Immergiti nella cultura nipponica e abbraccia la filosofia del WA, l'antica arte giapponese dell'Armonia, leggendo l'anteprima del nuovo libro di Emi Onishi.

WA 和 - Lo Spirito del Giappone

Sono nata e cresciuta in Giappone. Il mio paese è permeato di WA, una parola che contiene tanti significati, ma di cui i più simbolici sono “armonia” e “dallo stile giapponese”. WA è una sensazione impalpabile di armonia, bellezza e serena perfezione che pervade ogni luogo, dai templi alle case, e che sancisce regole tacite che riguardano come viviamo la nostra vita di tutti i giorni. È WA che regola i rapporti personali, il modo in cui utilizziamo il linguaggio, gli spazi dove abitiamo e come ci avviciniamo a ogni tipo di attività.

Seguire queste regole permette di vivere in modo armonioso e di creare un ambiente sereno e appagante attorno a noi. Originariamente il Giappone era chiamato Yamato. Per scrivere la parola Yamato si usano i seguenti ideogrammi: 大和.

Sebbene il suono “wa” non sia contenuto in questa parola, possiamo osservare come il secondo ideogramma, 和 (WA), che ne esprime l’essenza, è comunque incluso nell’antico nome dell’isola nipponica. L’essenza di WA infatti è percepibile ovunque in Giappone e si manifesta in molti contesti, dalle relazioni sociali alla gestione degli spazi domestici e pubblici.

Viviamo in un mondo complicato, in un periodo storico di crisi personale e globale. Per poter recuperare il nostro equilibrio, come pure quello sociale, non abbiamo altra scelta se non riesaminare lo stile di vita che abbiamo condotto fino ad ora.

Abbiamo bisogno di ritrovare la pace interiore, abbiamo bisogno di creare armonia con le persone circostanti, con l’ambiente, con gli altri paesi e culture e di sentirci più uniti a livello planetario.

Il calendario giapponese riconosce un’era per ciascun regno di ogni imperatore. Il primo maggio 2019 l’imperatore Naruhito è salito al trono e il nome dell’era è cambiato da Heisei (平成) a Reiwa (令和).

Letteralmente REI (令) significa “bellezza” e WA (和) significa “armonia”, dunque con Reiwa siamo entrati in un nuovo periodo che viene tradotto come “la cultura nasce e cresce dall’unione dei nostri cuori attraverso la bellezza”.

 

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È interessante sapere che il termine WA, scritto con un altro ideogramma, 輪, significa “cerchio”. In effetti è una forma di energia circolare che io percepisco chiaramente ogni volta che rimetto piede in Giappone.

Sono originaria di Kyoto, l’antica città densa di templi e cultura del Giappone occidentale. Mio padre si occupava della manutenzione dei tetti dei templi della città, mia madre era una casalinga. In casa avevamo un piccolo altare con la foto del Buddha dormiente o del Nirvana del Buddha e non facevamo mai mancare davanti all’immagine una ciotola con dell’acqua e a volte del cibo, quale offerta propiziatoria.

La mia casa era di dimensioni ridotte, come la maggior parte delle dimore giapponesi, ma molto pulita e ordinata. Mia madre non faceva mai mancare i fiori. I futon venivano srotolati la sera per dormire e riarrotolati al mattino, quindi riposti all’interno di un nicchia con una porta scorrevole di carta.

La casa era piena di questi ripostigli e poteva sembrare vuota a un occidentale, dato che tutti i vestiti erano al loro interno, minuziosamente ripiegati. Seguivamo la regola giapponese del non dormire con la testa a nord: quando il Buddha stava per morire, si posizionò con la testa in quella direzione per raggiungere il Nirvana e quindi per noi è considerato un gesto non propizio, perché ricorda la sua dipartita.

Nella mia casa, queste e altre piccole accortezze permettevano all’energia, alla luce e all’aria di fluire liberamente.

Ero molto affezionata a mia zia, Masako, una donna molto spirituale. Fin da bambina mi portava nei templi, dove pregavamo, bruciavamo incenso e accendevamo candele davanti alle statue del Buddha. Lei ha avuto una grande influenza su di me. Anche dopo che ho lasciato il Giappone, a ventidue anni, ne ho mantenuto l’attitudine spirituale.

Questa mi ha portato in India, dove sono diventata una insegnante di yoga, che ho praticato e divulgato poi per molti anni in Europa. Proprio vivendo all’estero, ho riscoperto e compreso appieno i valori della cultura giapponese, della bellezza, dello stile di vita che si basa sul concetto di WA, che spero con questo libro di aiutare a diffondere.

Mi auguro che leggerlo sia per te un’occasione per entrare profondamente in contatto con i valori della tradizione giapponese più autentica, arricchendo così la tua vita quotidiana di maggior pace, bellezza, armonia e benessere.

 

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Il Kanji, un "Alfabeto" che parla per immagini

Quando ho iniziato a scrivere questo libro, mi sono resa conto che avrei dovuto includere delle informazioni basilari sulla scrittura e sul linguaggio giapponese. Il concetto di WA infatti si riflette in molti dei termini che utilizziamo nella nostra lingua.

Per scrivere in giapponese usiamo tre tipi di caratteri diversi: kanji, hiragana e katakana.

Il kanji è l’unico sistema di scrittura costituito da ideogrammi (anch’essi chiamati kanji) ed è arrivato dalla Cina nel III secolo. Prima che arrivassero i kanji non esistevano gli alfabeti, perciò le mitologie e le storie venivano tramandate oralmente.

Attualmente il numero degli ideogrammi che usiamo quotidianamente in giapponese è di 2140. Nel dizionario kanji sono presenti cinquantamila caratteri, ma si dice che in tutto siano quasi centomila. Alla scuola elementare si imparano 1026 ideogrammi.

Mi ricordo ancora quando frequentavo la scuola primaria e dovevo sostenere all’inizio di ogni anno un impegnativo esame sull’alfabeto kanji e, poi c’erano le regolari verifiche settimanali.

Ogni kanji contiene tanti significati e quasi per ognuno di essi ci sono due tipi diversi di letture: onyomi e kunyomi. On significa “suono”, yomi (yomu) significa “leggere”, quindi onyomi può essere tradotto come “leggere il suono”.

È una lettura tradizionale importata dalla lingua cinese.

Kun vuol dire “significato”, quindi kunyomi può essere tradotto come “leggere il significato”. È una lettura derivante dall’antico giapponese stesso. Anticamente non esisteva in Giappone una forma scritta. La conoscenza si tramandava attraverso la trasmissione orale.

C’erano i nomi degli oggetti, ma non il loro corrispondente ideogramma scritto. In seguito, dalla Cina, arrivarono gli ideogrammi e la loro espressione fonetica. La tradizione continuò mantenendo entrambi i sistemi, quello antico giapponese e quello proveniente dalla Cina, con le loro diversità fonetiche e grafiche.

Per esempio il termine kusa, prima che arrivassero gli ideogrammi cinesi, indicava “erba” in giapponese kunyomi, mentre l’ideogramma onyomi 草, che significa “erba”, si pronuncia “soo”.

 

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Approfondiamo: La pronuncia del giapponese

Il giapponese non è facile da pronunciare, ma devo dire che in Italia ho incontrato più di una persona che parlava la mia lingua con una pronuncia sorprendentemente corretta. Forse è dovuto al fatto che un italiano che parla
in giapponese non presenta tutte quelle inflessioni molto marcate che invece può avere un francofono o un anglofono.

Vogliamo provare assieme con alcuni termini semplici? Tra parentesi, la pronuncia, quando si discosta dalla trascrizione:

  • Fiore: HANA
  • Bellezza: BI
  • Primavera: HARU
  • Luce: HIKARI (hicari)
  • Lago: MIZUMI (mizuumi)
  • Arcobaleno: NIJI (nigi)
  • Raggio di sole: ASAHI
  • Gentilezza: YASASHISA (yasascisa)
  • Musica: ONGAKU (ongacu)
  • Grazie: ARIGATO
  • Stella: HOSHI (hosci)
  • Amore: AI

Attorno al VII secolo d.C. cominciò a entrare in uso un tipo particolare di kanji, chiamati manyō-gana. Il principio fondamentale dei manyō-gana era quello di utilizzare gli ideogrammi semplicemente per il loro valore fonografico, cioè senza considerarne il significato, bensì utilizzandoli solo per il loro suono.

I caratteri manyō-gana furono poi utilizzati nell’VIII secolo per stilare tre importanti trattati:

  • Kojiki: è la narrazione della storia della famiglia imperiale. In Giappone si ritiene che l’imperatore abbia discendenza divina. Proprio per legittimare il diritto a detenere il potere grazie all’origine celeste del suo ruolo, l’imperatore del tempo ordinò la stesura storica della sua discendenza.
  • Nihon Shoki: tratta la mitologia più antica e la storia giapponese classica non necessariamente legata solo a quella della famiglia imperiale. Può essere considerata la storia ufficiale del paese, utilizzata anche per promuovere in altri paesi, soprattutto in Cina, il ruolo importante della cultura giapponese.
  • Manyō-shu: una delle più antiche antologie di poesie waka, composte da imperatori, nobili, artisti e anche contadini. Ne contiene più di 4500 in tre generi diversi: poesie di festa, poesie d’amore e poesie legate alla morte.

 

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Hiragana e katakana

Gli altri due tipi di caratteri usati nella scrittura giapponese, l’hiragana e il katakana, non utilizzano gli ideogrammi in quanto significato di ciò che si vuole esprimere, bensì principalmente nella loro valenza fonetica, come fosse i segni di un alfabeto.

L’hiragana era usato per scrivere lettere, storie, saggi e poesie (waka). È grazie a questi tipi di caratteri che la letteratura femminile ebbe modo di fiorire.

Anche i caratteri katakana furono originati nello stesso periodo, tra l’VIII e il XII secolo, ma si differenziano in quanto meno rotondi e più semplici. Tutti i testi sacri buddhisti furono scritti originariamente in cinese classico e i monaci giapponesi annotarono le spiegazioni tra una riga e l’altra ma, a causa dello spazio molto ristretto, avevano bisogno di utilizzare caratteri meno complicati da scrivere.

Il carattere katakana, per l’appunto.

 

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Un carattere kanji ha tanti significati

I caratteri kanji possono avere diversi significati a seconda della loro provenienza. Ad esempio, i giapponesi possono comunicare con i cinesi attraverso la scrittura kanji, ma le cose non vanno sempre bene come immaginiamo. Un esempio è la parola tegami 手紙. Te 手 significa “mano” e gami (o kami) 紙 significa “carta”; la combinazione di queste due lettere in giapponese significa “carta a mano” cioè “lettera”.

Lo stesso ideogramma, invece, per i cinesi significa “carta igienica”. Ci sono poi vari modi di pronunciare uno stesso carattere kanji con significati diversi.

I genitori scelgono il significato del nome dei loro figli con molta attenzione. Per esempio il mio nome, Emi, ha due suoni: e (枝), che significa “ramo”, e mi (美), che significa “bello”. Quindi il significato del nome Emi, usando questi caratteri, è “bel ramo”. Sono nata in primavera e i rami in quel periodo sono particolarmente belli, perché prossimi allo sbocciare.

Mio papà ha visto in me un bel ramo fiorito e per quel motivo mi è stato dato il nome Emi.

Gli ideogrammi sono ricchissimi di significati e a volte sono presenti in termini che foneticamente non li contengono. Ad esempio il termine nagomi, che vedremo nel prossimo capitolo e che significa “tranquillizzarsi, trovarsi in pace”, viene scritto così: 和み.

Potrai notare come il primo ideogramma è esattamente quello di WA.

 

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Curiosità: La mia esperienza con i kanji in Occidente

Quando avevo ventidue anni sono arrivata in Europa per la prima volta dall’India e ho abitato a Londra per sei mesi. Per vivere vendevo i prodotti che avevo acquistato in India nei mercatini di Londra, così da poter tirare su qualche soldo, ma senza avere il permesso di vendere merce al mercato. Il mio banchetto “abusivo” era un telo steso sulla strada del mercato.

Quando la polizia stava per arrivare, qualcuno di noi del gruppo degli “illegali” avvisava gli altri, così da poter tutti scappare in tempo.

Un giorno, un mio amico mi diede un’idea che secondo lui avrebbe potuto funzionare: “Prepara un piccolo rotolo di carta di riso da appendere. Attacca un bambù sottile alle due estremità per renderlo più pregiato. Usando questa
carta puoi lanciarti in una nuova impresa. Scegli gli ideogrammi kanji a seconda del nome occidentale del cliente e scrivili sulla carta!”.

Da quel giorno il mio lavoro diventò quello di calligrafa di nomi.

Alla fine di una lunga giornata al mercato, si avvicinò un poliziotto e io subito cercai di scappare. Lui, invece di inseguirmi, mi disse: “Non scappi signorina! Quello che fa è molto interessante. Le do un bancone al nostro mercato senza affitto per qualche mese, così proviamo!”. Il fine settimana successivo cominciai ad avere il mio tavolo ufficiale al mercato e da allora ho scritto moltissimi nomi, con il dizionario giapponese in mano.

Data di Pubblicazione: 17 giugno 2022

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