Crescendo - Romanzo - Anteprima del libro di Amy Weiss
Dipingi la morte come se fosse una cosa meravigliosa
Dipingi la morte come se fosse una cosa meravigliosa, mentre la vita… la vita non è altro che infelicità. Un marito che non c’è più, una bambina che non è mai stata. E questo non è che la mia piccola canzone triste. Ognuno ha la propria tragedia. Moltiplica il mio dolore per quello degli altri, questa vita per l’ultima e per la prossima: migliaia di permutazioni di dolore. È incalcolabile, esponenziale. Ed è troppo da sopportare.
Perché intonare un canto di tristezza quando invece puoi intonarne uno d’amore?
Ho perso tutte le mie canzoni d’amore. Ho dimenticato come si suonano, non ne ricordo più la melodia.
Vedi la sofferenza nel mondo e insisti a voler moltiplicare dolore per dolore. Moltiplica invece la gioia per la gioia. Solo allora coglierai il vero significato di incalcolabile. Il dolore può essere la conseguenza di una lezione, ma non è la lezione. La lezione è crescere. È amare. Non confondere un ripostiglio con un’aula.
Non riesco a trovare la gioia. Non più.
Puoi. È per questo che siamo qui. Sai che in una vita sei venuta al mondo semplicemente per godere di una notte d’estate? Il tuo unico scopo era quello di apprezzare la maestria di luglio, di gioire delle sue pennellate. Questo sì che è un corso avanzato! E come sei stata brava ad afferrare il concetto. La calura si era acquietata, le lucciole erano lanterne fluttuanti, il giardino in cui giacevi risplendeva. Le begonie erano pura magia e tu eri completamente rapita. Mentre calava il crepuscolo, la sera si estendeva di fronte a te nel suo lieve sfrigolio di possibilità. Non importavano gli anni trascorsi e le lacrime versate prima di quella notte, o dopo; quella vita è esistita per quell’istante. Ed è questo il punto: potrebbe essere qualsiasi istante. È una tua scelta. Ecco il vero significato della reincarnazione. Non rinasciamo più e più volte in un nuovo corpo, ma in un nuovo istante. Apri gli occhi. In un solo giorno il mondo può esplodere di gioia e quello è semplicemente il tuo piccolo, dolce canto. Moltiplicalo per ogni persona, per ogni giorno, per ogni vita, e forse potrò darti ragione: è troppo da sopportare.
Viaggio nell’incoscienza umana
La donna emerge da un condotto spazio-temporale d’incoscienza. Il calore si allontana. Così anche l’amore. Al loro posto si apre un abisso immenso che entra nel suo campo visivo e lo sovrasta, riempiendolo completamente. È nero come il cielo notturno in cui lei nuotava; però, a differenza del cielo, freme di un’energia nervosa. L’energia si concentra su di lei, la invita dentro di sé, la inghiotte per intero. Lei cerca di distogliere lo sguardo, ma l’energia la segue: non la lascerà andare. La donna muove lentamente la testa e, a una distanza sufficiente, si accorge che quello che sta fissando è il buco nero dell’occhio della giumenta che le restituisce lo sguardo senza battere ciglio.
La giumenta. Il pensiero comporta una gioia di breve durata, che presto si trasforma in qualcos’altro, in qualcosa con i denti.
La giumenta, ma non la mia bambina.
È rassicurante scivolare di nuovo nel proprio vecchio corpo, allo stesso modo in cui lo è affondare in lenzuola consunte dall’uso. Ma nulla sarà mai più rassicurante e soffice, nulla potrà mai darle più gioia delle braccia di sua figlia.
Gli oggetti sfocati che la circondano cominciano a prendere forma. Uno diventa un tavolo su cui giace Lezioni di musica. Un altro è l’arpa appoggiata a terra. Su entrambi i lati, file e file di letti d’ospedale, su uno dei quali è distesa lei stessa. Non sa esattamente dove si trovi, ma l’unica cosa che conta è dove non è. Questo posto è carico di dissonanze. Sa di freddezza. C’è quella cosa che la trapassa, che la scuote. Cos’è quella cosa? Ah, sì: adesso ricorda. È il dolore.
Il dolore di una bambina che le scivola via dalle dita con cui cerca di afferrarla. Ancora e ancora. Il dolore di tutti i giorni a seguire, vuoti e interminabili.
La donna s’ispeziona la caviglia. Invece che segni di morsi, trova due lentiggini poste in parallelo: rimarranno con lei per tutto il tempo che le resta da vivere. La parola stessa – vita – è un’altra ferita, più profonda e infiammata. Se lei deve riprendere la propria vita, perché non è stato concesso anche alla figlia e al marito? Perché lei è impastoiata a questo corpo pesante, mentre a loro è consentito di librarsi senza vincoli? Nemmeno le sue preghiere possono ambire al cielo: hanno le ali spezzate. Precipitano senza scampo per ritrovarsi sgualcite ai suoi piedi.
Il lento progredire dell’anima nell’esplorazione del corpo
Il nulla urla mentre si contrae e si lacera. L’atto è straziante, annichilente. È un atto di violenza tanto quanto la creazione. Tutte le madri contengono in sé l’oscurità; altrimenti non potrebbero dare alla luce la luce. Ed è da questo dolore che nasce ogni cosa. È qualcosa ed è tutto, un figlio unico e ogni bambino, un’anima e l’anima.
L’anima appena nata apre gli occhi, felice di trovarsi incarnata. Il suo sangue si trasformerà in fiumi, i suoi arti in sequoie. La sua bocca diventerà animale, il suo cuore umano. Gli occhi saranno schiuma di mare, le sopracciglia la cresta delle onde. Come il suo petto sale e scende, così faranno gli imperi. Un’ispirazione genererà la donna, un’espirazione il marito. Sono ciò che tutti gli amanti sono: fasi di un unico soffio. Sono se stessi eppure ciascuno di loro è l’altro e, ancora, qualcosa di molto più grande, allo stesso modo in cui inspirazione ed espirazione non possono essere considerate altro che parte di un unico respiro e parte di chi respira. Non vi è alcuna distinzione tra loro; non vi è alcun “loro”. C’è semplicemente l’anima. Ed è tutto.
Prima che sia pronta a farsi persona, l’anima ha bisogno di crescere. Deve ancora capire chi e che cosa è: avviene per tutti i bambini. Le serve una tela su cui tracciare uno schizzo di sé, argilla con cui modellarsi, uno specchio d’acqua in cui contemplare il suo viso. Così si scioglie in fango, si fa pietra dura, affonda le dita dei piedi e capisce cosa si prova a essere terreni. Questo è il motivo per cui, quando si ricongiungono a distanza di millenni, gli amanti avvertono un tale legame. Rivivono il tempo in cui non erano ancora emisferi lontani, ripensano al modo in cui una volta s’incastravano alla perfezione, ricreano la loro Pangea personale nell’arco descritto da un piede intorno a un ginocchio, da una testa appoggiata su una spalla, dalle dita che s’intrecciano. Questo è il motivo per cui, quando le dita si separano e le gambe si districano, lo spazio tra di loro può riempirsi di oceani, può trasformare gli amanti in isole. Questo è il motivo per cui ogni separazione può risultare sismica.
L’anima impiega anni a esplorare il terreno del suo corpo, progredendo lentamente, per sedimentazione. Non ha alcuna fretta; le montagne imparano tanto quanto gli uomini. Ma non a tutte le rocce piace l’immobilità. Il lato impetuoso dell’anima affronta il cielo come una meteora, poi perde l’equilibrio e precipita giù dallo spazio. Il fulmine cade, letteralmente. Accende la vita sulla Terra. La terra ribolle. È un calderone primordiale, di quelli che si vedono solo nelle favole o durante la febbre.
Le molteplici forme dell’anima
Il linguaggio si differenzia. Inventa il tempo e lo divide in presente, passato e futuro. Classifica il mondo in singolare e plurale, come se questi fossero antonimi. Si concentra sull’anima, esaminandola da ogni punto di vista, in una ricerca senza fine volta a scoprirne il nome. Le congetture si accumulano, dando vita a un vero dizionario dei sinonimi. Esagono. Stella marina. Vermiglio. Dio.
L’anima si differenzia, ora più che mai. Vuole sapere ed essere tutte le cose, perché questo è il modo per conoscere ed essere se stessa. Dividendo, moltiplica: miliardi di corpi che ospitano un’anima sola. Colora i contorni della tigre e filtra attraverso le strisce. Saetta nelle note spoglie del flauto d’osso e ondeggia dietro i movimenti di un concerto. Rimane una roccia perché prende piacere nella fissità e si trasforma in un essere umano perché, invece, vuole muoversi. È la donna e suo marito, e diventa la donna e suo marito.
La donna si differenzia. Così fa il suo cuore. Adesso può vederlo fuori da sé, di fronte a sé: così enorme, così arioso e così inconcepibilmente vasto che sembra appartenere non a lei, ma a un’enorme balena. Il suo dev’essere certo più piccolo, più stretto, più rosso, più meschino. Quelle dimensioni la stupiscono. Per tutto questo tempo ha vissuto in un palazzo senza mai lasciare la cantina.
Ma c’è troppa attenzione su questo processo di differenziazione. Come se non ci fosse distinzione tra la pietra e la cellula e il canto, tra l’uomo e la molecola. Come se non fossero un’anima sola che, in un singolo momento, sperimenta una singola esistenza in innumerevoli modi. Come se il senso dell’evoluzione fosse diramarsi nella molteplicità, piuttosto che ritrovare la via del ritorno all’unità. Come se l’unione non fosse sia l’origine sia la destinazione, l’atto iniziale e quello conclusivo, il motivo della divisione e il risultato.
Come se la sequoia non fosse la donna nell’atto di sperimentare una vita da albero e la schiuma la vita del mare.
Questo testo è estratto dal libro "Crescendo - Romanzo".
Data di Pubblicazione: 1 ottobre 2017