerissimi. Si avvicinò velocemente scansando i colleghi. Il suo sorriso e i suoi denti, pronunciati e bianchissimi, si facevano notare. Ricambiai il sorriso, non potevo farne a meno, ne ero conquistato.

La prima cosa che fece, dopo essersi avvicinato a me, fu abbracciarmi, ripetendo a voce alta: "Gale lagana, gale lagana".

Sulle prime, restai quasi impietrito, non mi aspettavo assolutamente un simile gesto, anche se piacevole. Di solito in India si preferisce il namasté, il saluto che avviene unendo i palmi delle mani e avvicinandoli poi alla fronte e al cuore. Lui, invece, continuava a stringermi e sorridermi.

Ecco, lui era la mia scelta, era l’autista che cercavo.

"Mi chiamo Kabir", mi disse, "e tu?"

"Io Kripala."

 

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Mi osservò perplesso, forse si aspettava un nome più occidentale.

"È un nome spirituale", replicai subito. "Me lo diede una persona speciale, la prima volta che venni qui in India", spiegai in breve.

"Dove vuoi andare?"

"Varanasi."

"Ti ci porto, è un viaggio che faccio spesso", esclamò, alzando il pollice e sorridendomi. Mi fece cenno di seguirlo e ci incamminammo tra la folla.

"Ma perché mi hai abbracciato poco fa?" domandai incuriosito.

"Per me è normale abbracciare", rispose, sempre sorridente.

"Ho visto nei tuoi occhi la sofferenza, la riconosco subito, ed è per questo che ti ho abbracciato. Per gli esseri umani è un segno di affetto importante. Quando vedo la possibilità di offrire un abbraccio, non esito a farlo."

Mi condusse verso una via laterale dell'aeroporto.

Rimasi in silenzio, quelle parole mi avevano colpito inaspettatamente.

Pensai che in realtà, in quel momento, avevo proprio bisogno di essere abbracciato, di avere un contatto umano, e Kabir nella sua spontaneità aveva saputo donarmi un po’ di umanità.

Di sicuro sapeva abbracciare molto bene, non lo faceva tanto per fare, ci metteva tutto il suo essere, tutto il suo cuore, lo si avvertiva, ed è per questo che forse mi ero sentito meglio.

Mi fece un gesto, indicando il suo taxi.

"Ti porto dove desideri, non preoccuparti", disse sicuro.

"Sì, me lo hai già detto e non sono preoccupato, anzi, direi che sono contento di viaggiare con te."

Mi sorrise. Poi, con gentilezza, mi aprì lo sportello posteriore e prima di farmi entrare mi abbracciò nuovamente.

Sorrisi. Questa volta fui più preparato e ricambiai il suo abbraccio in modo più lieve. Entrai in auto e mi abbandonai sullo schienale, lasciando scivolare tutta la stanchezza che mi portavo addosso.

Prima di partire, Kabir mi spiegò che il prezzo non poteva essere oggetto di contrattazione.

Mi confermò che la lunghezza del viaggio era di ottocentocinquanta chilometri e che avremmo impiegato circa tredici-quindici ore.

Andava benissimo. Sapevo che la regione dell’Uttar Pradesh, che eravamo in procinto di attraversare, offriva panorami meravigliosi. Ero curioso di osservare in tranquillità le bellezze di questo importante stato di questa grande nazione.

Usciti dal traffico infernale della città, volli continuare il discorso sugli abbracci.

"Kabir, scusami, ho una domanda. Abbracciare tutti quelli che incontri è un gesto che fai sempre?"

Mi osservò dallo specchietto retrovisore.

"Sì!" esclamò. "Solitamente non abbraccio così forte come ho fatto con te, ma sentivo che ne avevi bisogno, ed è per questo che è stato un abbraccio più intenso", spiegò sorridendo.

"L'ho percepito, o per meglio dire, l’ho sentito", risposi.

Ci mettemmo a ridere. In fondo aveva ragione, avevo bisogno di abbracci. Shanti mi aveva abituato bene. A lei piacevano, i suoi erano così potenti, così profondi che colmavano i miei vuoti interiori. E ora lei era volata via. E i suoi abbracci mi mancavano terribilmente.

 

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Abbraccio

Dopo un po’, mi accorsi che il traffico andava diradandosi e il paesaggio stava cambiando notevolmente, prendendo un’altra forma. Osservai dal finestrino i colori variopinti che si mostravano ai miei occhi. Piccoli gruppi di donne si susseguivano portando sul capo ceste di frutta, mentre uomini stanchi spingevano i carretti vuoti della giornata lavorativa appena trascorsa.

Cercai nuovamente di instaurare un discorso con Kabir.

"Cosa significa la parola che hai pronunciato quando ci siamo visti: gale lagana?"

Mi osservò ancora dallo specchietto retrovisore.

"Gale lagana è una parola hindi, significa ‘abbracciare’ ." Ma non volle spiegarmi altro. Non insistetti.

Man mano che il paesaggio cambiava aspetto, la stanchezza prendeva il sopravvento. Mi addormentai.

Aprii gli occhi più tardi, il sole stava tramontando. Guardai l'orologio, era trascorsa un'oretta o poco più. Abbassai leggermente il finestrino per far circolare l’aria, ma quello che ottenni fu una grande vampata calda. Non ero più abituato alle alte temperature e all'umidità indiane. L’aria condizionata dell’auto mi teneva in un ambiente fresco, simile a quello dell’aereo.

Osservai Kabir e, senza esitazione, domandai: "Perché sono così importanti gli abbracci per te?"

Sorrise, poi si fece più serio.

"Siamo esseri sociali. Abbiamo bisogno di abbracci come abbiamo bisogno di luce. La nostra prima connessione alla nascita è con la pelle di nostra madre. Gli abbracci ci ricordano la nostra atavica connessione originaria. Ad esempio, vi sono piante come le edere che per crescere in alto hanno bisogno di muri solidi; similmente, nei nostri momenti di fragilità ciò di cui abbiamo bisogno è un abbraccio sicuro che ci faccia sentire la forte connessione umana. Abbiamo bisogno di abbracci, sempre."

Riflettei sulle sue parole.

"Quindi, abbracci per dare affetto."

Data di Pubblicazione: 14 luglio 2022

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